Il bene, il male, l’Altro: il fantasy e il suo nemico
La figura del nemico è senz’altro un concetto fondamentale in molta letteratura e il fantasy non fa eccezione. Specie quando si parla di high fantasy, genere codificato con l’opera di J.R.R. Tolkien, la lotta tra i bene e il male è un assunto con cui molti autori si sono confrontati. E il male si nasconde spesso proprio nel concetto dell’altro, dell’estraneo.
L’ignoto che si nasconde dietro al Nero Cancello di Mordor, incarnato dagli Estranei oltre la Barriera o che trama fuori dalle porte di Hogwarts per prendere il controllo del Mondo Magico. In questi casi non c’è dubbio: l’altro è il nemico, l’avversario che ogni lettore fantasy vuole vedere abbattuto.
Ma davvero è così? Davvero il concetto di alterità nasconde sempre quello di avversario? Oppure la figura dell’altro può essere qualcosa di più, capace di contenere al suo interno sfumature differenti? Se analizziamo la storia del fantastico questa idea non mostra un andamento lineare. Al contrario, l’Altro ha avuto alti e bassi nel corso dei decenni. Spesso nel fantasy altro vuol dire nemico, ma anche una parte di noi che non riusciamo ad accettare, a comprendere. Qualcosa, nel profondo della nostra anima, che ci spaventa e che non possiamo abbracciare, se non dopo un lungo percorso.
Il tema dell’Altro come nemico e come parte di noi ritorna con forza anche nell’ultimo fantasy di Susanna Clarke, Piranesi. Il romanzo ci mostra l’idea di Altro sotto una luce particolare e, a modo suo, innovativa. Tuttavia per meglio comprendere cosa sia questa alterità è necessario analizzarla. Osservare come gli autori abbiano attribuito questa maschera a un caleidoscopio di concetti diversi.
L’Altro di Tolkien e dell’High fantasy: il nemico come male assoluto
Quando pensiamo all’alterità nel fantastico più tradizionale nella nostra testa si forma subito l’immagine dell’Anello e del suo creatore, Sauron. Eppure i lettori più accaniti delle opere del Professore sanno bene che il Nemico un tempo non era rappresentato dal signore di Mordor, ma dal suo padrone: il Vala caduto, Morgoth.
Il Nero Nemico del Mondo, un tempo noto col nome di Melkor, dimostra sin dalle prime pagine del Silmarillion la sua tendenza a voler essere Altro rispetto ai propri simili. Quando Eru riunì gli Ainur per esporre il grande tema musicale che avrebbe dato origine ad Arda, Melkor fu l’unico a stonare. Per molto tempo aveva cercato nel vuoto la Fiamma Imperitura, l’essenza divina di Eru Ilúvatar, la forza stessa della creazione, senza comprenderne la natura. Questo lo aveva portato a concepire pensieri divergenti rispetto a quelli dei suoi fratelli: lo aveva reso altro.
La caduta di Melkor è una grande dimostrazione di alterità applicata al nemico. Egli diventa Morgoth poiché isolato dagli altri Ainur, staccato rispetto ai suoi simili, pur avendone la stessa origine ed essenza. E, questa divergenza, si concretizza una prima volta nel suo stonare il tema di Eru. Un concetto che Tolkien riproporrà con Sauron: il futuro creatore dell’Unico Anello un tempo era un Maia, al pari di Gandalf, per poi divenire un’entità maligna, asservita al suo padrone e poi erede della sua causa.
In entrambi i casi i concetti di nemico e di Altro coincidono. Questo tuttavia non implica che Sauron e Morgoth siano l’unico esempio di alterità nel Legendarium di Tolkien. I rapporti tra elfi, umani, nani e orchi nascondono differenti modelli di relazione tra diversi tipi di altro, qualcosa che nell’high fantasy derivato dal modello tolkieniano ritorna spesso. L’accesa rivalità tra gli Eldar e i clan dei nani, la diffidenza degli umani verso le altre stirpi e tra i vari regni di uomini, sono modelli di confronto tra i popoli e ciò che è diverso da loro.
Un concetto che ha tuttavia negli hobbit uno dei propri modelli più riusciti. I mezz’uomini non si curano dei rapporti con le altre stirpi. La “gente alta” non porta mai nulla di buono, solo turbamento verso la pace e la tranquillità della Contea. Ed è curioso pensare che, proprio nella scelta di un Hobbit di “aprirsi al mondo”, si nasconda il seme che porterà alla sconfitta del Nemico.
In mezzo a queste due esperienze, una legata alle ombre e una alla luce, si trova la vita di un essere capace di conoscere entrambe. È il caso di Gollum, dove l’Altro si manifesta con uno sdoppiamento della personalità. Servile e Scurrile, come li soprannomina Sam Gamgee, sono la dimostrazione di qualcosa di molto interessante. Non sempre l’Altro è qualcosa di estraneo a noi.
Il nemico è dentro di noi: l’altro nel fantasy di Ursula K. Le Guin
La generazione contemporanea e immediatamente successiva all’opera di Tolkien è quella che forse nasconde alcune delle migliori declinazioni del fantastico. Abbiamo già avuto modo di parlare di Michael Moorcock e di Ursula K. Le Guin, e proprio la maestra del fantasy è l’autrice capace di incarnare al meglio un concetto potente: l’altro può nascondersi dentro di noi.
La storia di Ged lo Sparviere e il suo percorso da giovane apprendista imprudente ad Arcimago è una storia di formazione con pochi uguali nel fantasy. L’ambizione di Ged lo spinge a infrangere una delle regole della magia, la convocazione dei morti. Questo atto di necromanzia si traduce nella creazione del Gebbeth, un’ombra che darà la caccia al giovane mago, al solo scopo di annientarlo.
Per lungo tempo Ged cerca di fuggire dal mostro finché, spronato dal maestro Ogion, non decide di diventare lui stesso un cacciatore e scovare il suo demone personale. Solo alla fine Sparviere comprenderà la realtà: il suo Altro è una parte di lui, l’oscurità che ha sempre negato e combattuto. La fine di quella lotta può avvenire solo con l’accettazione, da parte di Ged, che l’altro non sia qualcosa da distruggere, ma da accogliere.
Il concetto che l’oscurità sia parte dell’animo umano e che vada compresa per poter essere ammansita è certamente potente. L’altro si nasconde in noi, nei recessi più profondi della nostra anima e della nostra mente. E non sempre è un nemico da abbattere. Qualche volte è necessario comprenderlo e convivere con esso, perché la sua distruzione vorrebbe dire la perdita di una parte di noi.
L’Altro ha un nome, l’Altro ha una storia
Fin qui abbiamo visto il concetto di alterità come qualcosa privo di connotati umani. Morgoth e Sauron sono entità quasi divine, il Gebbeth è un mostro incorporeo, privo di volto e di nome. Ma l’Altro è anche il mondo fuori dalla Contea: un mondo che Bilbo Baggins impara a conoscere, confrontandosi con stregoni, nani, elfi e persino draghi. Ha quindi dei nomi, dei volti, delle storie.
Questa semplice idea, nel corso degli anni, inizia ad applicarsi anche al concetto di nemico. Non sempre ciò che i protagonisti dei romanzi fantasy hanno davanti a sé è un’entità mostruosa. Alle volte è semplicemente umano, per quanto diverso.
Nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin l’Altro assume (di norma) l’aspetto dell’esponente di una casata rivale. Stark e Lannister, Targaryen e Baratheon. L’appartenenza a una Casa Nobile rispetto a un’altra fa assumere connotati diversi alle varie persone a seconda del punto di vista. Nei capitoli dove Ned Stark ci appare come protagonista o dove è al centro dei ricordi dei suoi familiari, il ritratto di lord Eddard di Grande Inverno è quello di un uomo onorevole, un padre di famiglia affettuoso e disposto a compiere sacrifici per i propri cari. Quando è Daenerys Targaryen a giudicare, Ned è solo un traditore: il sodale dell’Usurpatore Robert Baratheon, l’assassino di suo fratello Rhaegar Targaryen. È perciò un nemico.
Ma questo si applica a un’infinità di altri personaggi presenti nel mondo di Westeros. Cersei Lannister è certo uno dei personaggi più infidi e crudeli apparsi tra le pagine dei romanzi di Martin. Ma è anche una madre e una donna innamorata, per cui la sopravvivenza della propria famiglia viene prima dell’onore. Cersei è l’Altro di Catelyn Stark: eppure entrambe sono madri desiderose di difendere la propria prole.
Esiste anche la possibilità che l’Altro si spogli della sua umanità, pur rimanendo ancorato a essa in qualche modo. Ne abbiamo un perfetto esempio nella saga di Harry Potter, dove l’Altro per eccellenza è Lord Voldemort, il più potente mago malvagio della sua epoca.
Certo, è innegabile che Voldemort rientri nell’archetipo dell’altro come nemico tipico del fantasy, il Signore Oscuro. Egli incarna il male e i concetti più oscuri della magia e della natura umana. Razzismo, soverchiamento, paura, odio trovano forma nel corpo glabro dello stregone oscuro. Eppure anche Voldemort ha un passato, una storia.
Un tempo è stato Tom Orvoloson Riddle, un bambino abbandonato, solo. Alla disperata ricerca di qualcosa che lo rendesse speciale, lo ha trovato nella sua magia, elevandola a qualcosa di più di un semplice dono. Nel sesto libro di Harry Potter assistiamo a un processo di umanizzazione di questo Altro. Lo stesso Harry, come suggerisce Silente, forse inizia a provare un po’ di pena per il piccolo Riddle. E forse non è il solo: anche qualcuno di noi lettori è arrivato a chiedersi cosa sarebbe potuto diventare se qualcuno avesse amato quel bambino. L’Altro di Harry Potter è un mostro. Ma un mostro che ha un passato, una storia. Forse dei sentimenti, per quanto neri e oscuri. Un mostro che (forse) poteva essere salvato.
Piranesi e il suo Altro
Concludiamo questo viaggio nell’alterità dove lo abbiamo iniziato, con l’ultimo fantasy di Susanna Clarke, Piranesi. Un racconto dove l’Altro non è solo un concetto, ma un personaggio vero e proprio.
Clarke aveva già affrontato questa idea all’interno della sua precedente opera, Jonathan Strange & Mr. Norrell, seppure in maniera differente. Nel romanzo del 2005 era soprattutto nel confronto tra i due protagonisti che si consumava il concetto di Altro. Per Piranesi invece è qualcosa di più materiale, un personaggio che lui indica con questo nome.
Nel mondo di Piranesi, costituito da una gigantesca Casa in cui si alternano stanze di ogni tipo, dominate da statue, dal mare e dalle nuvole, esistono solo due abitanti ancora in vita: il giovane protagonista e l’Altro, un misterioso individuo vestito sempre in maniera impeccabile che si presenta due volte la settimana per discutere dei suoi progressi nella ricerca di una conoscenza perduta.
All’interno dell’atmosfera onirica del romanzo l’Altro è forse l’unico vero elemento da incubo. Ci appare come un individuo senza scrupoli, disposto a qualsiasi cosa pur di ottenere il sapere anelato. Lo stesso protagonista è stato intrappolato in quel mondo, perdendo progressivamente i propri ricordi. Proprio la perdita di memoria crea una nuova, curiosa alterità, diversa a quella del nemico.
Perdendo poco alla volta i propri ricordi in questo mondo popolato solo da pesci, statue e uccelli marini, il protagonista vedrà affiorare una nuova identità, un nuovo se stesso: Piranesi, per l’appunto. Il ricordo del proprio io passato lo costringerà a confrontarsi con un Altro che non esiste più, ma che è dentro di lui. Una volta abbandonato quel mondo anche Piranesi smetterà di esistere. Nascerà un individuo nuovo, con lo stesso aspetto e parte dei ricordi delle due identità passate, tuttavia consapevole di non essere la stessa persona intrappolata nella Casa.
Come Le Guin anche Clarke esplora il concetto di Altro concentrandosi su ciò che si cela nella nostra mente. Lo fa, tuttavia, non limitandosi a un semplice dualismo. Ciò che l’autrice di Nottingham ci suggerisce è che nel tempo noi stessi diventiamo il nostro Altro. Quello che siamo oggi non corrisponde al nostro passato e non si manterrà nel nostro futuro. Ma il cambiamento non fa di questi Altri, con il nostro volto e il nostro nome, dei nemici. Sono parti di noi che continuano a vivere nella nostra mente, a parlarci e a influenzarci. Perché alla fine l’Altro siamo noi: non un signore oscuro o un concetto relegato ai romanzi fantasy. Solo una versione diversa della nostra persona.