“Com’è umano lei”
Il 3 luglio 2017, all‘età di 84 anni, si è spento Paolo Villaggio, l’attore genovese che tutti ricorderemo per sempre legato ad uno dei più iconici personaggi nostrani: Fantozzi.
Era il 1975, quando le sale italiane accoglievano il suo primo film, ed era l’inizio di un filone di successo con il quale Paolo Villaggio entrava nelle nostre case, riempiendo i nostri cuori, facendoci compagnia e disegnando l’emblema dell’italiano medio.
Sono passati più di 40 anni, e Fantozzi resta sempre attuale, come i grandi personaggi senza tempo. Passano gli anni e si succedono le generazioni, ma la tragicomica visione della società che egli ha portato sullo schermo è probabilmente oggi più che mai il simbolo della nostra Italia di lavoratori, dei milioni di persone alla caccia smodata del posto fisso, che se prima era un obiettivo adesso è divenuto un miraggio. Ma anche e sopratutto l’Italia dei valori, che con un po’ di sano populismo potremmo definire come “quelli di un tempo”, e che tuttavia anche oggi ritroviamo nella quotidianità, nelle quattro mura della nostra casa.
“Scusi, chi ha fatto palo?”
Già, la casa. Lì nasce e cresce il personaggio di Fantozzi, ed è quello il luogo fisico e spirituale dove e per il quale agisce, in ogni contesto. Dalla famiglia, ad un nuovo TV con cui vedere la partita davanti a una frittata di cipolle e una birra ghiacciata (e rutto libero), la vita dell’italiano medio viene rappresentata da Villaggio in un modo estremamente fedele, ma con dolcezza, senza mai essere irriverente e rimanendo costantemente sospeso tra comicità e dramma, con uno stile che solo lui sapeva mostrare.
Il calcio e lo sport in generale entrarono ben presto, di peso, nella vita di quel personaggio. Ed era ovvio, poiché nell’immaginario comune questi rappresentano il primo sfogo dallo stress e dalla routine.
Rimarrà sempre impressa nelle nostre menti l’immagine di Fantozzi che rompe la finestra con un pugno per informarsi sul risultato di Italia-Inghilterra, e la sua fatidica domanda “Scusi, chi ha fatto palo?“. O, nel primo Fantozzi, la sfida a tennis nella nebbia con Filini; passando per le Olimpiadi aziendali, dalla maratona allo sci, e tutta quella schiera di situazioni che hanno reso celebri le sue gag, definendo gli stupendi margini di un personaggio caricaturale, ma sempre al punto giusto.
E poi la sovracitata famiglia, resa estremamente macchiettistica e piena di difetti, che spingevano appunto un italiano medio come lui a cercare l’appagamento altrove, dalla “inarrivabile” collega, la signorina Silvani fino alle donne dei canali “hot”, la ricerca di determinati canoni estetici rappresentava e rappresenta ancora l’evasione dalla quotidianità e da quelle mura casalinghe, croce e delizia dell’uomo fantozziano. Nonostante questo, l’attaccamento alla famiglia esce fuori con vigore in tutti quei momenti in cui sua moglie Pina o le sue non esattamente splendide figlia e nipote vengono derise ed umiliate dall’esterno, e Fantozzi si pone dinanzi alle critiche difendendo con orgoglio il proprio nucleo familiare. Perché l’italiano medio è così, ed è quello che in fondo è rappresentato dalla stragrande maggioranza di noi, seppur coperti dal telo dorato di una cultura che riteniamo (e di certo lo è) superiore allo standard di un tempo, che ci è stata tuttavia permessa dai sacrifici di generazioni come quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni. Oggi siamo uomini di mondo, come direbbe un altro grande scomparso, il compianto Totò; ma le nostre radici sono sempre ben salde nel terreno.
Quella società di cui il ragionier Ugo divenne una maschera allegorica, viveva invece una vita priva di “beni al sole”, ma con una lucentezza ed uno spirito felice che oggi è impensabile riscontrare nei più.
Ci lamentiamo delle tante cose che non vanno del mondo in cui ci troviamo, però non dobbiamo dimenticare che Fantozzi fu il primo a puntare il dito contro gli indefinibili potenti, quelli dai nomi assurdi come il Duca Conte Maria Rita Vittorio Barambani, il Megadirettore Galattico.
Contro tutto e contro tutti, a volte, dietro il suo essere assecondante e leccapiedi, dietro quell’uomo che lavorava come un robot per andare a fare la vacanza in campeggio, perché è lì che vanno tutti ed è lì che si deve andare, anche se poi magari a fine mese non ci arrivi, dietro l’uomo che china la testa davanti ai capi, si nasconde l’anima di chi – una volta tanto – sceglie di ribellarsi e salire a grandi falcate i gradini della scala gerarchica, urlando al mondo che, in barba ad un certo tipo di realtà intellettuale e radical chic, La Corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca. Fregandosene delle conseguenze, almeno per quei 92 minuti di applausi.
Tutto questo è passato attraverso la sua figura macchiettistica, con un look casalingo composto da canottiera, bretelle, pantaloni fino a sotto le ascelle e coppola sulla testa, ed abbigliamento da lavoro rigorosamente in giacca e cravatta. Basterebbe questo per parlare dell’evidente cura del suo personaggio in cui nulla era lasciato al caso, e veniva costruito passo dopo passo, senza finire mai in errore. Il suo congiuntivo strampalato, come quello di tutti i suoi colleghi, l’atteggiamento goffo e la postura curva, sono i restanti elementi che l’hanno reso iconico, e le sue battute sono scalfite nel firmamento e fanno parte ormai del nostro vocabolario.
Ora che Paolo Villaggio ci ha lasciato, c’è un buco grande nell’anima di tutti noi, che però viene riempito da quella figura immortale quale è il personaggio di Fantozzi.
Potremo vederlo e rivederlo per sempre, e non cambierà mai. Cambieranno i tempi e le sfumature della società che ci circonda, e probabilmente anche il modo in cui ci approcceremo all’ennesima visione di quei piccoli grandi capolavori, ma la motivazione principale sarà sempre la nostra crescita e la nostalgia inevitabile del passato. Da piccoli guardavamo Fantozzi e pensavamo solo a ridere, con la spensieratezza di chi in quella società viveva ai margini ed in una campana di vetro. Una volta scoperchiata, è iniziato a soffiare su di noi il vento gelido delle responsabilità, del lavoro e di quella stessa routine che un tempo ci strappava solamente risate. Oggi, quelle risate ci sono ancora e ci saranno per sempre; forse un po’ più amare, più consapevoli, ma delle quali non possiamo fare altro che ringraziare per l’ennesima volta Paolo Villaggio, o meglio Fantozzi.