La Guerra, la guerra cambia…
Dopo un’attesa lunga sette anni, culminata in una manciata di mesi in cui la tensione dell’uscita è stata palpabile, Bethesda ci riconsegna il suo Fallout 4, carico di un’aspettativa che, in sincerità, raramente si può constatare in un’uscita videoludica. Per i tempi che corrono è facile trovare in rete nugoli di giocatori infoiati da questo o quel capitolo della serie X, ma a ben vedere pochi giochi hanno suscitato, nel tempo, il clamore di questo Fallout 4, la cui enfasi è esplosa all’uscita del gioco nei negozi, pur senza stemperarsi affatto nei giorni a seguire. Dopo Fallout 3, ed il suo fratellino minore New Vegas (quasi un 3.5 potremmo dire), le aspettative sono tante, specialmente se si considera il distacco, percepito comunque in modo positivo, che c’è tra gli originali Fallout di Black Isle e Interplay, ed i capitoli successivi di Bethesda. Un distacco spaventoso per molti, ma che in realtà ha dato alla serie un nuovo respiro ed una nuova dimensione, grazie soprattutto ad un’ottima alchimia tra uno spirito da first person shooter ed un animo profondamente ruolistico. Questa lunga premessa, allora, serve a porre una domanda fondamentale e forse solo apparentemente banale: le aspettative di Fallout 4 sono state mantenute? La risposta non è semplice e, per ora, ci limiteremo ad un “ni”, spiegandovi le nostre ragioni nelle righe a seguire. Prima di fare ciò occorre però un passo indietro ed una breve lezione di filosofia.
La lezione e i punti di vista
Potrei infarcire questa recensione di allegorie, di figure retoriche o trasformarla in uno scialbo pseudo racconto di quel che ho vissuto nelle oltre 60 ore accumulate nel corso della mia partita, ma francamente non metterebbero e non toglierebbero nulla alla vostra lettura, e fondamentalmente non vi aiuterebbero a capire PERCHE’ Fallout 4 è un gioco profondamente controverso così come lo era, per motivi più o meno sovrapponibili, già Fallout 3. Ora, tra le varie, possiamo fondamentalmente identificare un nodo all’interno della critica del nuovo corso di Fallout, ed esso è certamente il suo gameplay, che Bethesda ha adattato in modo più che intelligente ai tempi che corrono creando, al contempo, non pochi grattacapi ai fan(atici) delle vecchie uscite Interplay. Ecco perché possiamo riassumere i giocatori di Fallout in 3 scuole di pensiero, tutte e tre parimenti valide, ed ognuna con le proprie ragioni. Che voi condividiate questa o quella scuola non è importante, ma capire come stanno le cose forse vi permetterà di comprendere meglio il voto che abbiamo scelto di dare a questo titolo, o almeno di leggere il tutto con miglior cognizione di causa. Orbene, la prima scuola è quella dei “fondamentalisti” ossia di quelli cresciuti a pane e giochi di ruolo e che sono attaccati al pensiero dei vecchi capitoli, ossia Fallout 1 e 2. Erano quei giochi molto tecnici, con una forte impronta ruolistica e con un gameplay profondamente testuale, fatto di movimenti punta e clicca, e di combattimenti che, a vederli oggi, avevano ben poco di frenetico.
Si trattava di GDR occidentali di vecchia scuola, con una struttura molto ordinata ma un’ampia componente esplorativa ed in cui i dialoghi la facevano da padrone. Con queste premesse potete capire perché con Fallout 3 molti non rimasero propriamente felici, sebbene Bethesda confezionò un capolavoro in termini di ritmo e giocabilità che portò alla nascita delle altre due scuole di pensiero. La numero due, in tal senso, è quella degli “integralisti” che ha invece ben accettato le novità in termini di gioco e, in generale, di gameplay portate da Bethesda dopo l’acquisto del brand da Interplay. Sono questi i giocatori che hanno giocato a Fallout 3 (o che si sono innamorati del brand proprio con questo capitolo) e che hanno compreso la necessità di guardare avanti accettando, di buon grado, la natura duale del nuovo stile gioco, a metà tra FPS e gioco di ruolo occidentale. Infine c’è l’ultima categoria, che è poi quella a cui evidentemente Bethesda ha guardato costruendo il gameplay di Fallout 4. Questi sono gli “action gamer” e sono una categoria che è meno propensa alle chiacchiere e più alle pistolettate. Sono quelli a cui frega poco della componente ruolistica, e si dedicano alla parte più squisitamente FPS dell’esperienza di gioco. Alcuni, nati in seno a Fallout 3, sono approdati al quarto capitolo carichi di aspettative altri, invece, si apprestano ad approdare nel mondo di gioco proprio con il capitolo numero 4. Come sia sia (a proposito, noi siamo “integralisti”), è evidente che QUESTO gioco è pensato per gli “action gamer”, e se non fosse bastata la voce di Bethesda a dirlo sin dal primo annuncio, pad alla mano bisogna ammettere che l’occhio è sin troppo strizzato nella direzione del “prima sparo e poi chiedo”, che ovviamente non è un male ma è la base fondamentale del nostro “ni”. Detto ciò, perdonate la digressione, andiamo avanti.
Vite interrotte
Ambientato nel 2077, anno in cui le atomiche caddero un po’ su tutto il pianeta mettendo quasi la parola “fine” alla razza umana, Fallout 4 comincia con un prologo, invero, molto avvincente e ben costruito, sbrigativo – se vogliamo – rispetto al più coeso prologo del suo predecessore, ma comunque efficace e costituente anche un piccolo primato. Si tratta infatti del primo capitolo in cui avremo un assaggio della vita prima dell’apocalisse, una vita placida e molto serena, fatta di città quasi artefatte nella loro bellezza, e costruite intorno ai canoni architettonici e stilistici degli anni ’50. Impersonando i panni di un padre o una madre di famiglia, Fallout 4 ci fa dunque vivere gli attimi immediatamente precedenti la fine della civiltà, collocando l’inizio della vicenda circa 200 anni prima di Fallout 3, salvo poi riportarci nella linea temporale futura ben 10 anni dopo gli eventi del precedente capitolo. Un viaggio nella storia dunque, effettuato con l’espediente narrativo della criogenia cui, il nostro personaggio, sarà sottoposto suo malgrado. Al cadere delle bombe sulla terra, saremo infatti accolti nel locale Vault, il 111, in cui siamo stati ammessi previa attenta selezione da parte della Vault-Tec. Ma come per ogni Vault degno di questo nome, anche qui il bunker sotterraneo con la porta ad ingranaggio altro non è che la sede di un esperimento sociale e quello locale sarà, come avrete intuito, proprio quello dell’animazione sospesa in criogenia a cui ben presto noi, nostra moglie e il nostro figliolo di pochi mesi prenderemo parte. Il risveglio, tuttavia, sarà tanto brusco quanto inatteso perché senza saperne le ragioni, un piccolo manipolo di uomini farà irruzione nel Vault, “scongelando” chi come noi era stato messo in ghiacciaia per poter rapire, guarda un po’ la sfiga, proprio nostro figlio. Vivremo così il rapimento della nostra progenie in modo passivo, intrappolati nella nostra capsula mentre un uomo misterioso giustizierà a sangue freddo la nostra metà, avvinghiata e congelata con il nostro pargolo Shawn. Chiusi nella capsula criogenica, verremo allora ri-congelati, e così obbligati ad un prolungamento del nostro sonno sino ad un inatteso guasto tecnico del sistema che, risvegliandoci coattamente (di nuovo) ci vedrà unici sopravvissuti di quello che è un Vault ora desolato. Saranno, a questo punto, passati ben 200 anni dall’inizio del nostro sonno, e da questo momento in poi comincerà il nostro viaggio per i mondo, e più precisamente nel “Commonwealth”, il presidio di civiltà nato in corrispondenza della città di Boston dove buona parte della trama prenderà atto.
Noi, fuori dal mondo che conoscevamo, faremo i conti con l’apocalisse, che ha incredibilmente trovato un suo senso, un suo corso, in quella che è una Terra che scrittori come King direbbero che “è andata avanti”. Chi ha rapito nostro figlio? Perché? Come ha fatto irruzione nel Vault? Le domande, ognuna con una propria precisa risposta, si faranno avanti lungo le 20 ore buone necessarie al completamento della trama principale in quella che diventerà una particolarissima caccia all’uomo, occasionalmente supportata dalle fazioni locali e spesso ostacolata da una nuova, oscura, organizzazione: l’Istituto. La trama di Fallout, dunque, parte da una premessa magnifica e sorprendente, molto lontana da quello a cui eravamo stati abituati. Il mondo di prima è qui vivido nella memoria del protagonista e del giocatore, che lo avrà visitato (seppur molto limitatamente) proprio all’inizio del gioco. Il problema, che è poi un cliché abbastanza tipico di Bethesda, è una certa mollezza nella qualità della trama e nei suoi personaggi che, salvo alcuni momenti ben incastrati nel plot (uno su tutti, un certo viaggio “mentale”), raramente permette di interessarsi vivamente a quel che accade, scadendo molto spesso in una certa banalità che coinciderà poi con le scelte finali, quasi messe lì senza sostanza e forzatamente sviluppate per creare un pathos che, tutto sommato, non si sarà mai davvero scatenato nel cuore del giocatore. A pensarci questo era un problema riscontrabile anche con Fallout 3, in cui il racconto non si rendeva sempre appassionante, o comunque non c’era quel piglio narrativo che portava il giocatore ad incollarsi allo schermo per nessun altro motivo che non fosse il gameplay. Orbene questo problema è forse ancor più presente in questo quarto capitolo, dove le parole lasciano spesso il posto all’azione a partire proprio dalle interazioni tra il giocatore e i PNG, oggi più asciutte che mai nelle linee di dialogo e lontanissime da quel sistema squisitamente ruolistico che in Fallout 3 permetteva diverse risposte in base ai parametri del proprio personaggio. Oggi, pur essendoci dialoghi sempre e comunque a bivi, l’impressione è che sia tutto più “svelto” e risolutivo, lasciando al giocatore poco margine di movimento. La stessa trama, pur partendo da una premessa che, pian piano, in qualche modo impenna, finisce ben presto per trasformarsi in una banalità di cui solo il protagonista ed i suoi comprimari sembrano non essere consci. Il punto è che laddove Fallout 3 metteva una pezza alla trama principale con alcune missioni ed alcuni personaggi assolutamente indimenticabili (ve la ricordate “Tranquillity Lane”?), Fallout 4 non fa niente di tutto ciò, procedendo su binari molto più scontati, e con pochi barlumi di genialità offerti, più che altro, da certi personaggi secondari che godono (ovviamente non tutti) di dialoghi ben scritti, ma comunque mal incastrati con il resto del contesto di gioco.
Prima sparo, poi chiedo
Dal punto di vista del gameplay, Fallout 4 si presenta come una riproposizione di quanto visto nel terzo capitolo, con il suo corpo ludico diviso a metà tra un FPS e un gioco di ruolo di stampo occidentale con combattimenti attivi. Avremo quindi un personaggio con sette parametri (Forza, costituzione, agilità, ecc.) ed un gran numero di talenti, per lo più passivi, con cui progressivamente migliorare le nostre statistiche. Tante, tantissime, sono anche le armi che ci si potrà portare in giro, figlie di una rastrelliera digitale che mette a disposizione del giocatore strumenti di morte adatti a qualunque approccio bellico, dalle pistole, alle mitragliatrici, sino ai ritrovati più devastanti, come la mitragliatrice a canne rotanti, il lanciafiamme e l’immancabile Fat Man, capace di lanciare sui nemici una “mini nuke” dal devastante impatto distruttivo. In tal senso, il sistema è davvero ideologicamente identico a quello di Fallout 3, riportando in auge anche l’apprezzato sistema V.A.T.S. (praticamente copiato da Fallout 3 persino nella grafica) che con la pressione di uno dei dorsali di sinistra, ed il costo di un apposito ammontare di punti azione, permette di rallentare il tempo selezionando precise parti del corpo del nostro nemico. Il V.A.T.S. è stato un po’ il principe del gameplay di Fallout 3, trovando un compromesso perfetto tra azione e componente ruolistica. Grazie ad esso, infatti, si evidenziavano per bene le capacità del nostro personaggio derivate dalle caratteristiche “di scheda”, dandoci la possibilità di gestire per bene i colpi, e di distribuire i danni con precisione chirurgica. Il V.A.T.S., infatti, assegna ad ogni parte del corpo nemico una percentuale di successo del colpo, permettendoci di infliggere i maggiori danni possibili anche a bersagli multipli, previo ovviamente un costo di punti azione che influenza solo questo sistema (zero punti azione, infatti, non significa non poter normalmente sparare come in qualsiasi FPS). In Fallout 3 tutto il sistema era figlio, come detto, delle caratteristiche propriamente ruolistiche del personaggio e, in minor misura, dell’arma, i cui parametri (danni, gittata, ecc) servivano da accessorio all’azione.
Perché questo spiegone tecnico? Perché in Falout 4 succede esattamente il contrario, rendendo il V.A.T.S. (e dunque, come capirete, l’intero comparto shooter) non più figlio dei parametri del personaggio, ma dell’arma, in quello che è un sistema diametralmente opposto. Il sunto è che in Fallout 4 non è tanto importante quanto la vostra scheda sia rifinita, ma piuttosto quanto la vostra arma sia cazzuta stabilendo, in modo molto nitido, quanto i parametri della vostra scheda siano, tutto sommato, secondari. Suddetti parametri, ognuno con 10 gradi, servono in realtà semplicemente a sbloccare i vari perks, grazie al quale si guadagnano moltissimi bonus passivi e si migliorano alcune abilità relative al furto, l’hacking e il crafting. Certo, non mancano potenziamenti relativi all’efficienza del vostro comparto bellico, tuttavia è evidente che si può passare il tempo eliminando le minacce anche da lontano (anche fuori dalle capacità del V.A.T.S.) semplicemente con un buon fucile con mirino telescopico, o utilizzando un’arma che spara a tutto spiano. Ovviamente questo non significa che il sistema a livelli ed annessi punti abilità non serve a nulla, tuttavia è evidente come questa componente squisitamente ruolistica sia stata snellita in virtù di un gameplay più veloce e dedicato quasi integralmente all’azione. Insomma, da questo punto di vista, Bethesda ha tenuto fede alle sue intenzioni di rendere il gioco più alla portata di tutti, rendendo il sistema ruolistico non accessorio, ma comunque secondario.
Spazzini del Commonwealth
Sempre in termini di gameplay, se il fulcro dell’impianto ludico è più o meno il medesimo, tra le novità di questo quarto capitolo troviamo di sicuro il sistema di crafting, che permette al giocatore di interagire con un gran numero di modifiche atte a migliorare l’armamentario, le armature e persino gli insediamenti, altra grande novità di questa edizione. Il sistema di crafting è molto ricco, e tutto sommato semplice da usare, anche se in fin dei conti si tratterà di un qualcosa di molto accessorio, ad uso e consumo del giocatore più navigato. Questo perché tra loot, venditori e eventuali scorribande in giro per il Commonwealth, il gioco si dimostra quanto mai magnanimo in termini di oggetti, lasciando al crafting una serie di modifiche del tutto accessorie. Base del sistema è il reperimento di alcune materie prime, alcune molto comuni, come acciaio, plastica, ceramica, ecc… altre molto più difficili da trovare, come viti, molle, materiale radioattivo e simili. Ogni componente può essere reperito dalle migliaia di oggetti presenti nel gioco, partendo dalle cianfrusaglie (metti il caso: una pentola, una bottiglia, e cose così) sino allo smantellamento di armi e armature inutili. Il crafting, accessibile presso appositi banchi da lavoro, diventa in tal senso un qualcosa di non proprio agevolissimo, perché spesso le materie prime necessarie sono così numerose (e il peso trasportabile così risicato), da obbligare il giocatore a raccolte sempre molto oculate, e ad un utilizzo massivo del viaggio rapido secondo la formula “mi carico di roba e la scarico a casa”. Al di la di tecnicismi da poco, ad uso e consumo delle varie tipologie di giocatori (per esempio troviamo molto scomodo il fatto che non esista una feature che permette di avere i materiali depositati “in comune” con ognuno dei nostri insediamenti), il sistema funziona abbastanza bene e corrisponde ad una bella novità, specialmente dal punto di vista degli insediamenti che potremmo gestire come dei novelli sindaci del post apocalittico. Conquistata la fiducia di un piccolo insediamento, sarà infatti possibile gestirlo, facendo si che la qualità della vita degli abitanti migliori sensibilmente con lo scopo ultimo di avere sia il supporto di alcuni PNG, sia l’ottenimento di alcune risorse che cominceranno ad accumularsi da sole nelle nostre scorte cittadine. Il sistema di gestione degli accampamenti è, in effetti, un gioco (gestionale) nel gioco vero e proprio e, proprio per questo, qualcosa che potrete anche non toccare più dopo le doverose missioni introduttive.
Teoricamente, come detto, il suo scopo dovrebbe essere quello di renderci il reperimento delle materie prime più semplice, grazie soprattutto alla possibilità di intessere tra i vari avamposti una piccola rete commerciale, tuttavia il gioco, in fin dei conti, non si prodiga più di tanto di appassionarci a questa feature e, salvo non siate particolarmente avvezzi alla cosa, gli accampamenti resteranno lì a farsi i fatti loro. Consideriamo, poi, che a differenza del sistema di crafting di armi e armature, la costruzione degli accampamenti è quanto meno scomoda con una visuale in prima persona tutt’altro che agevole che non permette di piazzare le nostre risorse sul terreno in maniera precisa e intuitiva. Il fatto, poi, che non ci sia una vera e propria componente ludica in termini di esigenze, attacchi di predoni, o cose simili, rende il tutto un pochino vago. I residenti, per dirne una, hanno sì esigenze in termini di cibo, comfort e protezione, ma se non provvederete a loro… semplicemente non succederà nulla, non vi chiederanno nulla e, fondamentalmente, continueranno a farsi i fatti loro nelle loro routine comportamentali dandoci l’idea che il tutto sia messo lì un po’ a cazzo e poco più.
Il nemico del mio nemico…
E visto che si è parlato di PNG è il caso di parlare brevemente delle fazioni, nonché dei vari compagni che si potranno unire (o che potranno abbandonarci) nel corso della nostra avventura per il Commonwealth. Come da tradizione, anche in Fallout 4 ci saranno alcune fazione a dettare legge all’interno del sistema sociale ed a noi sarà data la possibilità di partecipare (come no) allo sviluppo di ognuna di esse consci che, eventualmente, le azioni intraprese con questa o quella fazione potrebbero scontentare o appagare i nostri compagni di viaggio. In giro per il gioco ci sono infatti molti PNG, alcuni dei quali reperibili nel corso della trama principale (come l’immancabile Dogmeat), altri invece andranno cercati nel corso delle missioni secondarie o li si incontrerà in determinati punti della mappa. Le fazioni, come i compagni, aggiungono non poco pepe agli eventi secondari del gioco, mettendoci spesso in condizione di intraprendere il cammino con il personaggio giusto, previo lo scontento da parte di questo o quel personaggio o, peggio, dell’intera fazione. 3 sono dunque i gruppi che potrete incontrare: i Minutemen, la Confraternita d’Acciaio e i misteriosi Railroad (il cui reperimento non è proprio semplicissimo). Ogni fazione, ovviamente impegnata nel benessere comune, avrà la propria filosofia, i propri membri chiave, ed i propri vantaggi. Tanto per farvi un esempio i Minutemen vi daranno la possibilità di chiamare sul campo dei rinforzi, a patto che si sia arruolato un buon numero di adepti in giro per il mondo. La Confraternita vi darà invece l’accesso di una Armatura Atomica, ma anche la possibilità di utilizzare alcuni mezzi aerei per degli spostamenti rapidi aprendovi la strada ad un cammino da macchina da guerra che, altrimenti, potreste avere difficoltà a perseguire. In questo sistema si incastrano anche molti PNG, più propensi a questa o quella fazione. Scontentare un PNG significa perderne i servigi o, peggio, rivoltarselo contro. Al contrario tenerlo con sé, coccolarlo o renderlo partecipe dei giusti momenti di trama (non sempre semplice) vi permetterà di stringere un rapporto così solido da culminare nello sblocco di un perk segreto.
Le dinamiche sociali, insomma, sono fondamentali in Fallout 4, e rendono al gioco quello smacco ludico che l’avventura subisce in termini di gameplay anche se, anche qui, non possiamo che constatare una semplificazione rispetto a quella che era stata la norma del passato della serie (Fallout 3 compreso); il gioco manca infatti di qualunque sistema morale che non sia la diretta interazione con i vostri comprimari. Un sistema che specialmente in Fallout 3 portava a situazioni inattese e divertenti e che qui il più delle volte corrisponde solo ad uno dei vostri compagni che potrebbe, previe le dovute avvisaglie, mandarvi a cagare e abbandonare il gruppo o a qualche PNG che scapperà guardandovi, salvo poi tornare alla sua routine dopo qualche ora di gioco. Insomma, tutto un po’ artefatto e comunque un po’ povero rispetto al capitolo precedente.
Fermarsi nel tempo
Tecnicamente parlando, la prima cosa che salta all’occhio è l’arretratezza del motore grafico con cui Bethesda ha costruito il suo Fallout 4. Se dalla diffusione di certi screen prima dell’uscita sembrava di trovarsi dinanzi ad un prodotto assolutamente al passo con i tempi, pad alla mano non si può che constatare la povertà con cui il motore fa fronte all’intera costruzione del gioco. Purtroppo non c’è scusa che tenga ed ancora una volta non possiamo che fare un paragone diretto con le più recenti esperienze open world in cui, senza neanche voler scomodare il poderoso The Witcher 3, basta affidarsi al più recente The Phantom Pain per avere idea di come si possa sviluppare un open world vasto e tecnicamente (ed artisticamente) appagante. Fallout 4 soffre infatti di una arretratezza tecnica tale da sembrare poco più che una versione pompata di Fallout 3, con giusto qualche attenzione in più per il sistema di illuminazione dinamico, e con la perizia di un sistema atmosferico dinamico, perizia che il terzo capitolo non poteva evidentemente permettersi ma che comunque è ben poco rispetto a quanto gira ormai anche solo sul mondo console (il PC non lo scomodiamo nemmeno). Certi modelli fanno quasi tenerezza per la loro povertà e bruttezza e come se non bastasse, il gioco è anche ottimizzato decisamente male in versione console, con cali di framerate cui la patch del day one non ha messo che una marginale pezza.
Il gioco, in situazione particolarmente conturbanti (unite magari ad eventi atmosferici del tutto randomici) spesso ha dei rallentamenti evidenti che portano l’azione al di sotto dei 30 fotogrammi al secondo. Un qualcosa di non comunissimo, lo ammettiamo, ma comunque imbarazzante. Tecnicamente, insomma, il titolo Bethesda è datato ed è costellato di bug che, pur non compromettendo l’esperienza di gioco, sporcano il codice in modo evidente. Mancano poi quei piccoli tocchi di classe (vi faceva schifo un indicatore sulla mappa per il nostro compagno di viaggio?!) che sono invece un cliché di qualsiasi altra produzione il che, a nostro dire, non evidenzia un’incapacità nello sviluppo da parte del team, ma piuttosto una mentalità che non sa competere con il tempo che passa, specialmente in un campo, quello degli open world, che da Fallout 3 ha fatto passi da gigante sia dal punto di vista tecnico che estetico. A comprova di una scarsa attenzione per i dettagli ci sono poi situazioni imbarazzanti come il riciclo di un buon numero di temi musicali, un doppiaggio a volte ridicolo e senza enfasi (con tutto il bene che vogliamo a Pietro Ubaldi ma… no, il supermutante che parla come Patrick Stella no…) e persino una pessima equalizzazione delle voci, che rende su PS4 (e solo lì!) le voci lontane e cavernose. Altre poi sono semplici sbavature che la serie si porta dietro dal suo esordio con Bethesda, come la pessima gestione delle collisioni (che si evidenzia anche nel semplice camminare di molti personaggi secondari), o le routine comportamentali dei PNG che spesso non coincidono con le situazioni di gioco (gente che vi parla guardando altrove tanto per dirne una, è un cliché). Insomma, non proprio lo stato dell’arte, specialmente se si considera che tutto quello che abbiamo riportato era vero come per Fallout 3 (sette anni fa, ricordiamolo) ed è vero oggi.
“Ni”
Prima di concludere, facciamo un sunto. Come avrete capito Fallout 4 è un’esperienza lunga, divertente ed anche intrigante. Quel che manca è quella attenzione che si era creata con Fallout 3 e che aveva portato ad una fascinazione di molti giocatori verso il brand nonostante, ricordiamolo, una scuola di pensiero completamente opposta alla rivoluzione di Bethesda. Fallout 4, come spiegato nei vari paragrafi, non è un gioco brutto, semplicemente è al di sotto di quella che è un’aspettativa che non è stata creata propriamente dall’hype, ma dalle sue uscite precedenti che avevano mostrato Bethesda capace di perseguire una strada che, sette anni fa, aveva il sapore fortissimo dell’innovazione tanto che, non a caso, Fallout 3 è considerato all’unanimità un masterpiece della precedente generazione videoludica. Il gioco, insomma, sembra un passo indietro ai suoi predecessori in termini di attenzione e ricercatezza, e punta tutto alla sua ritrovata velocità ludica, più accostabile ad uno sparatutto che a quell’avventura ruolistica che si era fatta apprezzare anni orsono. Il punto è, allora, che si può percepire il nostro giudizio verso questo gioco in due modi diversi: da assidui consumatori del brand o da newcomer, e ci rendiamo conto che, nei confronti di questi ultimi, il nostro giudizio potrebbe sembrare quanto mai tirato. Il punto è che per la nostra esperienza, e per quelle che furono le esperienze vissute in Fallout 3, questo quarto capitolo non può che uscirne sconfitto poiché le semplificazioni effettuate non sono vincenti e ledono quella che era un’alchimia che aveva ben poche sbavature. Non sappiamo dire, allo stato attuale, se avremmo preferito un clone intatto di Fallout 3 (come fu per New Vegas) o se avremmo preferito una vera e propria rivoluzione, quel che adesso ci è evidente è che Bethesda non ha puntato verso nessuna delle due direzioni attuando semplicemente una semplificazione del tutto che, ai NOSTRI occhi, non risulta propriamente positiva e che purtroppo esula da quello che è il fattore divertimento, che ovviamente prescinde da tutto.