Innanzitutto grazie mille per averci concesso un po’ di tempo per queste quattro chiacchiere. Parliamo di Lupo Alberto. Passano gli anni ma questa tua opera non perde mai lo smalto, tra vecchi lettori affezionati e quelli nuovi incuriositi, Lupo Alberto è sempre seguito ed apprezzato.  Vuoi rivelarci il suo segreto?

Non so se ci sono segreti. Lo disegno da 40 anni e ne ho sempre avuto la massima cura. Non soltanto perché è lo strumento che che mi dà da mangiare , ma per una forma di rispetto nei confronti del lettore. Non l’ho mai fatto vestire con dei panni che non fossero i suoi. Non gli ho mai fatto seguire mode, non ho mai mutato il suo linguaggio in base alle tendenze. Penso che sia questo il segreto, se così possiamo chiamarlo, del suo successo e longevità.

Lupo Alberto è sempre stato all’avanguardia nella critica alla società. È riuscito a toccare temi molto delicati, come ad esempio la sessualità. Hai sempre schivato qualsiasi referenza politica, ma sei comunque rimasto sempre attuale. Come riesci a mantenere, appunto, attuali i tuoi personaggi ancora oggi?

Non tocco temi politici in modo specifico perché i personaggi politici poi passano anche di moda onestamente, e quindi a quel punto passerebbe di moda anche un eventuale inserimento nelle mie storie.  Non è che mi sia mai posto nei panni del critico, le cose che scrivo fanno parte del mio sentire, quindi entro nel merito delle cose che sento e che penso. Se poi trapela anche una critica, tanto meglio, ma non è che sia la mia preoccupazione principale, il mio intento è quello di far sorridere e divertire. 

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Se non erro hai detto che il blu di Lupo Alberto è nato per errore. Ci sono stati altri momenti della tua carriera in cui il caso ha determinato una svolta importante positiva o negativa nella tua vita?

Il caso è presente in ogni aspetto della nostra vita, il fatto stesso che io sia nato in una città nella quale guarda caso viveva un signore che si chiama Bonvicini che sempre per caso, stava cercando un collaboratore e mi ha permesso di incontrarci, è tutta una questione di casualità, che poi mi hanno portato alla condizione attuale. Tutto è fatto di incontri fortuiti, casuali. In parte è la fortuna, il caso, il parte la determinazione e la volontà. Per fare un esempio, all’inizio, perlomeno, Lupo Alberto non doveva essere il protagonista, il fumetto doveva essere una cosa corale tra gli animali della fattoria, con un ruolo alla pari per tutti, invece poi il fato a voluto che lo diventasse.

Per la serie “forse silver l’ha detto”, è vero che hai definito il passaggio del fumetto dal web al cartaceo un travaglio?

Si anche se di fatto non lo considero un problema in quanto tale. Il web è un formidabile strumento, tutti possiamo produrre fumetti per la rete, possiamo aprire un blog e farci le nostre strisce. Quello che fa la differenza è che sul web nessuno te la paga. Se uno vuole vivere di questo mestiere, deve passare al cartaceo, e questo è molto più complicato che fare fumetti sul web. Il travaglio è questo: passare dal web al cartaceo. Se vedi i numeri di quello che ha successo,  ti rendi conto che di fatto c’è una selezione, che non è qualitativa, non parliamo per forza di differenza tra cose belle e brutte, ma c’è comunque. Perché pubblicare sul web è molto semplice, farlo sul cartaceo è ben più complesso.

Ci sono ovviamente le eccezioni, come Zerocalcare, poi in misura minore anche altri. Ma non c’è stata una grande esplosione di questo passaggio che ha portato successo a tutti. Questo in parte è dovuto anche alla crisi del settore, però diciamo che è complicato andare sullo scaffale in libreria e vendere di questi tempi.

Ricordo con affetto un manulae che si chiamava “Come ti frego il virus!”. Come è successo che i membri della fattoria si sono trovati a dare lezioni di educazione sessuale?

È successo perché c’era questo problema, c’è ancora ovviamente, anzi forse più di prima anche se ne parlano molto meno. In quel periodo si parlava molto di AIDS. Un’agenzia che faceva una campagna di prevenzione mi chiamò per preparare un opuscolo per i luoghi giovanili, come ad esempio le discoteche, ma non le scuole. Qualche preside pensò di portarlo nelle scuole ma scoppiò un pandemonio perché il ministro dell’istruzione era contrario. Ma era una cosa del tutto istituzionale che mi chiese il ministero della salute.

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Dopo la lotta per l’amore libero e sicuro, quella per i diritti degli omosessuali e quella per il fronte Psichiatria democratica, quale bandiera porteranno i tuoi personaggi prossimamente?

Sempre quella dei diritti e della libertà, che poi è la mia. Ci sono diversi amici e colleghi che fanno campagne di vario tipo, come Emergency ad esempio, e  li ho aiutati volentieri. Le faccio gratis queste cose, non sono mai io a promuoverle in prima persona, sono sempre gli enti che mi chiedono di collaborare perché io ne condivido gli obiettivi e accetto questi incarichi no profit. Ma solo quando ne condivido le idee. Non so ancora di cosa mi occuperò in futuro ma forse ancora di HIV.

Te lo chiedo perché i tuoi personaggi sono legati a tante campagne relative alla salute e i diritti sociali. Da fumettista con una enorme esperienza alle spalle quale pensi che sia allora il ruolo del fumetto oggi? Quello di intrattenere, quello di comunicare o c’è qualcosa di più che il fumetto dovrebbe fare? Eventualmente pensi che gli autori di oggi siano in grado di adempiere a loro compito?

Assolutamente si. Sono diversi decenni che si parla del fumetto come un qualcosa di quasi alieno, “non è letteratura, ma forse somiglia al cinema, o più al teatro ecc.”. Il fumetto è il fumetto, e si sta rivelando un formidabile strumento di comunicazione e quindi credo che sarà sempre più utilizzato proprio per questo genere di divulgazione, come nel caso di questa cosa di cui si parlava questo pomeriggio alla fiera, Comics e Science, che non è altro che il CNR che ha promosso questa collana di argomenti scientifici proprio per facilitare la divulgazione di alcuni temi che appaiono ostici e poco interessanti per il grande pubblico. Cito ancora Zerocalcare che ha parlato di Kobane con questo bellissimo libro, ed è un perfetto esempio di giornalismo a fumetto. Ma ce ne sarebbero tantissimi altri. È importante il fumetto per questo tipo di comunicazione.