La scienza del futuro e il futuro della scienza: quando futurologia e fantascienza si incontrano, ecco che nasce la speculative non fiction
Il futuro è un luogo impossibile in cui timore e speranza si mischiano; un domani, e un dopodomani, che non affascina solo i narratori di fiction, ma anche saggisti e studiosi più abituati a dati e proiezioni che a trame e intrecci. Da queste unioni quasi antitetiche – che prendono la forma di saggistica narrativa, di fiction travestita da non fiction o ibridi innovativi non ancora definiti – sono nati, negli ultimi anni, alcuni esperimenti di quella che Fabio Deotto, su La Lettura del 26 gennaio 2020, chiama speculative non fiction: una nuova forma di divulgazione scientifica che parte dall’immaginazione per arrivare a scenari ipotetici altamente probabili, con tecnologie in fase di sviluppo.
(Fanta)scienza del futuro
Per essere plausibili, queste narrazioni del futuro devono avere basi solide: la futurologia – scienza che mira a esplorare futuri possibili, probabili e preferibili – è il settore di studio che si occupa proprio di formulare previsioni grazie ai dati a disposizione.
Storicamente, la data di nascita della futurologia – o future studies – si attesta nel penultimo anno del diciottesimo secolo, quando l’economista Thomas Robert Malthus pubblica il suo Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società, teoria demografica che preconizza l’impossibilità di produrre derrate alimentari – che crescono in progressione aritmetica – allo stesso ritmo con cui aumenta il numero della popolazione – in progressione geometrica.
Poco meno di due secoli dopo, sarà un autore italiano a lanciarsi nelle speculazioni futuristiche usando, forse per la prima volta, il doppio binario della saggistica e della narrativa: Roberto Vacca, divulgatore scientifico e membro del CICAP, pubblica nel 1971 Il medioevo prossimo venturo, saggio di speculazione apocalittica, per rielaborare poi le sue tesi in forma romanzesca nel 1973 con La morte di megalopoli, in cui l’apocalisse si scatena con la prorompenza di un hollywoodiano butterfly effect.
Il futuro è sempre stato materia romanzesca: ben prima che Hugo Gernsback fissasse i criteri del genere sulle pagine del suo neonato Amazing Stories, molti sono stati gli autori che hanno usato gli strumenti della narrazione per speculare su quello che sarebbe accaduto nel breve o lungo periodo alla Terra e ai suoi abitanti.
Se i titoli più famosi di questa speculazione futuristica sono La macchina del tempo di H.G. Wells e Parigi nel XX secolo di Jules Verne, vale la pena ricordare almeno altri due titoli, uno statunitense e uno italiano, che fanno della fantapolitica un punto di partenza per spingere lo sguardo oltre l’orizzonte del presente: Guardando indietro, 2000-1887 di Edward Bellamy – vero e proprio bestseller del diciannovesimo secolo – immagina per il futuro degli states un’utopia socialista di stampo anticapitalistico come quella per cui lottano i protagonisti de Il tallone di ferro di Jack London, pubblicato vent’anni esatti dopo il successo di Bellamy, con un’accoglienza decisamente più tiepida.
In Italia, Ippolito Nievo pubblica, nel 1860, Storia filosofica dei secoli futuri, che copre gli eventi nel nostro paese fino al 2222, compresi accadimenti storici come la colonizzazione dell’Egitto, la fine del potere temporale dei papi e la creazione di esseri artificiali chiamati omuncoli o uomini di seconda mano. Ovviamente questi due testi avevano finalità satiriche – nel caso di Nievo – o di propaganda politica, tuttavia, come già detto, a quei tempi il genere fantascientifico non era ancora codificato e le scienze politiche e sociali rientravano più nell’ambito filosofico che in quello scientifico.
Psicostoria, la scienza della fantascienza
A creare un trait d’union tra storia e scienza ci penserà, nel suo Ciclo della Fondazione, Isaac Asimov: la psicostoria è una futurologia – che usa strumenti matematici e statistici – in grado di prevedere l’evoluzione della società umana. Nel corso dei volumi che compongono quello che da molti viene considerato il capolavoro di Asimov, la concezione della psicostoria cambia e il suo potere predittivo si affievolisce. La lezione di Asimov oggi è proprio questa – Scrive Roberto Paura, autore del saggio Il cielo sopra il porto e presidente dell’Italian Institute for the Future – non c’è un destino o un fato in attesa, lì fuori, che possiamo davvero prevedere. Ciò non toglie che la psicostoria asimoviana abbia influenzato significativamente un’intera disciplina, quella dei future studies […] Il sogno della predizione del futuro, inseguito dalla nostra specie fin dai tempi più antichi, resiste insomma ancora nella piena modernità, contraddistinta dal trionfo della scienza. Ciò che insegna la fantascienza, tuttavia, è che questo sogno è destinato, invariabilmente, a scontrarsi con futuri molto più imprevedibili di quanto siamo in grado di immaginare.
La fantascienza può, ma non è obbligata a, presentare al lettore scenari futuri possibili, probabili, e preferibili. Ci sono autori e autrici che preferiscono giocare con il tempo, con le ucronie e i passati alternativi, altri che ambientano le loro storie in futuri così remoti da non avere più niente in comune con il nostro presente, ma poiché la fantascienza è bella perché è varia, ci sono anche autori e autrici che considerano la plausibilità elemento essenziale delle loro storie: Margaret Atwood, nella fase di ricerca che ha preceduto la stesura de Il racconto dell’ancella, ha deciso di inserire nel suo romanzo solo eventi già accaduti somewhere sometimes nella storia del mondo, rielaborandoli in un futuro prossimo che ci terrorizza, ma non ci stupisce; Kim Stanley Robinson ha dedicato molti dei suoi romanzi – tra quelli pubblicati in Italia ricordiamo New York 2140 – a plausibili scenari di cambiamenti climatici estremi e nella serie della Scienza nella capitale – tre volumi non ancora tradotti in italiano – troviamo una vera e propria richiesta al governo (in questo caso statunitense, ma si tratta di un modello applicabile a livello mondiale) perché vengano identificati degli obiettivi politici basati su principi scientifici da realizzare per il bene comune della maggioranza. Un documento, all’interno di un romanzo, che potrebbe plausibilmente finire sulla scrivania di qualche presidente in un futuro non lontano e plausibile.
Sogni migliori per futuri migliori
Per la narrativa del futuro, uno dei testi chiavi è la raccolta di racconti Hieroglyph, curata da Ed Finn e Kathryn Cramer e pubblicata nel 2014. Purtroppo il volume nella sua interezza non è mai stato tradotto in Italia, ma due dei racconti – Entanglement di Vandana Singh e L’uomo che vendette la luna di Cory Doctorow fanno parte dei cataloghi, rispettivamente, di Future Fiction e Delos.
Nelle parole del fondatore del Progetto Hieroglyph, Neal Stephenson, il Progetto Hieroglyph [è] un tentativo di produrre un’antologia di nuova fantascienza che sia, in qualche modo, un ritorno consapevole al concreto tecno-ottimismo della Golden Age. Abbandonati Hackers, Hyperspace and Holocaust, quei temi, cioè, tipici della fantascienza distopica e di quegli immaginari che prevedono scienze di luoghi e futuri così distanti da vedere applicata la terza legge di Clarke, gli autori che hanno partecipato a Hieroglyph – tra cui Bruce Sterling, Gregory Benford e Annalee Newitz – hanno raccontato futuri in cui scienza e tecnologia hanno realizzato meraviglie, come usava fare la fantascienza degli anni dell’ottimismo e del Programma Apollo, quando sembrava che entro il 2000 saremmo tutti andati in vacanza sulla luna e il futuro non aveva ancora smesso di stupirci.
Ma è davvero così? Il futuro non sa più stupirci, o ci siamo semplicemente assuefatti a un‘accelerazione scientifica e tecnologica che rende obsolete le teorie e i gizmo dell’anno precedente? E come possiamo entusiasmarci di nuovo per quello che verrà se persino il New York Times propone una rubrica di editoriali dal futuro scritti da autori di fantascienza, filosofi, scienziati e futurologi che sembra uscita dai sogni più neri di Charlie Brooker? Se vogliamo creare un futuro migliore – si legge nell’introduzione di Hieroglyph – dobbiamo iniziare ad avere sogni migliori. E per sognare il futuro, dobbiamo prima pensarlo.
Nuove narrazioni tra fanta e scienza
Pensare e sognare sono i due verbi che reggono Fanta-scienza, ibrido saggio-narrativo che amplia la struttura di Hieroglyph – in cui ogni racconto è seguito da un breve commento tecnico e da suggerimenti di letture online – mettendo in prima linea la scienza.
In questa raccolta, curata con grande dedizione da Marco Passarello e pubblicata da Delos, interviste a esperti dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova fanno da apripista a racconti ispirati alla scienza di cui si occupa l’intervistato: robotica, medicina molecolare, biorobotica, nanomedicina, Internet of Things, nanoscopia, materiali smart, neurobiologia del microRNA; le scienze e le tecnologie del futuro sono presentate al lettore in veste ufficiale attraverso le risposte degli scienziati, per poi essere tradotte in storie. Del resto, l’uomo è sempre stato mosso dall’istinto di narrare ed è più facile, per noi, ricordare delle narrazioni piuttosto che una comunicazione complessa di dati, numeri e formule.
Anche il già citato Italian Institute for the Future ha recentemente unito le forze con il mondo dell’immaginazione per permettere una maggiore diffusione di informazioni sul tema del cambiamento climatico: l’IIF, in collaborazione con Future Fiction, ha infatti raccolto in un volume dall’esplicativo titolo Antropocene: L’umanità come forza geologica, racconti e contributi saggistici da tutto il mondo.
Con una meccanica inversa rispetto a quella di Fanta-scienza, la forma di presentazione di Antropocene – già sperimentata da Future Fiction nell’antologia Segnali dal futuro – permette agli esperti di bilanciare i voli della fantasia dei narratori, facendo da contrappeso realistico, o almeno plausibile.
Futuri saggi
Se la narrativa si avvicina sempre di più alla scienza, è anche vero che la saggistica sta imparando ad appropriarsi degli strumenti dello storyteller: Il futuro che verrà raccolta di speculative non fiction curata dal fisico teorico e recente romanziere Jim Al-Khalili, usa capitoli brevi, esaustivi ma non tecnici, per presentare le tecnologie del futuro con lo stesso ritmo che si usa per raccontare una storia, senza mai dimenticare che molte delle previsioni [contenute in questo libro] sono da considerarsi descrizioni non tanto di come sarà il futuro, quanto piuttosto di come noi desideriamo che sia.
La futurologia non è certo una scienza esatta, così come inesatta è la definizione di previsione fantascientifica: scienza e fantascienza possono al massimo presentare delle possibilità, non certo delle profezie. Come scrive Yuval Noah Harari nel suo saggio Homo Deus – Breve storia del futuro, dopo averci presentato scenari che contemplano il transumanismo e la religione dei dati: se non vi piacciono alcune di queste possibilità siete invitati a pensare e a comportarvi in modi nuovi, che eviteranno il verificarsi di queste particolari possibilità. In fondo, qual è lo scopo di provare a immaginarsi il futuro se non deviarne la traiettoria almeno un po’?