Il Mappamondo di Selton Mello
The Movie of my life è un’opera che potremmo definire multietnica.
Ispirato a Un Padre da film, romanzo di Antonio Skàrmeta, autore cileno da cui il cinema spesso attinge per tirar fuori pellicole più o meno importanti, tra cui non possiamo non ricordare Il Postino del nostro Massimo Troisi e il più recente No: I Giorni Dell’Arcobaleno di Larrain, The Movie of my life è diretto da un regista brasiliano, Selton Mello, e vede tra i protagonisti un attore francese, ovvero Vincent Cassel.
Questa componente internazionale si sente e si respira all’interno di un’opera che esalta la settima arte divenendone quasi un omaggio, regalandoci in ogni sequenza qualcosa che richiami il concetto stesso di cinema, a partire dal titolo che rende manifesta l’idea, ad una fotografia nostalgica velatamente seppia, a continui riferimenti, tra professioni, citazioni, ecc…
Nel Brasile di inizio anni ’60, in un villaggio della Serra Gaucha, Antonio Terranova detto Tony è un ragazzo di circa 20 anni, figlio di madre brasiliana e padre francese (Cassel, appunto). Tony torna a casa dopo aver studiato fuori città e trova lavoro come professore, ma fa l’amara scoperta della partenza del padre, probabilmente per la Francia, che ha pertanto abbandonato la moglie e la propria famiglia per ragioni che tutti sembrano ignorare.
Da qui Mello ci fa percorrere questo particolare spaccato della vita di Tony, alle prese con l’esigenza del cambiamento, di prendere atto dell’assenza della figura del padre e di andare avanti, perché rimanere in attesa di qualcosa che non sappiamo se arrivi o meno condiziona la nostra vita ed il nostro compito è invece quello di viverla.
Un aspetto centrale e pressante all’interno dell’opera, che il regista dimostra di sentire particolarmente suo, dedicando anche il film ai propri genitori e recitando attivamente, affidandosi il personaggio Paco, all’apparenza un comprimario che avrà però un ruolo nevralgico nello sviluppo narrativo.
Una narrazione che si snoda attraverso passaggi fondamentali in termini di sostanza, ma che possiede alcuni elementi di contorno che ne esaltano la forma. La multietnicità già citata è un fil rouge che lega l’opera, e ne possiamo ritrovare gli aspetti nel convulso andirivieni psicologico di Tony e dei personaggi che lo circondano, che assumono sfumature a tratti irrealistiche e ci catapultano in un’atmosfera sognante, come anticipato per altro da Mello, per mezzo della voce narrante del protagonista, nelle prime battute. Ecco quindi che troviamo prostitute appassionate di geografia e che conoscono a memoria tutte le capitali, o un mappamondo e la sua importanza, o più semplicemente quegli sconfinati paesaggi catturati da una fotografia eccezionale, che ci regalano quasi un’atmosfera da film francese.
I temi che il regista continua a sfiorare sono tanti, e questa sua semina per lunghi tratti diviene il motore di un film che procede veloce come il treno che porta i suoi protagonisti a “risolvere le cose”. Tuttavia ad un certo punto la narrazione arriva ad un momento di svolta, e sembra accantonare diversi aspetti che meritavano forse un maggiore studio, o più semplicemente è stato bravo Mello a suscitare la nostra curiosità verso il background dei suoi personaggi, al punto che apprendiamo solo alla fine la vera storia della vita del padre di Tony, ed al contempo la nostra brama di conoscenza si deve arrendere di fronte al muro posto dinanzi al suo stesso Paco, o a un’eccezionale e silenzioso comprimario come la stupenda Petra (Bia Arantes).
Queste mancanze si scontrano poi, paradossalmente, con una improvvisa perdita di ritmo nella parte centrale del film, che tende ad indugiare un po’ più del dovuto, partorendo qualche momento morto che si poteva forse evitare, accelerando poi in maniera repentina sul percorso di crescita di Tony, la cui trasformazione da ragazzo impacciato ed insicuro in una sorta di Casanova che la sa lunga sfiora il ridicolo.
Al di là di tutto ciò, il contorno estremamente emozionale dell’opera riesce a farci superare questi lati un po’ oscuri, facendoci concentrare soltanto su quelle luci seppiate che fanno venire nostalgia di tutto, e ci sollevano dal terreno come fa Tony di fronte all’amore, che sia quello per Luna o quello per il cinema.
Verdetto:
The Movie of my life è un’opera multietnica, tratta dal romanzo dell’autore cileno Skàrmeta, diretta dal regista brasiliano Mello e interpretata, tra i tanti, dall’attore francese Cassel.
Un’internazionalità che si respira e si percepisce, così come la passione per il cinema che diviene uno dei punti nevralgici dell’opera. La storia familiare è il pretesto per toccare numerosi aspetti, diversi tra loro, tuttavia quando la narrazione arriva ad un momento di svolta, Mello sembra accantonare quelle storie da lui sfiorate e che meritavano forse un maggiore studio, o più semplicemente dobbiamo riconoscergli il pregio di aver suscitato la nostra curiosità verso il background dei suoi personaggi.