Il prezzo della carne: come è cambiato il corpo maschile nei comic americani di supereroi?
Che il fumetto dei supereroi abbia subìto, nel tempo, un’evoluzione costante, può essere osservato attraverso diversi aspetti della trama, della griglia delle vignette, del disegno: in questo senso, niente è più illuminante del modo di rappresentare il corpo, maschile e femminile. Del secondo abbiamo già avuto modo di parlarvi in passato. Il primo, invece, rappresenta un argomento diverso, comunque complesso da inquadrare. Difficile chiedersi perché l’estetica del corpo di un uomo scateni meno attenzioni di quello di una donna.
Qualche anno fa il sito Bulimia.com utilizzò proprio il fumetto per ricordare l’impatto psicologico di un certo ideale di bellezza, proposto dalla cultura di massa. Lo fece prendendo una serie di copertine celebri, modificando il corpo degli eroi per renderli realistici. La cosa riguardava non solo le donne, ma anche gli uomini. Tra una Wonder Woman e una Tempesta con fianchi naturali, trovammo anche un Iron Man mingherlino e un Batman con la “pancetta”. A colpire fu un messaggio, spesso sottovalutato: i disturbi alimentari possono riguardare anche gli uomini e il modello di “canone” proposto dai fumetti è uno dei primi a essere messo sotto la lente.
Questo perché il corpo nel fumetto deve rispondere sempre a un canone di bellezza. Gli artisti, quando rappresentano un supereroe, tentano in qualche modo di rappresentare un concetto, quasi un’idea platonica di “bello”. Questo, ovviamente, non si può tradurre sempre in un modello realistico, cosa che può avere un impatto negativo su alcune personalità. Va tuttavia considerato che il fumetto non ci ha proposto sempre un ideale di bellezza. Alle volte, anzi, lo scopo è stato l’esatto opposto. La volontà di artisti come Steve Ditko era quella di rappresentare la normalità, al contrario di quanto fatto da Joe Shuster quando mise mano al suo Superman.
Questo perché, ovviamente, la rappresentazione del fumetto dei supereroi si è evoluta. In poco più di ottant’anni di comic, il modo di rappresentare il corpo degli uomini è cambiato col cambiare del periodo storico. La muscolatura, il modo di portare i capelli, la barba, persino il portamento di certi personaggi rispondono, ora più ora meno, a un’ideale del tempo, uno zeitgeist che ci permette di tracciare quale sia stato il percorso dei disegnatori. Dobbiamo quindi porci una domanda: come è cambiata la rappresentazione del corpo maschile nei fumetti di supereroi e a quali esigenze risponde questa evoluzione? Un percorso non facile da affrontare che, per semplicità, cercheremo di schematizzare attraverso le diverse età del fumetto.
Larger than life: il corpo maschile nell’era d’oro dei supereroi
L’età dell’oro dei supereroi viene fatta risalire, in maniera quasi universale, al 1938, con la nascita di Superman. La necessità dietro alla figura dell’eroe in costume era qualcosa di completamente diverso in quel periodo. Il supereroe deve essere “larger than life”. Qualcosa in più di quello che vediamo ogni giorno davanti allo specchio. Questo, ovviamente, risponde anche alla necessità del periodo. Superman e gli altri eroi della Golden Age nascono in anni traumatici. La Grande Depressione, l’ascesa dei totalitarismi, la Seconda Guerra Mondiale: mai come in questo periodo l’essere umano è “troppo umano”. Sembra quindi nascere un totale rigetto verso ciò che è comune. L’uomo medio non può e non deve essere nulla di glorificato o esaltato. A partire dalla corporatura.
Il nome stesso di Superman lascia già intravedere quali siano le sue caratteristiche e a quali desideri risponda. Un super uomo, qualcosa in più del banale umano che possiamo conoscere nella vita di tutti i giorni. Va da sé che anche il suo corpo debba corrispondere a determinati ideali di bellezza e perfezione.
L’impressione è che, mai come in questa prima fase della sua esistenza, il comic sia ancora legato alla ricerca di un kanón, al concetto di estetica e bellezza che ha dominato l’arte fin dall’epoca classica. La muscolatura di Superman ci appare così più sviluppata di quella di un atleta. Ma in generale essa è ancora naturale, quella di un uomo che si è sottoposto a una serie di esercizi ginnici e a una dieta ferrea per poter essere al massimo della propria forma fisica. Non è un ideale di bellezza del tutto realistico, ma ancora nel campo del possibile.
Sono gli anni della Seconda Guerra Mondiale, lo abbiamo detto. Gli anni in cui Primo Carnera è l’ambasciatore del fascismo negli USA, gli anni in cui i totalitarismi ci mostrano quale debba essere il loro ideale di “uomo”. Sembra quasi che il fumetto negli States reagisca a questa necessità. Al voler contrapporre un proprio superuomo a quello nazifascista. Un concetto che prenderà corpo col personaggio di Captain America.
La storia di Cap è celeberrima. Il mingherlino Steve Rogers che prega di poter combattere la guerra giusta contro i fascismi. Che chiede di poter contrastare l’ascesa del male in Europa, ricevendo in cambio una “pozione magica” per poter diventare il soldato perfetto. Steve diventa così l’ideale di perfezione degli States. E, se confrontiamo il corpo di Rogers con quello dei soldati al fronte, non possiamo non notare una certa somiglianza. La soluzione più semplice è che Jack Kirby avesse scelto come modello i soldati statunitensi per Cap. Ma resta un concetto importante: il Re aveva deciso di rifarsi a un modello di corporatura realistico. Aveva eletto a ideale di bellezza e perfezione il soldato americano. Col senno di poi, ci appare qualcosa di squisitamente yankee.
Silver Age: morte o resurrezione del canone?
La crisi dell’età dell’oro, come vi abbiamo spesso raccontato, fu segnata dalla pubblicazione del best seller dello psicologo Fredric Wertham, Seduction of the innocent. L’autore si scagliò contro il mondo dei comic accusandoli di traviare le coscienze dei ragazzi. Più o meno nello stesso periodo la DC Comics iniziò un’opera di “restyle” dei propri personaggi, iniziando dal Flash di Carmine Infantino. Era l’inizio della Silver Age del fumetto americano. La Marvel ci mise un po’ a rispondere ai colpi della rivale, ma quando lo fece schierò sul suo lato del campo dei pezzi da novanta.
È il 1961 quando Stan Lee e Jack Kirby creano i Fantastici Quattro, il primo supergruppo della Marvel nel Dopoguerra e, soprattutto, una prima riscrittura dell’ideale estetico di bellezza nei comic. Kirby sembrò sempre sposare il concetto di kalokagathìa, ovvero una netta corrispondenza di bello e di bontà. Ma gli ideali estetici dei Fantastici Quattro non si può dire che fossero inseriti completamente in questo alveo. Certo, Susan Storm e suo fratello Johnny avevano di sicuro una bella figura, ma la bellezza di Reed Richards, con i suoi capelli brizzolati, i suoi modi affettati e la capacità di deformare a piacere il corpo, non era affatto convenzionale. Per non parlare di Ben Grimm, l’amabile Cosa dagli occhi blu, da molti considerato il primo vero supereroe con un superproblema.
La Marvel iniziò quindi a proporre ideali estetici differenti. Pochi anni dopo, con la creazione degli X-Men, questo concetto divenne ancora più evidente. I personaggi creati da Kirby, per la formazione originale dei Mutanti guidati da Charles Xavier, difficilmente corrispondono al modello di bellezza e perfezione a cui ci avevano abituati Superman e Captain America. Bestia si mostra con piedi e mani deformi, che deve nascondere. Angelo a sua volta è costretto a celare le sue ali per non destare scandalo tra le persone. E Ciclope, pur non avendo veri problemi fisici, viene soprannominato “Slim”, ovvero “smilzo”, cosa che richiama bene la distanza dalla muscolarità di Cap.
Più o meno negli stessi anni, venne dato alle stampe anche l’eroe destinato a diventare il portabandiera della Marvel, l’Uomo Ragno. Spidey nasceva in maniera strana, dopo che il disegno di Kirby per il personaggio era stato scartato a favore del progetto del talentuoso, ma (all’epoca) meno rinomato, Steve Ditko. La magia compiuta da Ditko fu quella di rendere sfruttare la pop-art americana come immediato rimando del suo fumetto. La gente poteva vedere in Spider-Man disegni che richiamavano la vita di tutti i giorni. E quel giovane col corpo ancora acerbo, mingherlino e con gli occhiali, sembrava del tutto estraneo alla bellezza così come concepita nei primi anni Sessanta.
Questa scelta così coraggiosa non durò a lungo: già con il passaggio da Ditko a John Romita Sr. il fisico di Peter Parker si fece più prestante e simile agli ideali estetici dell’epoca. Ciò non tolse però che la scelta fosse coraggiosa e capace di proporre un canone molto diverso da quello a cui i fumetti ci avevano abituati. Va detto che la scelta di Romita Sr. non turbò il pubblico, anzi. Sono gli anni del massimo successo di Spider-Man, gli anni che vedono il nostro amichevole Uomo Ragno di Quartiere diventare l’icona del fumetto americano. Non a caso proprio un suo albo segnerà il trapasso dall’argento all’età del bronzo.
Bronze e Modern Age: la nascita del manierismo a fumetti?
La notte in cui morì Gwen Stacy fu anche la notte in cui morì la Silver Age. Il fumetto di supereroi abbandonò le trame un po’ naif e romantiche dei primi tempi, cambiando il proprio stile e i propri contenuti. Il mondo degli eroi si era fatto più oscuro, la loro morale più grigia. Era nata la Bronze Age, e anche l’estetica del fumetto aveva subito dei cambiamenti.
Gli anni Settanta e Ottanta videro una nuova evoluzione del corpo degli eroi, uno sviluppo della muscolatura che sembrò andare di pari passo con la ricerca di tematiche più mature, più oscure. Certo, questi tentativi non potevano definirsi una costante: personaggi come Swamp Thing e Wolverine in questo decennio si distaccarono da qualsiasi canone artistico, per proporci corporature al limite del grottesco.
Il vero trapasso, quello che comportò una trasformazione verso una “deriva manieristica” del fumetto, avvenne a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Sono gli anni in cui si affermano Todd McFarlane, Jim Lee e Rob Liefeld, gli anni in cui l’ideale estetico del fumetto sembra cercare una perfezione nei corpi e una perfezione tale da comportare la morte di ogni realismo. In un’altra parola: manierismo.
Non si può dire che in questo scorcio di anni Novanta e inizio dei primi anni Duemila il rispetto per l’anatomia sia uno dei cardini del disegno. La muscolatura dei personaggi viene portata all’eccesso. Spesso senza un vero tentativo di caratterizzazione alle spalle. Se per Lobo, Wolverine e (forse) Spider-Man si può pensare che la rappresentazione sia utile ad accentuare la loro natura “ferina”, meno chiaro è perché l’anatomia di eroi come Captain America e Batman venga stravolta al punto da renderla irreale.
Il periodo “manieristico” dei comic sembra consumarsi in tempi relativamente rapidi, riportando il corpo degli eroi a proporzioni più umane e realistiche. Di certo non sembra scomparsa la tendenza in molti artisti contemporanei di rappresentare ancora il corpo maschile cercando un ideale ancora poco realistico, più che semplicemente umano. Ma lo fa ricercando anche forme con meno eccessi, rinunciando alla rincorsa senza speranza degli anni Novanta di un tipo di perfezione inesistente.
Questa evoluzione in fondo non è altro che un’ennesima manifestazione dello spirito del tempo. Col cambiare dei decenni cambia anche la sensibilità delle masse. Ecco quindi che il disegno dell’ideale maschile del 1995 non corrisponde più a quello del 2021. La domanda, quindi, potrebbe diventare un’altra. E potrebbe essere una domanda a cui sarà più difficile trovare una risposta. Quale dovrebbe essere un buon modello di bellezza maschile per il futuro del fumetto? Solo il tempo potrà rispondere a un simile quesito. Nel mentre siamo grati che i bicipiti di Thor non assomiglino più a dei palloni da basket ricoperti di pelle umana.