Lo annunciamo con quella che potrebbe essere la sua schiettezza: oggi Frank Miller compie 60 anni. La malinconia potrebbe invadere alcuni di noi. Sembra ieri che leggevate per la prima volta le pagine di un Ritorno del Cavaliere Oscuro a caso? Ne è passato di tempo, e di fumetti, e oggi siamo qui per riunire qualche pensiero, di riflessione o celebrazione, dedicato a un autore storico per 300 (ehr…) motivi diversi.
L’incontro tra Frank Miller e il fumetto
Iniziamo con una breve presentazione: Frank Miller nasce il 27 Gennaio 1957 a Olney, nel Maryland, in una numerosa famiglia di origini irlandesi e fede cattolica. Già qui si potrebbero tracciare dei parallelismi con alcuni dei suoi più importanti e celebri lavori in campo fumettistico, quelli collegati a Daredevil, un altro cattolico di origini irlandesi, ma dei fumetti parleremo più tardi. Frank fu un appassionato lettore di narrativa grafica sin da adolescente. All’alba dei suoi vent’anni, arrivarono (quasi sicuramente) i suoi primi lavoretti per l’industria, sebbene non attribuibili con assoluta certezza per mancanza di crediti. A 22 anni, cominciò a lavorare in Marvel come copertinista e disegnatore “tappabuchi”, per l’allora testata di Spider-Man, dove ogni tanto faceva qualche breve apparizione anche il diavolo rosso di Hell’s Kitchen. Miller fece presente il suo grande interesse per un personaggio, quello di Daredevil, dal potenziale tanto alto quanto poco era di successo al tempo, e passò a disegnatore della sua testata. Giorno felice.
Eh sì, perché da qui iniziano le fortune del personaggio e dell’autore. Ma non subito. Inizialmente, Miller odiava lavorare sulle sceneggiature dell’allora scrittore McKenzie, considerò addirittura di lasciare la serie, così come la Marvel considerava di sopprimere la testata, per scarse vendite. Poi, come editor, arrivò Denny O’Neil che, impressionato da una storia secondaria scritta da Miller stesso, decise di fare dell’autore lo scrittore della testata principale di Daredevil, con buona pace del licenziando McKenzie. Ed ecco nascere così la splendida storia d’amore tra Frank Miller e Matthew Murdock, dalla quale il secondo ottenne innumerabili benefici (Elektra, Stick e il Clan della Mano… vi bastano?). Ed è una buona notizia anche per il nostro articolo, visto che completata questa obbligatoria premessa possiamo incominciare a parlare di fumetti.
Leggere Frank Miller
Avete mai letto qualcosa di (almeno) scritto da Frank Miller? È qualcosa di diverso. Emerge, fortissimo, uno stile, una voce distinta e roca, ma decisa, inflessibile, anche nel dipingere il dubbio e l’insicurezza. Anche il suo stile grafico percorre questo pattern: un’anatomia non perfetta riesce a esprimere una potenza narrativa incredibile, nonostante tutto o forse proprio in virtù di quei “difetti”.
Non tutti i lettori più o meno casual oggi apprezzano da subito il suo tratto, eppure dopo una manciata di pagine si sono abituati e vanno avanti fino alla fine. Fate una prova, fate leggere Il Ritorno del Cavaliere Oscuro a chi non ha mai letto fumetti. Noi l’abbiamo provato: dopo uno scoglio iniziale dovuto soprattutto a particolarità dei disegni e super compressione di testo ed eventi (che però influisce fino a un certo punto su chi non è uso ai fumetti recenti), vi diranno che l’hanno letto tutto d’un fiato. E il bello è che tutto questo rispecchia, in un certo senso, persino le sue filosofie (o quelle delle sue creature).
L’arte e la filosofia di Frank Miller
Gli eroi milleriani sono sempre stati portatori di visioni totalizzanti (non totalitarie) della società, del proprio ruolo, dei propri nemici, ma, attenzione, lo sono sempre dopo una riflessione. Il viaggio che, nelle sue opere, ci porta dal problema alla soluzione è fatto di pensieri talvolta paradossali, talvolta sovversivi, quasi sempre in qualche modo provocatori. La provocazione, nell’arte, è creatrice di conflitto su due piani differenti, quello della storia e quello sovrapponibile dell’attualità. La provocazione è sempre attuale, e Miller ne è maestro.
Persino una storia tutto sommato semplice come quella di Batman: Anno Uno (Miller ai testi, quell’altro mostro sacro di Mazzucchelli ai disegni) ci rivela un’oscurità profonda, molto più della caverna nascosta nei meandri sotterranei della Wayne Manor. L’oscurità di un personaggio, compressa fino al punto di essere impugnata e usata come arma, contro un’altra ombra, quella proiettata dal mondo su se stesso. La stessa dinamica, con le dovute proporzioni parallele, si ritrova in Elektra: Assassin (con i disegni del genio Bill Sienkiewicz) o in Devil: Rinascita (di nuovo Miller-Mazzucchelli), dove il cieco giustiziere si ritrova, forse per una delle prime volte, davvero al buio. Un buio interiore e morale, oltre che sensoriale. Anche perché la mancanza di un senso si può superare con gli altri, ma un vuoto di sicurezze, la paura di essere soli in un posto della propria vita da cui non si sa come uscire… Vincere questo sì che richiede davvero un eroe.
Miller e la società
E Il Ritorno del Cavaliere Oscuro? Ancora più emblematico, ci mostra una Gotham City che, a un certo punto della sua storia, ha “vinto” e, dalla sua stessa vittoria, come dice Bane a Batman nel terzo capitolo della saga cinematografica di Nolan (che da Miller ha preso parecchia ispirazione, e giustamente), è stata sconfitta. Una Gotham che forse, lasciata a se stessa per altro tempo, sarebbe divenuta quella Sin City che Miller stesso, con un uso magistrale della parte visiva del medium, ci ha donato. Ombre totali e invadenti, un’oscurità perimetrale opprimente e invincibile, che tuttavia non impedisce ai più folli dei suoi abitanti di combattere con la stessa ostinazione di 300 spartani destinati alla morte, ma forse anche alla gloria.
Ebbene, in quella Gotham, all’ultimo minuto disponibile per essere salvata e forse un po’ più tardi, un Bruce Wayne avanti con l’età si rende conto di questa contraddizione e, contro tutte le precauzioni e tutte le regole dettate dai “vincitori”, scende nuovamente in campo. La cosa crea caos, scompiglio, persino il ritorno di vecchi nemici… o quello di vecchi amici. Il punto non è questo: anche laddove la libertà abbia un altissimo prezzo da pagare, quello va pagato, sempre. È questo che sembra dirci il Batman che ritorna, quello che si scontra ancora una volta con un Joker vecchio ed entusiasta quanto lui. Il Batman che, uomo, è capace di dare una lezione morale e fisica al “dio” Superman, il superuomo che si è fatto servitore dell’umanità, mosso da intenzioni lodevoli ma forse ingannato dalla bella apparenza di certi valori che, non meno di altri più deplorevoli, possono essere piegati agli scopi di un’élite subdolamente negativa.
E questa lezione può colpire qualsiasi essere umano, appartenente a ogni società, a prescindere dal periodo storico e dagli orientamenti personali. Tale lezione è un monito, forse sì, un po’ troppo manicheo per essere applicato tout court alla realtà. Ma stiamo parlando di una storia di supereroi, è quindi logico che sia così schietta energica nel riflettere su qualcosa. E una regola, forse l’unica che Miller stesso approverebbe, da seguire nell’assimilare le sue opere (e quelle di ogni artista) è di non cadere nell’errore della politicizzazione, che spesso gli viene attribuita. Al di là del fatto che ciò è sovente frutto di un’analisi superficiale, il punto è che l’arte e la narrativa, benché spesso politicizzabili, non dovrebbero mai essere politicizzate, così da poterne cogliere i messaggi universalmente e, solo in seguito, decidere se accettarli o meno.
Perché nell’accettare o meno quei messaggi esiste una riflessione del lettore, e la riflessione è sempre un bene a priori.
Viene prima Miller o l’eroe milleriano?
Altra questione piuttosto sottile. Ormai, nel 2017, siamo abituati al paradigma introdotto da Frank Miller per determinati eroi: Batman, Daredevil, Elektra, gli spartani di 300… Molti di loro sono protagonisti anche di cinema e serie TV, traendo ispirazione dai modelli fumettistici. Eroi oscuri, quindi, tormentati, costretti a trovare la propria forza nella propria più grande debolezza. Ma, tornando indietro nel tempo, si potrebbe pensare che quegli eroi fossero già così in nuce, prima dell’arrivo di Miller, e che quindi il paradigma sia a lui antecedente, trovando nell’autore la propria più grande e forte espressione.
La verità probabilmente è nel mezzo. Frank Miller ha lavorato certamente anche ad altri sottotipi di eroi (le sue storie di Spider-Man sono state recentemente ristampate in raccolta da Panini Comics, all’interno della collana Spider-Man Collection, seguito spirituale proprio di quella dedicata a Daredevil), dandogli un po’ di se stesso. Forse, quelle storie, comunque più saltuarie e sempre di valore, sono rimaste meno impresse nell’immaginario comune proprio per una minore affinità autore-personaggio. Ogni penna, per identità e natura, avrà dei generi e, perché no, dei personaggi con cui si trova meglio, non è affatto una colpa. Ma non sarebbe neanche giusto attribuire il paradigma milleriano a una semplice alta compatibilità. Tant’è che gli stessi Daredevil e Batman, prima di Miller, non erano quelli che sono diventati dopo, con e grazie a lui. E questo non può che essere sintomo di quanto abbia donato loro, e a noi, con la sua opera.
Miller senza compromessi
Non ci si sorprende a scoprire che un autore così difficilmente accetta compromessi. Questo ha creato, nel corso di una lunga carriera che proprio di recente ha compiuto nuovi passi in avanti (con il terzo appuntamento con la saga del Cavaliere Oscuro, da noi ancora in corso di pubblicazione, e del Cavaliere Oscuro: L’Ultima Crociata, piccolo prequel auto-conclusivo del primo capitolo), una serie incredibile di alti ma anche qualche basso. Attenzione, però, perché anche questi “bassi”, così volgarmente e approssimativamente definiti, sono stati espressione della sua poetica. Forse con l’eccezione di All Star Batman & Robin, saga recentemente ristampata in volume super-sized da RW Lion (come d’altronde anche Ronin), con i disegni ipertrofici di un Jim Lee come sempre in forma ma probabilmente troppo dissonante con lo spirito dissacrante dello sceneggiatore, come dicevamo più su, forte proprio delle sue imperfezioni.
L’esempio celeberrimo che rimane è il secondo capitolo della saga del Cavaliere Oscuro, Il Cavaliere Oscuro Colpisce Ancora, occasione in cui l’autore si è scatenato e divertito a sconvolgere le aspettative del mondo, su di lui e sul suo Batman, riuscendo però a non tradire se stesso. È vero, è un’opera inevitabilmente destinata a deludere chi vi cerchi un “more of the same” del Ritorno del Cavaliere Oscuro, desiderio più che legittimato dal mito creato da quest’ultimo. Ma forse Miller, pregato di ripetere il miracolo, ha deciso che, invece del miracolo che tutti gli altri volevano (editore compreso e in prima linea), avrebbe compiuto il suo: una storia acida e destabilizzante sotto moltissimi punti di vista, sia narrativi che grafici. E questa è, paradossalmente, anche la salvezza di quest’opera: se vi cercherete Frank Miller, ne troverete a pacchi al suo interno e sarà impossibile non apprezzarla.
Buon Compleanno, Frank!
Abbiamo considerato tutto questo, e lasciato fuori persino qualche risultato personale al di fuori del fumetto, come la collaborazione alla regia dei due film su Sin City, e quella del controverso The Spirit, pellicola basata sul personaggio di Will Eisner.
Ma, in fondo, è inutile negarlo: oggi, il giorno del sessantesimo compleanno di Frank Miller, maestro indiscusso del fumetto, divenuto colonna del medium moderno e così tanto influente per gli altri, è proprio parlando di fumetto che avevamo voglia di parlare. Tutto ciò per augurargli un buon compleanno nel migliore dei modi possibili, ovviamente sperando che a una carriera già tanto ricca seguano ancora altrettanti successi, la cui produzione potrebbe essere stata rimessa in moto proprio di recente. Oltre al già citato Dark Knight III: The Master Race, parzialmente disegnato e co-sceneggiato insieme a Brian Azzarello, si parla già di un quarto capitolo in arrivo e, nel bene o nel male, non possiamo che attenderlo con ansia sin da ora.