Mi hanno detto che potevo essere qualsiasi cosa… Così sono diventato qualsiasi cosa
C’è un momento nella vita di un qualsiasi giocatore – in particolar modo se si è anche un recensore – in cui ci si ritrova a chiedersi: “quanto mi piace realmente questo gioco?”
Ecco, è proprio questo che accade con Everything. Ci si ritrova semplicemente spiazzati. Difficile anche solo considerarlo un videogioco.
Everything, per chi non lo sapesse, è sviluppato da David OReilly, ambizioso sviluppatore conosciuto per il suo controvertissimo titolo Mountain, in cui come il nome suggerisce si impersonava una montagna. Progetto per alcuni folle e forse privo di senso ma sicuramente ambizioso e affascinante, da qui l’idea di OReilly di iperestendere quel concetto e farvi impersonare semplicemente… ogni cosa.
Everything si racconta così: in questo titolo potete essere letteralmente ogni cosa. Da una pecora, ad una scimmia, ad un pianeta lontano e sconosciuto fino al più piccolo elemento subatomico. Fun fact: una volta, qualche anno fa, sognai effettivamente di essere un atomo; che dire OReilly, grazie di aver tramuto in videogame uno dei miei sogni contorti.
Tornando a noi, Everything più che un gioco è un’esperienza, e più che un’esperienza è in realtà un tentativo, incredibile e suggestivo, di creare un’istallazione d’arte – interattiva, per forza di cose – all’interno di un videogioco. Come dicevo, progetto sicuramente ambizioso e che molti non faticheranno a sminuire o semplicemente a “canonizzare” in quelli che sono i dettami più semplici ed evidenti di un’analisi di un qualsivoglia prodotto videoludico.
In tal senso è quantomeno riduttivo parlare di grafica, animazioni, longevità, trama e tutti gli elementi che in genere vengono presi in considerazione. Everything va al di là di tutto ciò, ma talmente che persino assegnargli un genere di riferimento lascia il tempo che trova.
Ma allora cosa è questo Everything? Cosa si prova pad alla mano? Paradossalmente per quanto sia complesso, anche solo da un punto di vista artistico e filosofico, in realtà descrivere quello che si fa in Everything è piuttosto semplice.
Io ho iniziato la mia avventura impersonando un alce. L’inizio del gioco è quanto mai strano, ci si ritrova completamente disorientati. Non si sa cosa fare, non si sa come proseguire… ci sembra tutto incredibilmente assurdo, goffo e privo di senso. Basti solo pensare alle animazioni: l’alce in questione più che camminare… ruota su se stessa, spostandosi nelle tre dimensioni semplicemente ruotando il proprio asso corporeo. Questo è sicuramente un difetto eppure lo si sorvola poco dopo, quasi non ci si fa più caso dopo pochi minuti, anche quando a rotolare in questo trip assurdo non è una sola alce, ma bensì un’intera mandria.
Strano a vedersi, facile da criticare ma incredibilmente divertente da vedere. Ma allora, vi chiederete perché il gioco promette di essere tutto? Perché controllando un essere vivente o meno è possibile ascendere o discendere all’interno di un essere più grande o più piccolo in pochi attimi. Si passa da impersonare quest’alce rotolante a vivere la vuota esistenza di un sasso, a spostarsi di fiore in fiore, a vivere il complicato viaggio del polline, per poi proiettarsi in questo mondo subatomico, assistere ai legami all’interno di essi per poi volare in alto, sempre più alto verso il cielo: stelle, pianete e galassie. Nulla ci è precluso, nulla è troppo grande o piccolo per essere impersonato. E niente, essenzialmente è tutto qui. Certo ci sono alcune opzioni secondarie ma sono davvero irrilevanti.
Il gioco, in termini puramente ludici, contiene tutta una serie di completition marks e obiettivi: si tratta essenzialmente di statistiche di completamento, legate in poche parole a quanti esseri si è impersonato. Everything in quest’ottica è davvero enorme, per riuscire a completare tutto al 100% richiederà impegno e tanto, tantissimo tempo.
Eppure non va giocato in quest’ottica; nel momento in cui inizierete ad ascendere e a discendere nella speranza di riempire tutte le statistiche finirete per annoiarvi, lo stesso concetto di gioco perde completamente senso. Non si tratta di appagare la vostra sete ludica, la soddisfazione deve essere più filosofica e personale che meramente statistica. Everything vi chiede di provare, pad alla mano, la sensazione di essere uno dei quasi infiniti esseri viventi o meno che popolano questo universo. Un’idea di gioco che, come dicevo, è più filosofica, anche artistica – se vogliamo – piuttosto che ludica. Facile storcere il naso davanti a questa affermazione, facile anche prendersela con lo sviluppatore che rilascia un videogame che per molti versi videogame non è, eppure per – quanto mi riguarda – trovo l’idea incredibilmente stimolante.
Un titolo che, in parole davvero povere, anche solo per dieci minuti andrebbe sicuramente provato.
Tutto e niente
Più volte nel corso della recensione si è esplicitamente descritta la natura incredibilmente peculiare di Everything, e come evidenziato nell’articolo cercare di catalogarlo all’interno dei normali generi videoludici lascia il tempo che trova. Everything è un’esperienza che va vissuta in maniera del tutto personale, se lo amaste alla follia o qualora lo riterreste uno spreco del vostro tempo, sarebbe in egual misura una considerazione accettabile. Non esistono mezze misure in tal senso, o si accetta l’idea di provare un titolo e immedesimarsi nella giusta ottica oppure ci si lascia abbattere da quelli che sono i limiti tecnici e ludici di una produzione totalmente avulsa dalle leggi di mercato.
Everything è tutto, e per certi versi non è niente.