Fino all’ultimo indizio, il nuovo film di John Lee Hancock, sfodera un cast stellare e idee fuori dagli schemi. Ma non basta per promuoverlo
John Lee Hancock fa il pieno di star per la sua ultima fatica, Fino all’ultimo indizio (The Little Things), – disponibile sulle piattaforme digitali dal 5 marzo 2021 – chiamando a intervenire Denzel Washington, Rami Malek e Jared Leto. Un cast di spessore con la presenza sulla scena di ben tre Premi Oscar, evento più unico che raro e di cui il film in effetti sembra aver bisogno, annaspando da subito tra problemi di varia natura, dalla scarsa caratterizzazione dei personaggi, a uno script indecifrabile, fino alla complicata catalogazione di un’opera che vorrebbe uscire dal procedural e dal thriller per prendere derive un po’ meno banali, lasciando però tutto sospeso e solamente abbozzato, compresi il messaggio e l’etica che fanno da sfondo alla narrazione.
Questa è molto brevemente una sintesi di Fino all’ultimo indizio, che parte con premesse intriganti per gli amanti del crime e delle storie di serial killer, portandoci nella Los Angeles degli anni ’90 all’interno di un’indagine che viene definita dai protagonisti come la più complessa dai tempi del Night Stalker.
Qui il vice sceriffo della contea di Kern Joe “Deke” Deacon (Denzel Washington), nonché ex detective di polizia, viene chiamato in un distretto del LAPD per raccogliere delle prove forensi relative a un recente omicidio, e accompagna così il detective capo Jimmy Baxter (Rami Malek) sulla scena di un nuovo omicidio in città. Deacon nota subito delle somiglianze con un vecchio caso di omicidio seriale che non era stato in grado di risolvere, e per questo si mette al servizio di Baxter per aiutarlo nelle indagini.
Uno degli aspetti migliori di Fino all’ultimo indizio è proprio l’atmosfera anni ’90, quasi di fincheriano retaggio, impreziosita da dettagli di scenografia ma anche dalla fotografia illuminante di John Schwartzam, fedelissimo di Hancock e ne comprendiamo bene il motivo. Ad ogni modo, dal periodo rappresentato ad oggi di film di genere ne abbiamo visti a iosa e il tema del detective inseguito dai fantasmi del passato non è certo una novità. Eppure qui John Lee Hancock sceglie di trattarlo marginalmente, come a sottolineare la voglia di basarsi su canoni prestabiliti per poi proporre tuttavia qualcosa di diverso.
Il problema però è che Fino all’ultimo all’ultimo indizio fa un passo avanti e due indietro, sballottato tra il desiderio di crescere e da grande essere un drama, e quello di restare “piccolo” al sicuro dietro i canoni del thriller movie. Il risultato è giocoforza un ibrido poco convincente che non sa elevarsi, palesando uno scarso sviluppo dei personaggi, ma che non è nemmeno più in grado di agire da thriller, dal momento che dall’impalcatura sono stati tolti i pilastri.
Un vero peccato, perché in alcuni momenti si intravedono le capacità di una intrigante crime story, con il potenziale villain e serial killer Jared Leto che studia da John Doe, pescando anche dai suoi vecchi personaggi e mettendo poi in scena un folle, imbolsito e psicopatico Albert Sparma, e i due detective che, sempre per citare il masterpiece di Fincher, Seven, ricordano in determinati passaggi Mills e Somerset (che ci perdoneranno per il paragone). Manca però tutto il contorno: i flashback di Deacon arrivano troppo tardi o comunque non si legano al racconto in modo adeguato e coerente, e l’apparente determinazione di Baxter svanisce nel giro di pochi minuti, mettendo nel cassetto un autorevole detective in favore di un “ragazzino” che sembra un pesce fuor d’acqua, insicuro e spaventato.
Tutto sommato, nonostante la sceneggiatura non lo aiuti, è Denzel Washington a mantenerci svegli con un personaggio solido, perfettamente nelle sue corde, seppur privato della sfida con Jared Leto, quel gatto contro topo tipico di questi thriller, che avrebbe dato la spinta necessaria al film. Per poche sequenze Fino all’ultimo indizio ci illude che possa esser così, per poi ricadere nel suo enigmatico e lento procedere.
Sono i dettagli e le piccole cose – the little things -quelle che contano, e che ti possono fregare. Lo fa ripetere più volte Hancock al Deacon di Washington, ma forse è lui che dovrebbe ricordare l’importanza delle cose grandi, delle basi, come una sceneggiatura efficace e interessante. È un regista ambizioso e di talento, e non troppo tempo fa lo abbiamo apprezzato in uno dei suoi ultimi lavori, l’ottimo Highwaymen – L’ultima imboscata distribuito da Netflix, dove in egual misura mancava l’azione in senso stretto, ma in cui si era dimostrato assai più abile nel rendere percettibile anche la violenza non visibile, concentrandosi sulla sfera privata e professionale dei due texas ranger protagonisti, e nascondendo allo spettatore proprio quei due criminali – Bonnie e Clyde – che invece, ai tempi, riscuotevano così tanto “successo”. Qui il criminale lo nasconde anche troppo bene, ma fa lo stesso con i due detective, e così al netto delle buone idee, di una fotografia curata o una leggera e inquietante musica di sottofondo e soprattutto di tre attori premi Oscar, Fino all’ultimo indizio resta bloccato in un limbo dal quale non riesce a uscire., sprecando gran parte del suo potenziale.