Fade to silence: Il viaggio all’interno del survival di Black Forest Game è meno entusiasmante di quanto potrebbe sembrare
Il mercato videoludico, negli ultimi anni, ha subito numerose mutazioni. Un po’ come accade per altri aspetti della società e della natura umana, adattarsi, addomesticarsi, divenire parte di un progetto più grande, è una delle caratteristiche più autentiche e spontanee a cui chiunque è quasi “costretto” a sottostare, per puro istinto di sopravvivenza. Accade poi, in alcuni casi, che la volontà di lasciare il segno, di gridare con forza la propria natura, finisca per mescolarsi incautamente con l’obbligo di adattarsi alle leggi del mercato, con conseguenze, però, quasi sempre infauste e scarsamente comprensibili.
Tutto ciò sembrerebbe essere accaduto a Fade to Silence, un prodotto tanto ambizioso quanto caotico, rimasto – inevitabilmente – schiacciato dall’enorme quantità di idee mal distribuite in fase di produzione e da uno sviluppo travagliato e caratterizzato da una gestazione eccessivamente prolungata.
Sopravvivere per vivere
Ciò che risulta sin da subito evidente, una volta avviata la partita, – a parte uno spettacolo poco invidiabile sul fronte strettamente audio-visivo e tecnico – è la natura tremendamente complessa e punitiva del titolo. Il gioco, infatti, si presenta come un survival in tutto e per tutto, pregno di meccaniche gestionali, e condito da un sistema di combattimento in stile “souls-like”.
Va di per sé che la natura incerta dettata da questa identità difficile da inquadrare finisca col rispecchiarsi quasi immediatamente con l’esperienza ludica, un’esperienza brutale e a volte quasi ingiusta. Se si sceglie, una volta iniziata l’avventura, la modalità “Sopravvivenza” (ed è giusto così) il gioco vi metterà di fronte alla necessità di metter mano ad un grinding continuo e spietato, in cui ogni singolo oggetto serve come il pane e le minacce del sepolcrale mondo di gioco sono continue e ben delineate.
Sì, perché l’ambientazione è una delle caratteristiche più soverchianti di tutta la produzione: il mondo di gioco è caduto preda di una sorta di Apocalisse, che ha di fatto distrutto quasi totalmente la popolazione, in cui i pochi sopravvissuti sono chiamati a restare vivi in una realtà oscura e caratterizzata da quello che sembra un gelido inverno senza fine.
Il primo contatto, per il protagonista, con la nuova realtà è però scisso a metà tra la volontà di sopravvivere e la vena esoterica di cui, probabilmente, nemmeno conosceva l’esistenza. A riportarci in vita sembrerebbe proprio la volontà di un’entità sovrumana, quasi curiosa di assistere al nostro disperato desiderio di sopravvivenza, pronta a deriderci ogni qual volta la nostra dipartita diventi realtà. Già, perché, come se non bastasse, in Fade to Silence vige la legge del permadeath, capace, chiaramente, di rendere ancor più ostica l’avventura all’interno del gioco. Fortunatamente gli sviluppatori ci offrono tre “vite”, prima di ripartire, inesorabilmente, dall’inizio, perdendo così tutti i progressi di gioco, gli NPC scoperti e le provviste racimolate.
Esagerazione non necessaria
Le spiccate doti da survival, come dicevamo anche poc’anzi, non sono l’unica caratteristica in vista del titolo dei ragazzi di Black Forest Game e questo, in tal caso, non è esattamente un pregio. Se si passa al gameplay nudo e crudo, si palesa la volontà di creare un titolo ancora una volta ostico e per nulla semplicistico, caratterizzato da un sistema di combattimento in stile Dark Souls e simili.
Tutto bene, certo, se non fosse che qui si palesano in tutto e per tutto gli enormi limiti della produzione, che mette in scena uno spettacolo difficilmente salvabile. Il nostro alter-ego, infatti, si muove con una lentezza poco invidiabile, e mentre si prova a combattere contro una delle varie creature presenti nel gioco è impossibile non lasciarsi scoraggiare da un feedback dei comandi quasi nullo e che lascia, invero, il tempo che trova.
Poco male, se si considera anche la natura più survival del gioco, che si focalizza maggiormente su elementi quali crafting, grinding e quant’altro. E qui, almeno in parte, le cose prendono una piega leggermente più comprensibile. Se si approccia il titolo in tal modo, le cose da fare sono veramente tante, se non fosse che, ad un certo punto, la ridondanza generale vi attanaglierà inevitabilmente. Va detto però che il protagonista ha anche un albero delle abilità da sviluppare grazie al ritrovamento di alcuni frammenti, chiamati Schegge di Speranza, che rinforzano Ash con nuove abilità e caratteristiche fisiche più avanzate.
In Fade to Silence però non ci si vuol far mancare niente, ed ecco che appare, con forza, anche una vena “gestionale” in verità soltanto accennata. Gli NPC ritrovati in giro vi raggiungeranno al “campo base” e vi aiuteranno con varie mansioni. Tutte queste meccaniche stritolate con forza per far sì che rimangano attaccate all’esiguo sostegno alla base non riescono a nascondere la natura caotica della produzione. Il “troppo stroppia” è il caso di dire, e lo si evince facilmente ad ogni passo eseguito nella fredda landa del mondo di gioco.
Il trionfo delle idee confuse
Come vi abbiamo già detto in precedenza, Fade to Silence ha sofferto di uno sviluppo lungo e travagliato che, inevitabilmente, ne ha funestato la resa finale. Questa problematica ultimamente affligge tantissime produzioni, anche quelle con budget e aspettative nettamente superiori, che rimangono schiacciate sotto al peso di costi di sviluppo e marchi famosi alle spalle.
Negli ultimi tempi, tutto questo si è verificato veramente spesso, con molti giochi, anche i famosi “tripla A”, totalmente incapaci di onorare le buone premesse della vigilia.
È il caso di produzioni come Fallout-76 e Anthem, ambedue forti di costi di sviluppo e soprattutto software house di successo alle spalle, ma arrivate sul mercato afflitte dalla stessa problematica di fondo: una continua sensazione di incompletezza.
La crisi che attanaglia buona parte degli sviluppatori è ormai cosa nota, e dopo i passi falsi di Electronic Arts e Bethesda, anche il più giovane e limitato team teutonico autore di Fade to Silence è rimasto vittima di tale “maledizione”, ma per ragioni diverse e, se vogliamo, diametralmente opposte. In Fade to Silence, la mancanza di identità viene fuori da una quantità eccessiva di idee lasciate a metà, soltanto abbozzate o semplicemente mal sfruttate.
A differenza di Fallout-76 e soprattutto Anthem, che vi lasciano “soli” una volta raggiunti i titoli di coda, Fade to Silence ai titoli di coda vi farà arrivare molto difficilmente, proprio a causa delle scelte di game direction poco chiare e palesemente partorite da più menti. Un vero peccato, da questo punto di vista, giacché le buone intenzioni si palesano tutte e il titolo avrebbe potuto essere qualcosa di diverso, se solo ci fosse stata un’attenzione maggiore in fase di rifinitura delle meccaniche principali.
Uno spettacolo spoglio
Tutto questo, senza tralasciare una delle più lampanti lacune della produzione: il comparto audiovisivo e tecnico. Graficamente parlando, Fade to Silence sembra essere saltato fuori dalla precedente generazione di console (per non dire oltre), ma non solo. Al netto di un comparto grafico vetusto e inadeguato, il gioco mostra il fianco anche a diversi strafalcioni di natura tecnica, a cominciare dal frame-rate, decisamente insopportabile in alcuni frangenti.
Tutto questo senza contare quanto segue: al di là dell’incertezza sul fronte fotogrammi per secondo, su PlayStation 4 Slim fenomeni quali pop-in, texture caricate in ritardo e più in generale una resa poligonale a tratti inspiegabile. È un vero peccato, ancora una volta, perché,nonostante tutto, il mondo di gioco è ben caratterizzato ed ispirato. Un oceano di mezze idee, dunque, in cui il passo per sprofondare è piuttosto breve.
In conclusione
L’abbiamo ripetuto più volte: Fade to Silence è l’esempio perfetto della crisi di idee che sta attanagliando il mercato videoludico negli ultimi anni. Confusionario e soltanto abbozzato in buona parte della sua struttura, il titolo di Black Forest Game si presenta come una grossa occasione sprecata, giacché sorretta da un discreto potenziale in termini di gameplay e setting narrativo.
Peccato per la scelta di rendere il titolo un miscuglio indefinito di più generi, in cui a salvarsi è quasi esclusivamente la componente survival: se siete amanti del genere in questione, con ogni probabilità, riuscirete a divertirvi in compagnia di Ash e della sua voglia di sopravvivere.
Ma attenzione: per farlo dovrete ignorare anche le enormi lacune tecniche di un titolo che, onestamente, sembra appartenere ad una diversa generazione di console, e non in senso buono.