Come il coronavirus rischia di cambiare per sempre il mercato del fumetto 

Il fumetto e il coronavirus. Come tutto il resto del mondo, il fumetto è stato travolto da una delle più grandi emergenze di questo secolo. La portata sconvolgente e rivoluzionaria in tutti i sensi della pandemia da CoVid-19 (o Covidio, per gli amici e per Leo Ortolani) è tale, infatti, che ormai la prospettiva per il futuro non è tanto quella di un ritorno alla normalità pre-virus, bensì l’avvento di un’epoca nuova dai contorni ancora nebulosi. Migliore? Forse. Peggiore? Forse. Diversa? Sicuramente.

Interi settori produttivi si stanno dunque riorganizzando,  soprattutto quelli che ne hanno i mezzi senza rischiare il collasso, mentre gli altri andranno probabilmente incontro ad una rinascita totale, definitiva. Tra questi, la sorte peggiore potrebbe toccare all’industria culturale nel suo complesso, con le dovute sfumature. 

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Asterix ha “predetto” il Coronavirus

Basti pensare al cinema, con le sale che sono tra i luoghi più a rischio contagio e che questo periodo potrebbe cancellare dalle nostre abitudini a favore dell’ascesa risolutiva delle piattaforme di streaming; ai concerti, anche loro costretti a fare i conti con una controparte digitale sempre più soverchiante; i teatri, i soli a non aver mai davvero esplorato una simile alternativa. 

Anche l’editoria è stata investita, ma a scaglioni e alcuni comparti hanno tenuto meglio di altri. Da una parte, l’editoria di varia ha visto la chiusura delle librerie, sia di catena che non, e la momentanea limitazione di Amazon. I dati per il 2020, in questo senso, sono allarmanti: la stima parla di 21 mila titoli in meno, 44 milioni di copie che non saranno stampate, 2900 libri che non saranno tradotti, 12 500 novità bloccate e una perdita complessiva sul canale della libreria di 60 milioni di euro nei primi 4 mesi dell’anno, con oltre il 70% delle casa editrici che sono in procinto di rivolgersi o che si sono già rivolte alla Cassa Integrazione. 

E il mondo del fumetto? Per ora, nella fase più acuta dell’emergenza, sembra aver tenuto botta, seppur con qualche crepa grazie al suo mercato vario e diversificato. Ma anche il fumetto sotto il coronavirus dovrà adattarsi alle sfide che incombono e prepararsi alla “Fase 2”.

Come? Abbiamo provato a immaginarci degli scenari futuribili, partendo dalle primissime ore dell’emergenza per ipotizzare il dopo, la tanto vituperata “Fase 2” con al centro il fumetto e la convivenza col coronavirus. 

Il lockdown

Abbiamo tutti negli occhi i primi, drammatici momenti dell’emergenza: fine febbraio con i focolai che spuntano nel nord, la paura, l’incertezza e la progressiva scoperta che la minaccia è letale e a pochi passi da noi, finché non è scattato il lockdown generale del 9 marzo. In quelle settimane, le realtà del fumetto stavano organizzando la primavera, da sempre uno degli snodi centrali dell’annata con le prime fiere e la preparazione delle pubblicazioni estive, tradizionalmente uno dei periodi in cui grazie al traino delle vacanze le vendite aumentano. 

Come tutti, l’intero settore è rimasto spiazzato ma, salvo i primi momenti di disorientamento, ha reagito molto bene, mostrando una grande compattezza e dando vita ad una serie di iniziative che ci hanno tenuto compagnia per le settimane successive. Abbiamo francamente perso il conto (ma non la gratitudine) di tutte quelle case editrici che hanno reso disponibili online alcune delle loro pubblicazioni, come Renoir Comics, Coconino Press, Nicola Pesce Edizioni, Sergio Bonelli Editore, Kleiner Flug e tante altre. 

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Parallelamente, non sono mancate le dimostrazioni di solidarietà sia nei confronti degli ospedali che degli anelli deboli della filiera come i punti vendita, costretti a fare i conti con una chiusura potenzialmente definitiva. Da una parte, Eris Edizioni e Canicola Edizioni con “Adotta una libreria” che permetteva giornalmente, attraverso un codice, a chiunque acquistasse un volume Eris o Canicola di devolvere il prezzo ad un punto vendita; il progetto simile di Manicomix Distribuzione, una delle principali reti distributive del fumetto a sostegno delle fumetterie col temporary store di Fumetterie.com.

Senza dimenticare le raccolte fondi per il sistema sanitario fortemente provato dall’emergenza, con l’ARF! Festival che tramite il progetto Come VIte Distanti ha chiamato a raccolta i nomi più grandi del fumetto italiano per realizzare un libro il cui ricavato verrà donato allo Spallanzani di Roma; o le Lockdown Chronicles del PAFF! Palazzo Arti Fumetti Friuli, dall’impostazione simile.

Insomma, nel complesso il fumetto italiano ha risposto con forza all’emergenza coronavirus. Oltre alle mirabili iniziative che abbiamo elencato (e alcune che ci sono purtroppo sfuggite), anche gli autori hanno battuto un colpo organizzando a ritmo costante live, incontri, chiacchierate dal vivo e presentazioni, sempre con l’idea di  regalare un momento di contatto umano a tutti quei lettori rinchiusi nelle loro abitazioni. Un modo per non perdere il contatto col proprio pubblico, certamente, tuttavia anche un sistema per offrire loro qualcosa oltre la carta, oltre il disegno, oltre la storia. In un certo senso, abbiamo assistito alla totale narrativizzazione della figura del fumettista, ormai elemento d’intrattenimento a prescindere dal proprio lavoro.Fumetto Coronavirus 4

Tanti di loro si sono impegnati per realizzare attraverso i vari social almeno una diretta al giorno, insieme a quelle case editrici che ci hanno portato nei salotti dei loro autori come Sergio Bonelli Editore, Bao Publishing, SaldaPress, Tunuè e Panini. Una mobilitazione, tuttavia, che non ha visto partecipare solo le realtà più grandi e con più risorse a disposizione ma anche quelle più piccole, appartenenti ad un sottobosco che vive di fiere e incontri locali e per questo molto in sofferenza.

Realtà meno note ma agguerrite, come It Comics che ha organizzato un salone, accompagnati dalle fiere come Lucca Comics e Comicon e dai punti vendita come la Libreria all’Arco di Reggio Emilia e la fumetteria Forbidden Planet, tanto per citarne alcune.

Una menzione ancor più speciale va a quegli autori che, per scelta o per sensibilità, hanno raccontato la quarantena e il coronavirus attraverso il fumetto, creando un appuntamento fisso capace di farci ridere ma soprattutto riflettere sull’emergenza in corso. In questo senso, due fuoriclasse come Leo Ortolani e Zerocalcare hanno dato il meglio di sé.

Ortolani dall’8 marzo al 4 maggio ha pubblicato interrottamente una striscia al giorno, con un ritmo di produzione folle e inedito per il fumetto italiano. Da una parte, certo, c’era il bisogno umano più dell’umano di fare i conti con quello che sta accadendo, ma dall’altra c’era anche la consapevolezza encomiabile che quelle poche vignette riuscivano a far sghignazzare di gusto tante persone tombate in casa. 

Zerocalcare ha fatto qualcosa di simile, seppur attraverso il mezzo dell’animazione. Tuttavia, anche lui si è imbarcato nell’impresa titanica di produrre, montare e doppiare da solo un corto animato alla settimana, cosa che lo avrà portato a vivere tante notti insonni e per questo ha la nostra riconoscenza. Riesce in coppia con Ortolani a farci divertire e pensare della quarantena e sulla quarantena, entrambi sono i moderni cantori della pandemia, i Boccaccio della nostra epoca.

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In contemporanea e in virtù della loro fatica, hanno visto inoltre aumentare esponenzialmente la loro popolarità: Ortolani ha raddoppiato i suoi follower, mentre Zerocalcare è stato ospite fisso ad una trasmissione di risonanza nazionale come Propaganda Live. Per due pesi massimi del genere, in realtà, venire sottoposti ad un simile turbinio non è nuovo anche se ci troviamo a livelli mai visti. Ed è naturale che questo, nel futuro, li porterà ad essere sempre più al centro, sempre più seguiti e intervistati, perché i loro lettori e spettatori non dimenticheranno che gli hanno tenuto compagnia durante quello che forse è stato il periodo più difficile delle loro vite.

Questo aspetto mostra il rovescio della medaglia dell’isolamento surreale che stiamo vivendo: l’esposizione mediatica. Il fumetto al tempo del coronavirus non è mai stato così sotto i riflettori, nonostante la lenta ascesa di prestigio e di rivalutazione culturale che l’aveva accompagnato in questo decennio, complice il fenomeno editoriale delle graphic novel. Per rendersene conto basta lanciare uno sguardo oltre i recinti del settore, con Robinson di Repubblica che dedica un intero numero ai contributi dei fumettisti che rappresentano la lotta col Coronavirus, Zerocalcare ospite di Marco Damilano nel ciclo d’incontri “I dialoghi sul nostro tempo” e tutte le collane collaterali che hanno invaso l’edicola, fenomeno questo di cui parleremo meglio più avanti.

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Per il fumetto sotto il coronavirus si tratta, al di fuori delle solite retoriche stucchevoli sul “ripartire”, di una grande occasione per scardinare finalmente la cortina di ferro del prodotto per bambini e affermarsi definitivamente. Si tratta di un’occasione unica per allargare il mercato, farsi conoscere da quei lettori che non l’hanno mai preso in considerazione e compiere un ulteriore salto di qualità, forse quello conclusivo sul piano della legittimazione culturale.

Naturalmente questo trascende dal discorso economico, ma è naturale che chi riuscirà a sopravvivere alla lunga crisi post-pandemia vedrà il proprio prestigio e di conseguenza le vendite aumentare. Quanti libri in più venderanno Zerocalcare e Ortolani per quello che hanno fatto durante la quarantena? Migliaia in più, decine di migliaia. E stiamo parlando di due autori che nel “mondo di prima” erano entrambi i bestsellers del mercato. Già prevediamo che il diario della quarantena di Ortolani, “Andrà tutto bene“, selezionato da Feltrinelli e in uscita a luglio sarà il caso editoriale dell’estate.

Questo però ci porta ad affrontare il lato oscuro e il rischio concreto del “dopo”, il dissesto che attende i canali di vendita del prodotto. Ma andiamo con ordine.

Il fumetto e il coronavirus: le librerie

Le librerie (e le fumetterie) hanno pagato un prezzo salatissimo dal lockdown. E anche prima non è che fosse tutto rose e fiori: da una parte la concorrenza spietata di Amazon e compagni, dall’altra l’incapacità di una buona parte della filiera di connettersi col 2020 e le perplessità sulla nuova legge del libro, con degli effetti ancora tutti da valutare. Fermarsi per molte di loro ha voluto dire non riaprire mai più e per il mercato stoppare un volume di uscite pari a 44 milioni di copie.

La macchina, insomma, si è inceppata e prima di poterla riaccendere ci vorrà del tempo, nonostante l’impegno di molte realtà che si sono organizzate di conseguenza. Pure qui non sono mancate, e in parte le avevamo già menzionate, le iniziative a sostegno per quello che è l’anello più fragile dell’intera catena. Un anello che, di fatto, prima viveva grazie agli “assembramenti” di natura culturale, che si sono logicamente spostati online anche se non potranno mai sostituire quelli “reali”.

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Tuttavia, di sicuro l’incentivo e la buona riuscita di queste dirette in futuro porterà sia editori che librai a organizzare molti più eventi simili. Forse nel dettaglio per il mondo del fumetto sotto il coronavirus questo aspetto sarà un po’ complesso, perché spesso l’incontro con l’autore è impreziosito dalla dedica sul libro e dalle chiacchiere con l’artista all’opera, uno scambio emozionale (e anche economico) che nessuna piattaforma potrà mai restituire. 

Chiudendo questa parentesi, dicevamo, la macchina si è fermata e non si sa quando sarà possibile farla ripartire. Ma questo, sperando di non risultare troppo retorico, può essere un bene, visto che l’intero sistema che coinvolgeva le uscite (sia del fumetto che non) in libreria era un meccanismo perverso e poco sostenibile.

In questo mercato, infatti, i soldi si generavano con la logica del 1/10: su 10 libri prodotti, bastava venderne bene solo 1 per ripagarli tutti, paradigma che portava una mola enorme di titoli pubblicati e ad un forsennato ricambio sugli scaffali. Per dare i numeri, nel 2018 sono stati pubblicati 61 118 libri in un paese dove solo il 40% della popolazione (all’incirca 23 milioni di persone) dichiara di aver letto almeno un libro l’anno.

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Il fumetto in libreria non è estraneo a questo circolo vizioso, anzi. Ma è evidente come, nel mondo che convive col coronavirus, questo meccanismo non sarà più replicabile, non sarà più possibile bombardare le librerie di uscite andando ad alimentare così una spirale perversa di falsa ricchezza, sia perché gli scaffali non potranno più assorbirli sia perché mancheranno le risorse per produrli e promuoverli.

Ci troviamo di fronte, quindi, allo scoppio (un po’ previsto e un po’ atteso) della bolla editoriale che ha tenuto in piedi il mercato fino ad ora. E questo scoppio travolgerà tutte quelle realtà medio-piccole che ci avevano puntato, mentre lascerà al loro posto quelle “troppo grandi per fallire” e le piccolissime, che non guadagnavano prima e non cominceranno a farlo ora. Il dato, lo ripetiamo, del 70% delle case editrici sul punto di rivolgersi alla Cassa Integrazione è emblematico in questo senso.

Il futuro, dunque, per la parte del mercato costituito dalle “graphic novel” è tutt’altro che confortante, ma almeno ci auguriamo che questo stop sia un’occasione per ripensare l’intero sistema, che in ogni caso non poteva continuare lungo. 

Il fumetto e il coronavirus: ritorno all’edicola.

Dall’altro lato della barricata, invece, troviamo il core business dell’intero mercato del fumetto, che vale da solo l’80% dell’intera torta stimata sui 200 milioni di euro: le edicole. 

Le edicole stanno vivendo una situazione anomala: all’improvviso, si sono ritrovate le sole a rimanere aperte dell’intera industria culturale “fisica”. Questo ha avuto sicuramente degli effetti positivi, prima di tutto quello di riqualificarle dal punto di vista esistenziale dopo anni di enorme sofferenza e decadenza. Siamo pronti a scommettere che tantissime persone che non ci mettevano piede da anni lo avranno fatto durante il lockdown, anche solo per avere il pretesto di uscire di casa approfittando delle ambiguità delle norme.

Tant’è che le vendite dei quotidiani hanno mostrato un deciso incremento, in parte azzerato dalla diminuzione dei ricavi pubblicitari. Il fumetto, invece, mentre imperversava il coronavirus si è ritrovato confinato nella culla da cui nell’ultimo decennio ha fatto di tutto per scappare.

Infatti, durante l’ascesa della libreria abbiamo assistito ad una vera e propria fuga dalle edicole da parte di tanti editori, sicuri che da lì a breve sarebbero morte. Il coronavirus, invece, sembra averle riportate prepotentemente in auge e il fumetto ne ha sicuramente approfittato, anche perché le edicole abbondano di pubblicazioni di ottima qualità.

E la riprova viene che molti colossi editoriali dei periodici, come GEDI, RCS e Il Fatto quotidiano/Paper First sembrano aver fiutato l’affare. Durante il lockdown sono incrementate le collane degli allegati e quelle dedicate al fumetto hanno subito un balzo significativo. A inizio aprile ha debuttato una raccolta completa dedicata a Magnus, alias Roberto Raviola, mentre a fine mese è partita quella dei protagonisti dell’antimafia a fumetti de Il fatto quotidiano e a maggio quella delle Graphic Novel “Visioni“, che ripropone i best seller della libreria. Senza contare quelle iniziative già presenti, come Le migliori graphic novel Marvel dell’Hachette e ZAGOR – Lo spirito con la Scure.

E siamo pronti a scommettere che da qui a breve ne verranno molte altre, non solo per i fumetti ma anche per i libri, come dimostra la recentemente annunciata serie di romanzi di Murakami in edicola.

Insomma, pare davvero che il futuro del fumetto italiano sarà legato paradossalmente alle edicole ancora a lungo. Anzi, rischia di diventare la sua ancora di salvezza, visto che nel resto del mondo il lockdown ha imposto delle chiusure letali a mercati come Francia e USA. Paradossalmente, essere l’unico mercato al mondo ancora così legato alle edicole potrebbe aver salvato il fumetto dal collasso e dal coronavirus.

E, purtroppo, questo ci porta ad un altro mercato da cui il settore dipende: quello delle fiere.

Il fumetto e il coronavirus: le fiere

Quello delle fiere, in Italia, stava piano piano diventando un mercato nel mercato, complice anche la crescita di prestigio e di organizzazione di questi eventi, capaci di richiamare decine di migliaia di persone e nel caso di Lucca di classificarsi come il secondo festival al mondo e primo in Occidente, con le sue 200 mila e passa presenze.

Non a caso, per tantissime realtà appartenenti alla media e piccola editoria, le fiere erano l’occasione ideale non solo per farsi conoscere ma anche per accumulare liquidità istantanea ed esentasse e in alcune circostanze di mandare l’annata in positivo o di pagare i debiti.

Sulle fiere, disgraziatamente, non dobbiamo farci illusioni: non ripartiranno. Non esiste nessun modo per consentire di tenerle in sicurezza, anche nel caso limite che il vaccino venga trovato in tempi brevi (e iniettato a miliardi di persone, altro paio di maniche) per il 2020 ce le dobbiamo dimenticare. Il fatto che in America abbiano rimandato il Comic-con di San Diego dovrebbe essere sintomatico di quello che accadrà nel resto del mondo.

Purtroppo, l’ARF, il Comicon di Napoli, il Romics, Lucca e tutte le fiere grandi e piccole, non si terranno, almeno non nelle formule tradizionali (quelle che poi portano soldi). Del resto, è comprensibile.

Provate ad immaginare di tenere un evento monstre come Lucca, con 200 mila persone provenienti da ogni angolo d’Italia, con un virus contagiosissimo come il coronavirus. Ci troveremmo a dover fare i conti con una bomba batteriologica di proporzioni bibliche.  

E questo rischia di essere il danno maggiore per l’intero mondo del fumetto italiano. La mancata attuazione delle fiere potrebbe essere la pietra tombale di tantissime realtà. Non le grandi, come abbiamo visto, capaci di sopravvivere in attesa di tempi migliori, non le piccolissime e i collettivi, bensì per tutte quelle medie per cui l’incasso di Lucca faceva la differenza tra un buon anno o la chiusura. Il panorama editoriale del futuro potrebbe essere desolante, vuoto di tutti quei marchi dinamici che poi innestano davvero energie fresche nel circuito, quella che potremmo chiamare “la classe media”.

Ovviamente, ci auguriamo che i foschi scenari tratteggiati non si realizzino, ma siamo sicuri di una cosa: il fumetto da questa crisi da coronavirus ha perso e perderà molto, ma ha anche guadagnato qualcosa che prima non aveva e ritrovato radici che credeva perse. 

Non ci resta che sperare che questo porti, in futuro prossimo o lontano, ad un fumetto diverso e forse migliore. 

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!