Durante Etna Comics abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Mattia Labadessa, iniziando col parlare un po’ delle vicende che l’hanno fatto finire ultimamente nell’occhio del ciclone, per passare poi alle domande sul suo ultimo libro, “Calata Capodichino”, e non solo.
Ecco di seguito l’intervista completa.
Ho visto che è stato un periodo difficile per te. Come sta proseguendo la tua vita?
Il mio inizio anno è stato un periodo veramente complicato, quasi distruttivo. Sono stato 4-5 giorni in casa dopo aver fatto uno stato “geniale” su Facebook, e a ripensarci non è stata una grande idea: mi sentivo come un politico che fa una dichiarazione stupida e che ha il mondo addosso.
Purtroppo è un periodo travagliato, ma fortunatamente sono riuscito ad uscirne fuori nelle ultime due settimane. È stata veramente tosta, soprattutto adesso che ho capito che mi devo tenere tutto stretto.
Visto che tu, nel bene o nel male, fai dei lavori sempre molto personali, mettendoci sempre qualcosa di tuo o che hai vissuto realmente, il periodaccio che hai passato ha influito sulle tue opere? Ti ha dato qualche spunto?
Ha influenzato molto l’ultimo libro che ho pubblicato, mostrando anche un lato più maturo e consapevole di me stesso, magari già visto, ma raccontato in modo diverso, capace di mettere in luce un’altra parte di me.
Quindi sì, il periodaccio ha avuto un effetto positivo, spronandomi a lavorare in maniera diversa a questa opera.
Perché hai fatto Calata Capodichino e non un sequel di Mezza fetta di limone?
Il sequel di Mezza fetta di limone esiste e si farà, però è complicato. Ho scritto tutto quello che sarà questo progetto, ce l’ho in mente, ma tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare.
Personalmente ci sono rimasto un po’ male nel vedere che quest’ultimo lavoro non è stato il sequel del precedente.
Io invece no, poiché in questo modo quelli che hanno apprezzato Mezza fetta di limone lo attenderanno ancora di più, e poi perché questo libro nuovo mi piace tanto.
Cosa volevi raccontare con Calata Capodichino?
Volevo mettere un punto. Volevo dire: “Mattia cosa stai facendo?”. Infatti c’è un po’ tutta una storia inedita, ci sono le vignette, e c’è una parte di Mezza fetta di limone.
Ma la chiacchierata con il tassista è mai avvenuta?
No, ma un fatto del libro è realmente avvenuto. La storia del protagonista è accaduta, seppur qui ovviamente è più carica e romanzata.
Perché “Capodichino”?
Perché anche se il libro non te lo dice si svolge sulla Strada di Calata Capodichino, e ci sono vari motivi.
Senza dubbio perché mi piaceva come suonava. È un bel titolo, quasi Indie, e poi perché era una di quelle cose che ripeteva più volte mia nonna malata di Alzheimer; probabilmente era una zona in cui lavorava da giovane. Inoltre volevo far svolgere la storia in un taxi e visto che il protagonista va verso l’aeroporto deve passare per la Calata Capodichino.
Ma ti consideri il Calcutta del mondo del fumetto? E secondo te, Calcutta si considera il Labadessa del mondo della musica?
No, Calcutta non si considera così e nemmeno io, ma probabilmente lo siamo entrambi e non lo vogliamo ammettere a noi stessi; anche perché mi piace molto.
Secondo me c’è stato un salto di qualità fatto dalle vignette di Facebook a Mezza fetta di limone, fino a quest’ultimo lavoro. Però continuo a percepire qualcosa che non quadra, come se non riuscissi a distaccarti dalla vignetta singola.
Ammetto che ho già sentito questo tipo di commento. Infatti, prima di realizzare questo libro, mi sono andato a leggere molte recensioni di Mezza fetta di limone e ho notato che in tanti criticavano il fatto di essere fortemente legato allo sketch, alla battuta singola.
In questo libro l’ho fatto, ma solo nel primo capitolo, perché dopo una battuta dell’uomo uccello la storia diventa più lineare e ne trae un giovamento; per questo credo che gli ultimi due capitoli siano diversi.
Dici che sei consapevole della crescita e dei cambiamenti artistici che stai vivendo? E credi che questi cambiamenti derivino da una necessità interiore o si basino prevalentemente sul feedback altrui?
Sì ne sono consapevole, ma non posso dirti che non mi baso sul feedback. Soprattutto dopo averti detto che sono andato a leggere le recensioni del libro, ti racconterei delle frottole.
Però ci sono due motivazioni principali, oltre a questa, e la prima è legata ad un’esigenza personale di voler dimostrare qualcosa di nuovo, mentre la seconda è dettata dal fatto che questo tipo di lavoro è molto più divertente, lo preferisco alle opere vecchie e, proprio per questo, gli ultimi due capitoli di questo libro sono i più belli che abbia mai fatto.
Dal punto di vista tecnico sei rimasto ancorato al digitale, anche se in Mezza fetta di limone, nella scena del ballo, c’è un’innovazione. Qual è il suo corrispettivo in Calata Capodichino?
Anche stilisticamente, nell’ultimo libro, ho viaggiato molto, e infatti nell’ultimo capitolo c’è qualcosa di nuovo che mi ha fatto gasare e mi piace veramente tanto.
Quando l’ho visto realizzato mi sono detto : “Questa roba è forte, mi piace”.