Farmare all’interno di un videogioco oggi è una pratica comune, ma il rischio di sfociare nel grinding è sempre dietro l’angolo
Nell’era moderna dei videogiochi è quasi impossibile riuscire a trovare un titolo che non abbia al suo interno una qualche meccanica che costringe il giocatore a “farmare”, ovvero a raccogliere ed accumulare un qualcosa. Che questi siano punti esperienza, soldi, materiali o trofei, tutti noi videogiocatori passiamo ore e ore a ripetere costantemente le stesse identiche azioni per raggiungere un determinato obbiettivo. Questo elemento di gameplay è un potente strumento utilizzato dagli sviluppatori per creare una sfida e aggiungere longevità ad un titolo, ma che se lasciato incontrollato, rischia di trasformare un ottimo gioco nella peggiore delle esperienze.
Se prima solo alcuni titoli, in particolare i MMORPG e i giochi di ruolo giapponesi, erano caratterizzati dalla necessità di alcune ore di farming per proseguire nel gioco, oggi si farma praticamente ovunque e su qualsiasi genere, e il perché è abbastanza ovvio: sei stufo di passare ore ad accumulare qualcosa? Comprala, basta una carta di credito, e il farming è fatto.
Io farmo, tu farmi, egli grinda
Prima di proseguire facciamo un po’ di chiarezza sulle varie terminologie del caso, e se siete già esperti, potete passare direttamente al paragrafo successivo. Per quanto riguarda farming e grinding, solitamente vengono usate per indicare la stessa cosa e sono tra loro intercambiabili, ma se vogliamo dire qualcosa di più specifico, potremmo associare il farming ad una semplice esperienza di raccolta materiali, mentre il grinding ad un estenuante esperienza di raccolta materiali che generalmente vengono rilasciati su una base casuale. Entrambe queste forme vengono italianizzate in “farmare” e “grindare”.
Collegati a questi due termini troviamo il looting e il crafting. Il looting potremmo definirlo un sotto termine del farming, in genere riferito all’ottenimento sicuro e rapido di qualcosa, per esempio, se sappiamo che il tesoro si trova esattamente sotto la X e lo andiamo a prendere, stiamo facendo del looting. Il crafting invece è una conseguenza del farming, e riguarda il creare qualcosa a partire dai materiali che abbiamo farmato.
Quando il gioco è basato sul farming?
Come abbiamo detto, ci sono alcuni giochi che si basano sul farmare, e abbiamo tirato fuori come esempio gli MMORPG. In questo genere di gioco, lo scopo del farming è quello di mantenere attiva e presente la community, e quale modo migliore di farlo se non costringendoli a tornare ogni giorno per poter portare avanti il proprio personaggio? Naturalmente in molti di questi casi il farming non è noioso (gusti personali permettendo) ed è ben integrato con le meccaniche, come raid, dungeon e quest.
È quasi obbligatorio a questo punto nominare World of Warcraft come esempio di più grande MMORPG, in cui ancora oggi milioni di giocatori farmano da quindici anni a questa parte, ma sono molti i giochi che hanno preso spunto dal modello della Blizzard per dar vita al proprio mondo. Molti sono anche i titoli in solitario che fanno del farming il proprio obbiettivo di gioco, come Monster Hunter o Diablo, per citarne un paio.
Esiste poi un particolare caso legato al videogame di stampo più orientale. Infatti, a cinesi, giapponesi e coreani, farmare piace davvero molto, non a caso una delle differenze maggiori tra un gioco di ruolo occidentale ed uno giapponese è la quantità di esperienza da accumulare per riuscire a superare punti del gioco in cui il livello dei nemici subisce una notevole impennata. Di solito, questi momenti di pausa dall’avanzamento della trama non sono mai eccessivi, ma rappresentano comunque un limite che rientra nelle cause per cui purtroppo molti titoli non escono al di fuori del Giappone. Nello specifico poi c’è il caso della Cina, ad oggi una delle maggiori produttrici di titoli per dispositivi mobile, giochi in cui grindare in maniera eccessiva e compulsiva è quasi obbligatorio e totalizzante se si vuole continuare a giocare e non essere lasciati in dietro. Ed ecco che saltano fuori quindi i lati negativi del farming.
Quando il farming diventa eccessivo?
Se le fasi di farming oggi sono all’ordine del giorno e quasi essenziali per rendere complesse determinate meccaniche di gioco, è anche vero che se si sfocia nel grinding estremo le cose iniziano a prendere una brutta piega. Tanti titoli nascono con il solo scopo di spingerci a giocarli per ore farmando materiali, ma senza che questi portino ad uno sviluppo concreto oppure ad una fine certa. Prendiamo in esame i titoli mobile, che oggi sono i capostipiti di questo abuso del farming. In questa tipologia di giochi è solitamente necessario giocare più volte nel corso della giornata per poter ottenere risorse, e se viene saltato anche solo un giorno, il rischio di restare indietro è alto, soprattutto se si considera che qui il grinding è infinito: non c’è mai uno scopo ultimo in questi giochi.
Il grinding però diventa davvero eccessivo soprattutto quando questo è giustificato solo dal mero scopo di allungare inutilmente un titolo. Per fare un esempio, se ben ricordate, poco tempo fa andava di moda inserire collezionabili da raccogliere, o farmare per restare in tema, con l’unico premio per l’utente che li raccoglieva tutti quello di sbloccare un obbiettivo o un trofeo. Fortunatamente in molti casi questi si sono evoluti diventando si, sempre oggetti col fine di aumentare forzatamente la longevità di un titolo, ma dando comunque un premio concreto al giocatore.
Fare esempi sul grinding eccessivo è in realtà abbastanza complesso, perché se questi giochi esistono è perché a qualcuno evidentemente piace giocarli. Siamo oggettivi però: in qualsiasi caso, passare ore a ripetere le stesse azioni non è divertente, c’è chi riesce a renderlo piacevole inserendo varianti nel modus operandi o nelle altre meccaniche di gameplay certo, ma non tutti riescono lì dove altri hanno avuto un grande successo. Subentra poi un ulteriore problema legato all’avidità di chi mette in commercio un determinato gioco, farcito della necessita di un grinding estremo che può essere ovviamente evitato tramite microtransazioni.
Se questo può essere in parte giustificabile per quei titoli free to play, non lo diventa per giochi che vengono pagati a prezzo pieno. Certo, ognuno è libero di spendere i propri soldi come vuole, ma perché dopo aver comprato un gioco sui settanta euro dobbiamo stare ore a raccogliere esperienza uccidendo sempre lo stesso cinghiale soltanto perché vogliono venderci quel boost dalla durata limitata?
Perché farmiamo?
Cos’è che spinge noi giocatori a rimanere attaccati ad un gioco, per ore, giorni, anni, continuando ad accumulare risorse ripetendo le stesse azioni? La risposta è tanto semplice quanto complessa, in molti casi il farming è assuefazione, un po’ come il gioco d’azzardo, giochiamo per il premio, vogliamo a tutti costi raggiungere un qualcosa, magari un oggetto potente e particolare, e allora restiamo lì per giorni, tentando di prenderlo finché non ci stufiamo. A questo punto c’è chi molla e chi invece ritorna il prima possibile a farmare.
Il caso più importante però riguarda il desiderio di voler migliorare la propria condizione all’interno del gioco. Farmare è un po’ come andare in palestra, è un’azione che ci rende più forti dal punto di vista virtuale, con il nostro personaggio che sale di livello o magari la nostra casa di Minecraft che diventa più grande. La crescita però in realtà non si limita a ciò che vediamo su schermo, dato che il farming ci permette anche di migliorare le nostre abilità con un determinato titolo o genere. Tutto questo, ovviamente, purché non si sfoci nel grinding estremo.