La rappresentazione dei personaggi non binari non è una novità nei fumetti. La novità è che ora ci si chiede come chiamarli
he vi piaccia o no, i personaggi di genere non binario non sono una tendenza primavera-estate di qualche matta femminista o della dittatura arcobaleno. Anche perché, se di dittature vogliamo parlare, probabilmente dovremmo rivolgerci verso zone più grigie. La fluidità di identità di genere è un fenomeno molto radicato, che però è entrato a far parte del dibattito quando – spinta da un principio di autodefinizione e autodeterminazione – la comunità interessata, e quella dei suoi alleati, ha posto il problema del linguaggio. È naturale che, una volta entrata nell’attualità, sempre più autori e case editrici si sono posti il problema della rappresentazione plurale dei loro personaggi. Una volta scardinato il principio della rappresentazione monolitica, sono nati sempre più eroi di identità, orientamento, conformazione e cultura differente, affermando l’importanza di dare al lettore un modello in cui specchiarsi.
Breve storia del Loro
Nei fumetti, che immaginano situazioni fantastiche anticipando trend e dibattiti, i personaggi che vivono una pluralità identitaria hanno una storia interessante. Se nel caso di Venom, il riferirsi a sé come Noi è determinato dalla compresenza tra Eddie Brock e il Simbionte (e poco a che vedere col genere), nel caso dell’Uomo Negativo raccontato da Grant Morrison nella sua Doom Patrol coesiste realmente una presenza maschile e una femminile, fusa in una terza senza genere definito. Una visione decisamente avanguardistica, rispetto al medium (siamo nella fine degli Ottanta). Non è un caso, o forse sì, che successivamente Morrison farà coming out come persona non binaria a sua volta.
In ogni caso, l’Uomo Negativo, dal potere misterioso e affascinante, precorre i tempi e consente al suo autore di metterlo placidamente in bonarie situazioni di misgendering con il rude Robotman, che giudica la sua identità fluida semplicemente troppo complicata per perderci troppo tempo. In questi casi, la traduzione italiana ha utilizzato il Loro come pronome non binario, avvenendo molto prima dell’introduzione di asterisco e schwa. È una riproduzione fedele della soluzione anglofona, che risolve spesso la questione adottando il plurale. Ma del resto, sappiamo benissimo che per le lingue fortemente connotate come la nostra il discorso si è andato complicando. Il Loro ricorda modi passati di rivolgersi alle autorità, gerarchie ormai vetuste e in generale tempi che non amiamo rievocare. Quindi oggi come oggi occorre studiare qualche alternativa.
Nello spazio profondo nessuno può sentirti lagnare
Per quel che riguarda l’elaborazione di personaggi non binari, gli autori contemporanei si stanno dando da fare. Parliamo di fumetto mainstream, sia chiaro, sia per il suo impatto sull’immaginario, sia perché governato dal franchise si muove con ritmi molto più lenti e (speriamo) inesorabili. Per quel che riguarda il fumetto cosiddetto d’autore, l’esplorazione delle tematiche è decisamente più autonoma, quindi segue flussi e tempi molto più variegati. Un franchise – appunto – piuttosto attivo nel mettere in campo personaggi non binari è quello di Star Wars. Gradualmente, con l’espansione del canone in media diversi dal cinema – come fumetti, videogiochi e romanzi – la stessa Galassia Lontana Lontana è diventata molto più ricca. È pur vero che spesso la non binarietà si slega da una visione puramente antropocentrica, ed è attribuita a differenti razze aliene, che – come Lucas ci insegna – interagiscono su ogni livello con i protagonisti umanoidi. Quindi, la loro identità non binaria non è, per così dire, rivendicata in un contesto socio-politico in cui lotta per essere riconosciuta, ma è una condizione base della costruzione di personaggi per molti altri versi differenti dal lettore. Nella serie Alta Repubblica, per esempio, compaiono in un ruolo secondario rilevante i due Jedi Terec e Ceret, entrambi non binari, gemelli identici, la cui identità è fusa in un dualismo fluido e simbiotico. Oppure, novità freschissima, è non binario anche il Marshal Buck Vançto, che compare per la prima volta in Han Solo e Chewbacca n. 1 scritto da Marc Guggenheim e disegnato da David Messina.
Superero* contro le forze del male
La questione della traduzione dei pronomi e delle desinenze non binarie è diventato un tema attuale per l’editoria nostrana. È materia recentissima la prima pubblicazione di libri (con la casa editrice EffeQu) che includevano lo schwa come carattere tipografico, includendo nel proprio uditorio anche persone non binarie. Teorici e divulgatori linguistici, come per esempio Vera Gheno conducono una tenace operazione quotidiana di messa in discussione del maschile sovraesteso (il motivo per cui usiamo il plurale maschile anche se all’interno ci sono identità differenti), o del femminile professionale (la sindaca che fa saltare tanti nervi) e dello scwha. Non occorre riesumare le costanti polemiche che accompagnano questi argomenti, ma – al fine del nostro discorso – occorre capire chi e come si può giungere a un avanzamento. Non sta alle persone cisgender dire come una persona non binaria vuole essere chiamata, che vi piaccia o no, imporre un’identità è un atto oppressivo (e giudicarne l’entità non è affare dell’oppressore). Questo messaggio è passato anche nella casa editrice (la Panini Comics) che pubblica in Italia Jedi non binari?
Sì. Questo è successo. E non senza riflessioni e consapevolezza dell’importanza e della responsabilità di questa scelta.
In un sistema linguistico in cui le istituzioni e gli intellettuali accademici si oppongono all’introduzione di nuovi segni grafici per definire “nuove” identità (che nuove non sono), scegliere di pubblicare fumetti di supereroi in cui è usato lo schwa, non è da sottovalutare. Come non è da sottovalutare l’ondata polemica che questo gesto porta inevitabilmente con sé. Si tratta di diventare precursori e prendere una posizione affinché una sperimentazione linguistica possa trovare la sua strada (e anche, perché no, essere migliorata), per poi entrare nel linguaggio comune. Perché non occorre scomodare Wittgenstein per capire che ciò che entra nel linguaggio entra prima o poi nella mentalità.
Più veloce della luce
Con la pubblicazione di Marvel e DC di cicli di storie dedicate a personaggi della comunità LGQBT+, è evidente che i personaggi non binari sono in aumento. Non che siano stati creati appositamente per questi eventi editoriali, solo che a vederli tutti insieme si ha la contezza delle loro sfumature e della loro forza. Un po’ come nei Pride. Queste pubblicazioni arriveranno anche in Italia, con volumi dedicati, e costituiranno un altro passo nella direzione della messa in discussione del modello unico di supereroe. Dal lato DC, possiamo citare a proposito di identità non binarie Aerie, membro di una formazione delle Suicide Squad (poi dei Rivoluzionari), rapitə e sottopostə a esperimenti in giovanissima età, che ha sulle spalle due magnifiche e potenti ali. Oppure, dal lato dei “buoni”, c’è Flash di Future State, anche ləi di identità non binaria.
In entrambi i casi è importante sottolineare che l’identità NON è la caratteristica primaria dei personaggi, che hanno poteri che vanno ben al di là di questo. Si tratta di non schiacciare la rappresentazione su un’unica caratteristica, emancipandosi da quella tendenza liberal di far comparire personaggi legati a minoranze (di orientamento, identità, cultura etc.) che però sostanzialmente esauriscono la loro funzione nella “diversità”. Si tratta del passaggio tra il concetto di inclusione (che presuppone che ci debba essere qualcuno che autorizza qualcun altro a entrare in una cerchia), e pluralità, che invece prevede che ci siano tante identità quante persone. E tutte con pari diritto di essere rappresentate, raccontate, e – quindi – di esistere.