Tra i classici di George Orwell, La Fattoria degli Animali offre ancora oggi possibilità di rilettura
La Fattoria degli Animali è uno di quei libri che tutti dicono di aver letto, ma che alla prova dei fatti è meno conosciuto di quanto si pensa. Certo tutti conoscono più o meno la storia: gli animali che si ribellano all’uomo, con i maiali che guidano la rivoluzione e instaurano un nuovo governo che si rivela presto peggiore del precedente. Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri: questa frase ce la ricordiamo, e viene presa a ragione come sintesi del messaggio di fondo della storia.
Ma forse c’è qualcosa di più profondo e universale che George Orwell voleva dirci con La Fattoria degli Animali? Siamo abituati negli ultimi anni a vedere citato continuamente il suo 1984 perché siamo abbagliati dalla distopia, ma nel 2021 anche una rilettura della novella allegorica con gli animali parlanti potrebbe essere utile.
Allegoria contro distopia
George Orwell è stato uno degli scrittori più significativi della sua epoca, riconosciuto come un autore capace di trasmettere con le sue storie precisi moniti sulla situazione e la possibile evoluzione della società. D’atra parte la pura letterarietà non è mai stata il fulcro della sua produzione, che ha sempre mostrato uno stile piuttosto funzionale, quasi giornalistico, per cui la potenza delle idee è la ragione principale per cui le sue opere vengono ricordate e tramandate. In questo senso si può considerare Orwell un autore “politico”, collocazione che gli ha permesso nella sua carriera di dedicarsi a generi diversi senza per questo venirne imbrigliato (anche se viene da chiedersi se oggi la sua fanbase protesterebbe dicendo “cosa c’entra la politica nei romanzi?”).
La fiaba allegorica con gli animali antropomorfizzati che parlano e ragionano come uomini infatti non è certo il genere di narrativa più avanguardista che ci si possa aspettare verso la metà del XX Secolo, eppure Orwell ha scelto di adottare questo modello per La Fattoria degli Animali, e col senno di poi la sua scelta si è rivelata azzeccata. Resta però il fatto che il pubblico di oggi può considerare questo romanzo poco più di un divertissement, il tentativo appunto di replicare i tropi della fiaba che abbiamo imparato tutti alle elementari. Per cui alla fine basta ricordarsi la morale per comprendere il significato dell’opera: tutti gli animali sono uguali, eccetera.
Anche perché La Fattoria degli Animali ha un fratello maggiore piuttosto ingombrante: 1984, la distopia delle distopie. 1984 è a sua volta un libro che tutti conoscono ma in pochi hanno davvero letto (spiace per Orwell che gli sia toccata più volte questa sciagura). Lo dimostra la quantità di citazioni che il romanzo riceve, in tutte quelle occasioni in cui i cittadini che si sono svegliaaaati!!! si accorgono che qualcosa nel mondo non funziona come si aspettavano. Negli ultimi anni poi, da quando la distopia è stata sdoganata ed è diventata un prodotto di largo consumo, l’accostamento a 1984 è diventato un evergreen che mette d’accordo complottisti e massoni. Il successo della MacDystopia però ha forse distolto l’attenzione da quello che La Fattoria degli Animali può dirci ancora oggi.
Non solo stalinismo
Sia chiaro che non diciamo niente di nuovo: La Fattoria degli Animali non è certo un libro sottovalutato né un classico dimenticato. C’è quasi un secolo di critica letteraria e culturale che ne ha parlato, analizzandolo da ogni angolazione. E il primo passo di queste analisi è, giustamente la contestualizzazione storica.
La Fattoria degli Animali usciva nel 1945 ed era stato scritto tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944, mentre l’Europa era in guerra e stava ricevendo l’aiuto dell’Unione Sovietica nella lotta contro l’Asse. Orwell dal canto suo era molto scettico sulla nobiltà d’intenzioni dei sovietici nonostante fossero alleati dei britannici, e per questo trovò inizialmente difficoltà nel far pubblicare la storia. Non si può infatti ignorare che tutto il racconto delle vicende della fattoria sia una satira della rivoluzione sovietica e dell’instaurazione del regime comunista in Russia.
In particolare a essere oggetto della satira non sono tanto i principi del socialismo, che per come vengono espressi inizialmente da parte del Vecchio Sindaco appaiono del tutto ragionevoli: gli animali sono oppressi e sfruttati dal padrone, per questo la nascita di un movimento che li liberi dalla schiavitù è auspicabile. L’animalismo (termine che oggi però ha assunto un’altra valenza) è un’ideologia giusta, sulle cui basi viene creato però un sistema di sfruttamento nuovo e anche peggiore da parte degli stessi liberatori della prima ora. Ma è proprio questo secondo passaggio a essere contestato da Orwell, quindi la critica è rivolta allo stalinismo, regime oppressivo basato su un culto della personalità totalmente estraneo all’ideologia che afferma di propagare.
I riferimenti non così velati ai fatti storici che hanno portato alla nascita dell’Unione Sovietica abbondano, dalla diffusione dei canti della rivoluzione alle prime gloriose battaglie, dalle lotte interne tra le diverse correnti ai tempi duri sopportati dalla popolazione, per arrivare al revisionismo e alla parificazione con i padroni precedenti. Questo livello di lettura che si trova appena sotto la superficie però può portare a limitare la portata dell’allegoria, che può invece trovare riscontro ben oltre il caso specifico dello stalinismo.
I porci siamo noi
Ci siamo concentrati così tanto sull’Unione Sovietica che spesso ci sfugge come La Fattoria degli Animali sia capace di parlare anche al di fuori del suo contesto storico. Anzi a guardare bene ci si può accorgere che molte delle dinamiche espresse nella fiaba sono tanto più vere e realizzabili oggi, grazie alla rapidità con cui le informazioni si diffondono e possono essere controllate.
In 1984 abbiamo il Ministero della Verità che opera un’accurata selezione delle informazioni da far arrivare alla cittadinanza, censurando e alterando dove necessario in modo che la verità storica non venga mai accertata. Ma nella Fattoria questo processo è ancora più sfacciato, perché non si serve di complicati apparati che devono “giustificare” la loro manipolazione della storia: è sufficiente che i leader affermino una cosa, anche in aperta contraddizione con quello che tutti ricordano, perché questa nuova verità sia accettata. Si tratta di un meccanismo molto più affine a ciò che vediamo oggi nella diffusione delle fake news, in cui non c’è bisogno di documentazione a sostegno delle affermazioni. E anzi, più la sparata è grossa e contraddittoria, più fa presa, perché i maiali non si potrebbero mai inventare una cosa così assurda, no? E infatti, abbiamo QAnon.
Leggendo La Fattoria degli Animali ci si trova a provare un certo distacco dalle vicende: non ci sentiamo affini né ai maiali doppiogiochisti, né ai cani asserviti al potere o alle galline sprovvedute, e men che mai alle pecore belanti. Noi siamo persone ragionevoli che non cadrebbero mai in trappole del genere! Staremmo sempre in guardia e qualora dovesse verificarsi una rivoluzione di questo livello non ne saremmo certo le vittime. Abbiamo i nostri principi di giustizia e libertà ai quali rimarremo sempre saldi, al limite con qualche piccolo compromesso in caso le difficili circostanze ci richiedessero di adattarci… proprio come i maiali.
In un mondo che esaspera sempre di più le contrapposizioni, in cui ci scegliamo da soli la bolla di cui far parte, stiamo alimentando continuamente questo senso di appartenenza che si nutre di autoconfermazione, tanto da arrivare a giustificare qualsiasi posizione contraddittoria con gli stessi valori a cui siamo convinti di ispirarci: tutti gli ideali sono uguali, ma i miei sono più uguali degli altri. Forse è questa la lezione che La Fattoria degli Animali può aiutarci a comprendere oggi, al di là della sua particolare connotazione storica. Perché le rivoluzioni vanno e vengono, ma i porci sono sempre qui, e sono indistinguibili da noi stessi.