Food Wars, l’opera di Yuto Tsukuda e Shun Saeki, realizzata in collaborazione con la chef Yuki Morisaki, volge al termine dopo sette lunghi anni
Ogni storia è destinata a concludersi, nel male o – come nel caso specifico – nel bene. Dopo sette anni di acclamata pubblicazione, coronati con ben 317 capitoli editati, racchiusi in 36 tankobon e la bellezza di tre (tra poco quattro) adattamenti animati, si è da poco conclusa una della serie manga più particolari e fuori di testa, ma anche amate, dell’industria: Shokugeki no Soma. L’opera, conosciuta nel nostro Paese anche col nome Food Wars, ha saputo divertire, appassionare e soprattutto sorprendere dal primo all’ultimo momento, e lo ha fatto portando sugli scaffali (e sugli schermi) un prodotto fresco, genuino e mai scontato, capace di mescolare con grande maestria, due realtà sulla carta completamente all’antitesi: gli shonen manga e la cucina.
La storia, i numeri e tutta l’attenzione mediatica intorno alla produzione hanno dimostrato però che la titanica impresa, non esattamente tra le più facili, è stata portata a termine, con grande soddisfazione, dai tre principali “tenori” da cui è stata portata avanti: Yuto Tsukuda (storia), Shun Saeki (disegni) e la chef Yuki Morisaki. È fondamentale considerare tutti e tre gli autori sullo stesso livello, giacché – a conti fatti – il perfetto meccanismo creato non avrebbe funzionato senza la presenza di uno dei tre fondamentali tasselli.
Ma se sul piano tecnico si può considerare la presenza di un disegnatore o l’altro, ciò che diventa imprescindibile è la presenza della chef Morisaki, il vero e proprio ago della bilancia di un’opera che fa del realismo e della ricercatezza di una cultura culinaria vasta e senza confini il vero punto di forza.
Perché sì, Food Wars è scritto benissimo, vanta personaggi impossibili da non amare e una storia di pregevole caratura, il tutto impreziosito da un lavoro minuzioso in termini di realizzazione tecnica, ma non sarebbe stato lo stesso senza la grande perizia nel rappresentare quello che poi è un po’ il comun denominatore di tutto: il cibo. Per tal motivo, più che valutare nel complesso il prodotto dal punto di vista della sua qualità come manga, abbiamo deciso di virare in una direzione leggermente diversa. Del resto, l’opera ha puntato con forza le luci su una realtà ben distante dalla concezione comune della cucina giapponese, erroneamente limitata a prodotti come sushi, ramen e poco altro.
E con la chiusura definitiva del manga (e quest’anno arriverà anche l’ultima stagione dell’anime), risulta doveroso tirare complessivamente le somme su un prodotto coraggioso, che ha saputo – a suo modo – risultare rivoluzionario sotto diversi aspetti.
Tutti a tavola!
Prima di cominciare, sfatiamo subito il – più che lecito – dubbio che potrebbe aver attanagliato la mente dei lettori, specialmente quelli più estranei all’opera in sé. Food Wars è un prodotto validissimo e non smette mai di esserlo, mantenendosi più che godibile per tutta la sua durata, indipendentemente dal tema trattato. La trama di fondo, che poi ruota intorno a quel che accade vicino ai fornelli, certo, è degna dei migliori shonen, a cavallo tra gli archi narrativi in cui il protagonista è costretto a soccombere schiacciato dal peso dell’insormontabile nemico, con la conseguente necessità di power up e addestramenti vari, ai fini di una vendetta però mai scontata e la maggior parte degli stilemi delle opere del genere.
Il percorso affrontato da Soma, il protagonista della storia, può considerarsi un po’ come quello di Son Goku, Kurosaki Ichigo, Naruto Uzumaki e tanti altri protagonisti della scene dei battle shonen, per varietà e complessità, con la differenza che in Food Wars, le onde energetiche e le super tecniche varie vengono fatte con mestolo e padelle alla mano.
Il giovane protagonista vive con il padre, un cuoco di fama mondiale, gestendo la tavola calda di famiglia, in una competizione continua che va al di là dell’età e della differenza di preparazione. Questo almeno finché Joichiro Yukihira, papà di Soma, decide di iscrivere il figlio all’accademia Tootsuki, vera e propria istituzione per quanto concerne il settore culinario. Da lì in avanti, gli eventi prenderanno una piega totalmente diversa che, proprio a causa della forte vena da battle shonen che pervade il titolo, spesso e volentieri si tradurrà in numerose battaglie all’ultimo sugo, tenendo sempre a fuoco quello che può essere sintetizzato in un un triplice obiettivo: migliorarsi, “sopravvivere” e scalare le rigide gerarchie della scuola.
In tanti, infatti, sono gli attori protagonisti e antagonisti dell’opera di Tsukuda, uno Tsukuda che, a conti fatti, ha portato avanti la storia nel miglior modo possibile, fino al raggiungimento di un finale forse inatteso ma che ha saputo offrire ai lettori quel giusto grado di soddisfazione. Nel bene o nel male, gli autori hanno chiuso completamente il ciclo, senza lasciare alcune delle numerose storie e sotto storie in sospeso, dividendo così leggermente l’opinione pubblica.
Ciò che però, e lo ribadiamo, ha sempre saputo mettere tutti d’accordo è la qualità complessiva con la quale l’opera è stata realizzata, non soltanto in termini tecnici o narrativi, ma anche e soprattutto nella realizzazione e nell’esplicazione dei tantissimi piatti proposti durante tutto l’arco delle vicende.
Grazie alla collaborazione con la chef Yuki Morisaki, si è avvertito già dalle primissime battute quanta importanza fosse stata riposta nella riproduzione delle varie ricette, a partire dalla scelta degli ingredienti fino alla preparazione, senza trascurare l’importantissimo step dell’impiattamento. Insomma: Food Wars ha come protagonista sì Soma e i suoi “commilitoni” ma anche, e soprattutto, la cucina, solenne arte a cui il Giappone ha da sempre giurato amore e che qui, finalmente, trova tutto lo spazio che merita.
Una cultura vasta e variegata
Alzi la mano chi, un po’ per sentito dire, non dia per scontato il fatto che in Giappone si mangi soltanto sushi e pesce in generale. Alzi la mano chi, ancora, ha mai anche soltanto associato lo splendido Paese del Sol levante al goloso mondo della cucina. Ebbene, niente di più sbagliato.
In Giappone, infatti, la cultura per la cucina e l’amore per il cibo non ha nulla da invidiare a quella più blasonata per i manga, per gli anime o per lo sport e, grazie a Food Wars, questa verità è venuta finalmente a galla.
Così com’è possibile vedere nell’opera in questione, gli chef giapponesi si dilettano con la preparazione di tantissimi piatti, diversi ed elaborati, ma anche quelli più semplici, a favore comunque di una ricchezza ed una qualità gastronomica di elevato spessore. Non è assolutamente un caso che la chef di fama internazionale abbia collaborato alla creazione dei piatti visti nel manga ha potuto svariare così tanto, per tematiche e per varietà, perché tutto ciò risiede in quella che è una cultura ben radicata e con diverse frecce al proprio arco. Basti pensare che già dalle prime stagioni, in Food Wars si assiste a sfide culinarie di ogni genere, con il tema principale spesso e volentieri diverso e inaspettato.
Quella che vediamo è una guerra che coinvolge il pesce migliore, la spezia più saporita, da trovare attraverso una lunga ricerca sia geografica sia proprio culturale, rispecchiando appieno quello che è veramente un Paese ricco come non mai di prelibatezze provenienti da posti sempre diversi.
Qui entra in gioco, chiaramente, anche tutto quello studio che viene fatto e riproposto perfettamente nella serie, per sfruttare al meglio ogni ingrediente, per valorizzarne sempre e il più possibile ogni singolo sapore. Per tutta la durata dell’opera, che sia il manga o l’anime, grazie alla magia delle animazioni e della resa cromatica magistrale ad opera dello studio Production I.G, si riesce ad essere testimoni di una corsa continua alla padronanza di ciò che si ha in mano e si deve, giocoforza, trasformare in un agglomerato di sapori e sensazioni.
E così, si genera una vera e propria cultura alimentare che non ti aspetti, in cui si scoprono dettagli impensabili e fondamentali, ai fini della creazione di un piatto sempre più vicino alla perfezione. Si assiste spesso, ad esempio, alla voglia di viaggiare dei vari protagonisti, decisi ad esplorare le culture culinarie dei Paesi anche più lontani, proprio in onore di una vastità quasi senza fine di quello che, di primo acchito, potrebbe sembrare null’altro che, per dirne una, una semplice frittata. Shokugeki no Soma (o Food Wars), però, compie questo enorme excursus senza tralasciare quella che è la base culturale culinaria giapponese, che basa (così come si vede spesso nell’opera) buona parte dei piatti su i tre principali ingredienti: il riso e le uova e, chiaramente, il pesce.
All you can eat
Pur tenendo bene a mente che durante le avventure di Soma & co. vengano mostrati piatti sempre più fantasiosi e non esattamente ordinari, è bene considerare che il tutto viene realizzato affidandosi ad una base solida, che fa dei piatti tipici del Giappone un punto di partenza e di diramazione. Per chi ancora non lo sapesse, infatti, non è strano trovare nei menù dei piatti che attribuiremmo senza troppi complimenti alla nostra di cucina, come ad esempio le fritture o quelli a base di carne che, anzi, fanno parte nella maggior parte dei casi della lista dei piatti tipici della cucina nipponica.
Così come nell’anime, infatti, i piatti più rappresentativi svariano tra diverse tipologie, che comprendono sia i sopracitati sia le immancabili pietanze a base di pesce. Sushi e sashimi, dunque, ma c’è anche spazio per il sempre più rappresentativo okonomiyaki, un piatto che, come dice la parola stessa, consiste nella totale libertà da parte del cliente nella farcitura di una grossa “frittatona”, da riempire, appunto, con ciò che si desidera. Non potrebbe mancare – seppur in Food Wars si veda poco o nulla – l’immancabile ramen, il piatto a base di tagliatelle di provenienza tipicamente cinese, divenuto il simbolo di tantissimi anime e manga, come ad esempio Naruto, che rappresenta quanto di più semplice ma allo stesso tempo saporito si possa trovare nella folta schiera dei “primi piatti” del panorama culinario giapponese.
La varietà complessiva dei piatti, comunque, è assolutamente invidiabile e va da una tipologia all’altra di pietanza con un metro qualitativo sempre tirato verso l’alto. Impossibile non menzionare, da questo punto di vista, gli yakitori, ottimi spiedini di pollo (sì, avete capito bene) sapientemente speziati, di cui esistono più varianti, o il super appetitoso tonkatsu, quello che definiremmo la variante giapponese della nostra cotoletta. Come dicevamo in apertura, comunque, a discapito delle apparenze, in Giappone c’è una forte passione per quel che concerne i primi piatti, in particolare per le varie tipologie di pasta.
E così, insieme al già citato ramen e al famosissimo yakisoba, trovano spazio, ad esempio, i gyoza, dei ravioli di pasta al cui interno è possibile ritrovare di tutto, a partire dalla carne fino al pesce. A giudicare dalla grande complessità e varietà dei piatti, è chiaro quanto abbia influito in modo fondamentale la presenza della chef Morisaki nel rendere forte l’idea del valore della buona cucina all’interno dell’opera.
Ciò si nota sempre e comunque, in particolare durante le tanto amate battaglie culinarie, che la fanno da padrone all’interno dell’opera, e che contemporaneamente aiutano a conoscere e caratterizzare i tantissimi personaggi presenti nel manga/anime.
Chef di qualità
Se grande merito va dato alla suddetta Morisaki, lo stesso va dato anche a Tsukuda-san, capace di creare numerosissimi personaggi e caratterizzarli magistralmente, nonostante cada nei cliché di tanto in tanto. In Food Wars, infatti, è possibile imbattersi in personaggi di ogni sorta: dal figlio di papà a quello che lotta con le unghie e con i denti per andare avanti, dal ribelle al predestinato, dal giovane talento a chi prosegue, invece, basandosi “soltanto” sull’impegno e la dedizione.
Un po’ come nella vita di tutti i giorni, c’è spazio per tutti. Non soltanto il protagonista, Soma, dunque, ma anche una quantità smisurata di comprimari e “semi-protagonisti”, nonché i numerosi antagonisti, fanno dell’opera di Tsukuda e Saeki un prodotto tanto imponente quanto incredibilmente semplice. Basti pensare alla bella Erina Nakiri e alla sua storia, antagonista prima, con tutto ciò che ne consegue, e pietra miliare poi, con un cambiamento di personalità tanto profondo quanto – se vogliamo – scontato, o anche allo stesso padre di Soma, Joichiro, la cui condotta e le successive scelte rappresentano un monito per quanto sia fondamentale, nella vita, scegliere bene la propria strada, cercando di puntare sempre al meglio, senza però mai perdere di vista quelli che sono i valori più importanti.
Valori come l’amicizia, la sana competizione, il supportarsi a vicenda e il fare fronte comune diventano così parte integrante dell’opera, nonostante, in fin dei conti, le mani siano soltanto due, quando si cucina, e non tutti abbiano la stessa qualità di esecuzione. Il grande merito di Food Wars è anche questo: pur rimanendo nei limiti della finzione e della spensieratezza, viene mostrato con delicatezza lo spietato volto del talento, che alla fine prevale sempre rispetto alla voglia di fare e all’intraprendenza, ma lo fa riuscendo a premiare un po’ tutti quanti, seppur con le dovute distinzioni. E non è un caso nemmeno la volontà di concludere la storia proprio così, rimanendo nei limiti della coerenza, offrendo uno sguardo generale all’evoluzione dei protagonisti – sicuramente profonda – ma comunque fortemente legata, fino alla fine, alla loro personalità.
Che poi la scena finale sia dedicata alla cucina e all’inaugurazione di un ristorante, beh, è un altro paio di maniche, e ci è sembrato sacrosanto.
E… Il conto?
Food Wars si conclude nel migliore dei modi, con quel che potremmo definire un lieto fine per Soma e per tutti gli altri protagonisti dell’opera. Ognuno – chi più, chi meno – ha ottenuto quel che voleva, è riuscito a centrare il proprio traguardo, rimanendo però vigile e affamato di perseguire sempre di più il sogno di una vita intera: migliorarsi sempre. Ci riesce il protagonista, ci riesce la dolce Megumi, ci riescono i fratelli Aldini e ci riesce anche, seppur diversamente, la bella Erina Nakiri, offrendo ai fan quella doverosa conclusone arrivata, probabilmente, nel momento giusto e al posto giusto.
Questo lungo viaggio, comunque, ha saputo lasciare non soltanto una sfilza inquantificabile di risate e un numero spropositato di personaggi a cui sarà difficile dire addio, ma anche una nuova visione di quel che riguarda il mondo della cucina, in particolare quella nipponica, un mondo incredibilmente vasto e variopinto, che magari non ti aspetti, ma che invece è lì, pulsante e vivo più che mai. Viva Food Wars, dunque, ma viva anche il cibo e la cucina, anche quella giapponese!