Ma alla fine l’Inverno è arrivato?
Game of Thrones è una serie strana. Una serie che promette grandi cose, che ti lascia intendere sconvolgimenti di trama dietro l’angolo, ma che nei fatti, dopo tutte le premesse (e le promesse) finisce per dirti “aspetta ancora un po’, solo un altro po’”. La fine della scorsa stagione sembra aver finalmente posto fine a questa sequela infinita di attese. Era tutto pronto: avevamo scoperto la verità, già intuita, sulle origini di Jon Snow; Daenerys e i suoi draghi veleggiavano per il continente occidentale, ottenendo il sostegno di due potenze come i Tyrell e i Martell; i dannati Estranei sembrano finalmente in procinto di assaltare la Barriera e, soprattutto, il maledetto inverno era arrivato.
Tutti ci aspettavamo una settima stagione pazzesca, quindi, ricca di sconvolgimenti e di colpi di scena. Invece ci troviamo di fronte al fatto compiuto che, dopo sette episodi, quando al finale dell’intera serie ne mancano solo altri sei, è successo poco o nulla.
Premettiamo: amiamo ancora questa serie. Amiamo i libri di Martin, la sua capacità di inserire quei dettagli “pruriginosi” nei capitoli, la caratterizzazione dei suoi personaggi, quel suo modo di lasciar intuire le cose al lettore senza mai dirle esplicitamente, l’imprevedibilità della sua narrazione e l’efficacia con cui riesce a descrivere la politica delle casate di Westeros. E, di conseguenza, abbiamo amato quanto di tutto questo gli sceneggiatori Weiss & Benioff siano riusciti a trasmettere nella serie. Odiando, per contro, i tempi biblici di attesa: sia quelli di zio George, che sembra essersi dimenticato di dover completare la saga, sia quelli con cui gli sceneggiatori hanno messo in scena gli eventi. Salvo poi ricordarsi, a quanto pare, che mancava poco alla fine.
Se avete seguito con noi questa stagione (se non l’avete seguita, proseguite a vostro rischio e pericolo di spoiler), magari accompagnando i nostri sbarazzini recap “minuto per minuto”, sapete bene che molte hanno prestato il fianco a facile ironia. Tirare le fila di quanto successo non è semplice. Soprattutto per un motivo semplice: non è tutto da buttare. Ma alla fine si tratta solo di un paio di episodi completamente positivi, al “livello di Game of Thrones”, cui fanno da contraltare cinque puntate utili solo per qualche scena, sommerse in quello che ci pare un mare di “fuffa”. Ci siamo trovati di fronte a una stagione schizofrenica, sospesa tra l’assoluta immobilità, con un avanzare della trama lento quanto gli zombie degli White Walkers (quando procedono con calma), e cambi di campo e di location più veloci di una consegna di Amazon Prime.
Il problema, purtroppo, è ben più complesso di quanto si possa immaginare. Potremmo dire che la sesta stagione fosse vissuta di rendita rispetto a quanto scritto da Martin. Se fino alla quinta i libri erano stati seguiti con una certa fedeltà, semplificando però parecchio l’intera trama, la sesta stagione ci mostrava eventi per lo più inediti, ma che sotto certi punti vista potevano benissimo essere una logica conseguenza di quanto narrato dai libri. Che Sansa finisca per prendere il controllo dei cavalieri della Valle è plausibile, che Jon possa tornare in vita (non si sa bene come) e reclamare il titolo di Re del Nord (essendo stato legittimato dal fratello Robb poco prima delle Nozze Rosse) lo è altrettanto; così come non è da escludere che Daenerys faccia, nel prossimo libro, i primi passi per ottenere il Trono di Spade. Insomma, per quanto “non canonico”, niente di quanto visto fino al nono episodio della precedente stagione ci è sembrato impossibile.
La filiazione indiretta dai libri di Martin comportava il mantenimento di ciò che aveva reso grande lo show: un complicato mosaico politico dove bastava poco per alterare gli equilibri e i giocatori migliori erano quelli capaci di rimanere nell’ombra e alterare le sorti di un conflitto senza prendervi realmente parte. La sesta stagione ha però anche iniziato a mostrare i primi profondi cambiamenti all’interno dello show. In Game of Thrones le cose erano sempre avanzate molto lentamente, ma comunque avanzavano. Con la settima stagione tutto si è trasformato in un alternarsi di nulla cosmico ed eventi messi in scena a casaccio. Soprattutto, caduta la complessa struttura politica ideata da Martin, complice la scelta di distruggere le casate dei Martell e dei Tyrell nell’ultima stagione, gli sceneggiatori hanno iniziato a premere molto più sull’aspetto fantasy della vicenda.
Si tratta di una scelta naturale, dopotutto, il sottobosco fantastico che nei libri è appena intuibile doveva prima o poi venire fuori. E quale momento migliore della penultima stagione? Il problema è che è venuto fuori in maniera confusionaria, nella peggior maniera possibile. Ci siamo ritrovati di fronte a una stagione che sembra aver preso spunto dai peggiori cliché fantasy concepibili, mostrando una serie di buchi logici e scelte di trama scontate, facendo perdere allo show quell’imprevedibilità che l’aveva contraddistinto fino a diciotto mesi prima.
Visivamente e da un punto di vista della recitazione la serie non sembra aver perso nulla. Parliamo sempre di un ottimo cast, con una fotografia e scene dall’impatto eccezionale che, proprio sotto questo punto di vista, si chiudono nel migliore dei modi (la sequenza della Barriera, non quell’altra cosa, branco di dannati shipper!).
Worst case scenario
Ma facciamo nostra la lezione di Ditocorto (che lo Sconosciuto l’abbia in gloria e il dio Abissale gli faccia ripulire la sentina): proviamo a riprendere poco a poco quelle che sono state le peggiori idee possibili partorite in questa settima stagione.
Lasciamo perdere la rapidità con cui personaggi ed eserciti immensi come quello dei Dothraki e degli Immacolati si sono spostati da Roccia del Drago, all’Altopiano, alle Terre della Corona. A fronte di una stagione dove anche le più sacre e inviolabili regole della logica non sono al sicuro, una sola cosa è certa: tutti gli abitanti di Westeros, escluso il Re della Notte, hanno ottenuto la capacità di viaggio rapido. Game of Thrones si è quindi trasformato in un videogioco open world. Jon deve andare a Roccia del Drago? Tranquilli, Davos ha già visto il posto, basta cliccare il punto sulla mappa e ci arriviamo in un momento. Si chiama Westeros, ma puzza di Skyrim.
Ma a parte questo, una delle cose più irritanti è stato il mandare all’aria la costruzione di mezza dozzina di personaggi principali. Partiamo proprio da Ditocorto, uno dei migliori partecipanti in questo complesso gioco del trono che, dopo una lenta scalata che l’ha portato a diventare, da maestro di conio e possessore di bordelli, il Lord della Valle. Insomma, da protettore a Protettore dell’Est, una delle carriere politiche più rapide mai viste in qualsiasi mondo. Ma tanto è fantasy, giusto? Dopo sei stagioni in cui il nostro Lord Baelish sembrava essere la mente politica più brillante di Westeros, cade per ciò per cui tutti gli uomini cadono.
Evitiamo trivialità, ma in questa stagione il nostro Ditocorto è passato da “brillante mente politica” a “stalker che pesta i piedi allo Stark sbagliato”. Una persona sana di mente dopo il colloquio con Bran avrebbe preso la prima nave per Braavos, restando lì a svernare. Ma non lui, lui resta per mettersi contro un’assassina professionista, e questo dopo averla vista mentre teneva testa a una donna in armatura grande il doppio di lei. Come sempre, quando giochi male al gioco del trono, il gioco finisce male.
Per quanto stupido, Ditocorto non sembra essere l’unico ad aver subito una netta involuzione dovuta, forse, alla mancanza di ossigeno. Anche Tyryon Lannister, quella che viene riconosciuta da chiunque come una delle menti politiche più brillanti nel mondo di Game of Thrones, sembra aver portato avanti quella che era una gara al ribasso con Lord Baelish, cercando di fare figure via via sempre peggiori nel corso della saga. Davvero, come ha fatto a sbagliare sistematicamente tutte, tutte le mosse belliche nel corso della guerra contro il fratello? Almeno ha mantenuto intatto il senso dell’umorismo, considerato che dopo tutto quello che ha passato è riuscito a ironizzare sui suoi continui fallimenti.
Visto che lo abbiamo citato, ci sarebbe da affrontare anche il discorso di Bran… passato da ragazzino dotato di sentimenti a sorta di automa. Ma quello, forse, è l’aspetto meno traumatico, perché il personaggio di Brandon Stark costituisce una delle peggiori falle strutturali di questa intera stagione. Vede tutto, sa tutto. Eppure, nonostante questa sua incredibile capacità, sembra non abbia minimamente pensato a concentrarsi sul modo di sconfiggere il Re della Notte. Certo esistono altri usi dell’onniscienza, ma quando un’orda di non morti guidata da demoni di ghiaccio si dirige verso casa tua, sarebbe il caso di concentrarsi sulle soluzioni. Il personaggio di Bran ha acquisito capacità tali da poter porre fine a buona parte dei problemi di questa serie… ma non lo fa. Cose che capitano quando c’è ancora una stagione da mettere in cantiere.
Sorvoliamo sul fan service scatenato dei “Jonerys”. Soprattutto perché non è da escludere che questa coppia finisca per essere presente anche nei libri; unica lamentela è la rapidità con cui questi due siano passati dall’essere, almeno in teoria, nemici (con tutte le complicazioni che potevano sorgere per i trascorsi familiari per nulla felici tra le case Stark e Targaryen), ad amanti. Jon Snow, dopo aver passato praticamente tre stagioni a fare il corrispettivo fantasy del profeta barbone pazzo col cartello che grida “La fine è vicina!” rischia di mandare tutto in vacca all’ultima puntata, annunciando una delle sue mosse più controverse in uno dei momenti peggiori della storia e cambiando la scritta sul suo allegorico cartello: “Bend the knee! Bend the knee!”. Dategli torto, evidentemente ha funzionato.
E qui abbiamo la falla peggiore all’interno dell’intera serie. Pensandoci bene, se Jon e Danerys non si fossero mossi, quali sarebbero state le mosse del Re della Notte per assaltare la Barriera? Partiamo dal principio: gli Estranei hanno un esercito di non morti che avanza lentamente. In tutto questo tempo, però, niente ha mai lasciato presagire quale potesse essere il piano per abbattere la Barriera. Il Corno di Joramun, come suggerito nei libri? O un assalto all’arma bianca, con un’epica battaglia con i Guardiani della Notte per poter distruggere la muraglia? Non lo sapremo mai.
Apparentemente l’idea del Re della Notte era quella di arrivare davanti al Forte Orientale e improvvisare. Magari sperava davvero nella gelata del mare per aggirare la Barriera. O forse si sarebbe fermato di fronte al muro di ghiaccio, limitandosi a scrutare minacciosamente i Guardiani. Per fortuna ci ha pensato Jon, mettendo in piedi una delle spedizioni più idiote nella storia dei Sette Regni, andando a combattere dei mostri che possono essere distrutti solo dal fuoco con un tizio terrorizzato dalle fiamme. Seems legit.
La spedizione di Jon oltre la Barriera assume rapidamente i connotati della peggior sessione di D&D della storia, dove i giocatori si scambiano battute oscene tutto il tempo, il chierico viene ucciso immediatamente, il “ladro” scappa col bottino alla prima occasione con la scusa di chiamare aiuto e uno dei PNG accorsi in aiuto del gruppo viene trucidato malamente. Il tutto fornisce tra l’altro un’arma potentissima al Re della Notte, ma in una maniera così casuale da poter essere difficilmente accettata.
Insomma, la gestione dei personaggi, se escludiamo forse Cersei e un altro paio (Olenna, straordinaria fino alla fine) ha lasciato molto a desiderare. Ma sono tante le cose che hanno compromesso il godimento generale di una stagione da cui i fan si aspettavano, legittimamente, molto di più. Un esempio su tutti, il vero nome di Jon: la scelta di chiamarlo Aegon è imbarazzante. Lasciando perdere che Rhaegar aveva già un figlio con lo stesso nome, sembra una strizzata d’occhio ai lettori abbastanza maldestra.
Nel suo complesso, questa stagione è stata un po’ come un mosaico con molti tasselli mancanti. Guardando da lontano, nel suo insieme, l’intera composizione può anche apparire godibile, ma quando si vanno a guardare i particolari, saltano all’occhio i buchi e le mancanze di un trattamento che, alla fine, mostra svariate lacune che possono solo lasciare l’amaro in bocca a una buona fetta di pubblico. Sorge spontanea quindi una domanda: ma a fronte di tutto questo, era davvero il caso di lamentarsi solo della presenza di Ed Sheeran?