Durante questo Etna Comics abbiamo avuto il grande piacere di scambiare quattro chiacchiere con Yanick Paquette, fumettista canadese noto soprattutto per i suoi lavori in Marvel e DC.
Se volete sapere cosa ci siamo detti, ecco a voi l’intervista completa.
Vorrei cominciare dicendoti che la tua run con Scott Snyder su The Swamp Thing è stata una delle più belle degli ultimi anni, addirittura fin dai tempi di Alan Moore. Credo che il pubblico si sia accorto del valore di questa opera e infatti il successo commerciale è stato alto.
Mi piacerebbe sapere quando e come hai deciso di introdurre nei tuoi layer delle novità che andavano oltre la gabbia classica: erano molto belli da vedere ma anche molto strani.
Innanzitutto, anche io sono un grande fan dell’era di Alan Moore. Credo che lavorare a un personaggio a fumetti, a maggior ragione nel caso di Swamp Thing, metta l’artista di fronte a una grande sfida; le aspettative sull’aspetto grafico sono altissime, le immagini devo essere disgustose e affascinanti, complesse ma comprensibili. Ho voluto dare un tocco di sperimentazione al mio lavoro, inserendo queste novità nei miei layout, non limitandomi alle singole vignette. Dovevo però darmi al contempo delle regole: nel caso di Swamp Thing, se non accade nulla di particolare, la vignetta ha la classica forma quadrata e la base del fondale è nera. Se invece vediamo il protagonista in azione, allora la sfondo diventa parte della vegetazione in cui si muove, foglie, rami, piante, dando un tocco art nouveau alla tavola. Per me, è come se lo sfondo, il bordo della tavola fungesse da colonna sonora della storia, dando il tono alle scene. Per questo la facevo variare in base agli accadimenti, creando un tono inquietante, corrotto, marcio.
La regola è fondamentale: non potevo disegnare cose assurde e sperimentali mentre il protagonista faceva cose ordinarie; avrebbe creato confusione nel lettore, secondo me. Era necessario far vedere la transizione, il passaggio dall’ordinario allo straordinario.
Per quanto riguarda la tua visione di Swamp Thing, vedo delle citazioni delle run classiche. Pensando al tuo lavoro, lo vedi più vicino all’era Moore o a quello di Bernie Wrightson? Perché, secondo noi, tu sei un suo fan.
Sì, sono un fan di Wrightson fin da quando ero piccolo. Se noti, infatti le fonti di luce, definiscono con le ombre che creano, i vari personaggi e i contorni degli alberi e dell’ambiente, donando al paesaggio anche una serie di punti oscuri. E questo è un punto in comune con Bernie Wrightson, a pensarci bene, ma anche di altri autori, come Kevin Nowlan! Io adoro Kevin Nowlan, che non ha mai fatto Swamp Thing, ma credo che se l’avesse fatto sarebbe stato una cosa del genere (ride n.d.R.)!
Perciò il risultato è un mix di diverse ispirazioni artistiche, anche perché DC aveva lo scopo di rendere Swamp Thing un fumetto più vicino al genere supereroistico, per questo l’ho disegnato con le spalle forti e le mani forti. Lo Swamp Thing dell’era Moore era più umano, era una creatura non violenta, strettamente connessa con la forza della natura; aveva le mani, ad esempio, molto vicine a quelle di uomo. Noi, al contrario, avevamo l’indicazione di renderlo qualcosa di diverso, di forte, di potente.
Probabilmente anche per questo tu sei visto come l’artista della rinascita dei personaggi. L’hai fatto con Swamp Thing e poi sei stato chiamato a fare la stessa operazione anche per Wonder Woman.
In effetti non mi piace essere paracadutato in qualcosa che già esiste, anche perché devo documentarmi troppo (ride n.d.R.). Mi piace fare le mie scelte di design, prendere il controllo sulle cose. Per questo amo disegnare i primi numeri delle testate, non tanto per una questione di vendita ma perché ho maggiore libertà d’azione. La libertà di espressione e di movimento sono dei parametri in base a cui scelgo i miei lavori.
Rimanendo su Wonder Woman, il suo numero uno è un reboot particolare, perché vedo delle assonanze e dei rimandi a quanto fatto in passato. Quindi, nella tua visione, che strada sta prendendo questo nuovo corso di Wonder Woman?
Sai, Grant Morrison è un genio folle e ogni volta che gli viene affidato un reboot, lui va alle origini del personaggio. Quando lo fece con Superman, invece di creare un personaggio monolitico, forte, deciso, patriottico, lui andò alle sue prime apparizioni sugli Action Comics degli anni ’40 e si concentrò sul ragazzo, rendendolo a tratti fragile. Per quanto riguarda Wonder Woman, se fai la stessa operazione, ti rendi conto che il personaggio delle origini non è lo stesso di oggi: è bizzarro, è strano, non voglio dire imbarazzante ma in qualche modo lo è. Oggi siamo abituati a una Wonder Woman che è una macchina da guerra, molto più vicina a Superman o a Batman ma se andiamo indietro agli anni ’40, il personaggio era più come Alice nel paese delle meraviglie con l’aggiunta del bondage (ride n.d.R.). Era già un fumetto femminista ma precedente al femminismo degli anni ’60; voleva dare l’idea che sottomettersi all’autorità femminile – rappresentata dal lazo dell’eroina – avrebbe creato un mondo migliore. E io sono d’accordo con questa visione ma il primo numero è uscito negli anni ’40, quando l’uomo era il capofamiglia, la società era molto conservatrice, soprattutto negli Stati Uniti e quindi l’idea di una donna capace di sconfiggere e sottomettere anche i villain uomini, superforte ed indipendente era estremamente moderna. Fu proprio questo il segreto del grande successo all’epoca, che diventò nel giro di un decennio, un’icona potentissima, al pari di Batman o Superman. Quando il movimento femminista la scelse come propria icona, tutto il sottotesto erotico o comunque sessuale, fu completamente scartato. Infatti, quando cominciai a disegnare Wonder Woman sulla serie regolare alla fine degli anni ’90, lei era un personaggio asessuato. Bella, prosperosa, ma senza alcun tipo di riferimento sessuale. Il tema della sessualità, inoltre, è ancora controverso, soprattutto negli Stati Uniti: se prendi un personaggio come Tony Stark, ad esempio, anche nel film lo vedi andare in giro con top model diverse ogni sera e nonostante questo, viene visto come un personaggio positivo, un modello; Wonder Woman, invece, così come – purtroppo – la figura della donna, non ha ancora questa libertà. Si passa dalla figura virginale a quella della predatrice sessuale senza alcun passaggio intermedio. In realtà Wonder Woman, col suo modello di comportamento e la sua autorità, può essere una grande fonte di ispirazione per le giovani ragazze che leggono le sue storie.