Attenzione, l’articolo contiene spoiler sul terzo episodio dell’ultima stagione di Game of Thrones.
Tavor, Mojiti e Kebab alla corte di Jon Snow
La lunga notte prima della battaglia, con i suoi Podrick canterini, le sue prime volte e le facce di Zia Dany, vagamente somigliante a Mara Venier nelle sue esternazioni di emozioni contrastanti nei confronti del nipotastro (cit.) si digievolvono in questa puntata (la più lunga dell’intera serie, molti dicono anche – per un miracolo che prevede l’allineamento dei pianeti del comparto tecnico, della sceneggiatura e della regia che finalmente si ricorda che questa non è una soap opera latina e che c’è vita oltre la camera singola – la migliore della stagione, della serie, della storia della HBO, dell’intera serialità televisiva) da gustarsi con qualche tavoletta di Tavor al posto dei pop-corn.
A ben rispecchiare le emozioni di noi spettatori ci pensa quello zombiekiller di Sam, che vaga per il cortile del castello con la faccia di chi vorrebbe essere ancora a pulire i cessi della Cittadella. Tutti i nostri sono schierati per la più grande partita di giochi senza frontiere che Westeros abbia mai visto e alla vista di Spettro, così candido in mezzo alla notte, così bianco, come una civetta delle nevi nel cielo buio, scatta un momento PTSD degno dei veterani del Vietnam da cui ci riprendiamo col respiro affannato mormorando dentro di noi Edvige, Edvige.
A Winterfell, in ogni caso, non si respirava un’aria così serena da quella volta che Ramsay Bolton ha fatto giocare il fratellino con i cucciolotti del suo canile e le prospettive sono talmente nere che, sempre per permetterci di vivere l’esperienza della battaglia insieme ai nostri beniamini, anche le scene sono così scure che non si distingue un dothraki da un immacolato. Fortunatamente arriva Melisandre, che dopo essersi ritirata dalle arti occulte ha trovato un lavoretto part time nel settore luce e gas: tariffa monoraria scontata del 15% e un arakh infuocato per tutti i nuovi sottoscrittori. Nonostante l’iniziale diffidenza di Jorah, che risponde con un non so, la khaleesi non è in casa, è lei che prende le decisioni di solito, Melisandre infiamma la situazione trasformando immediatamente il campo di battaglia in un concerto dei Coldplay, con Daenerys e Jon che si godono romanticamente il gioco di luci dalla collina più vicina.
La battaglia inizia, i dothraki si lanciano nel buio, le luci si spengono una dopo l’altra. Sipario. Fine. Del resto gli esperti di galateo se ne lamentano da anni: la cavalleria è morta. Ma questo non era che un assaggio di quello che ci aspetta per la prossima ora e poco più: gente che urla, gente che si accalca, individui non più in grado di pensare con la propria testa, comandati da puri istinti di sopravvivenza e violenza; praticamente un normale raduno annuale a Pontida, con in più i draghi.
Sansa si ritira nelle cripte (cripta s. f. – Complesso dei sotterranei di un edificio pubblico, per lo più di carattere sacro o cimiteriale), Arya scalpita per provare l’attrezzo di Gendry (non quello, l’altro), Bran è stato parcheggiato sotto all’albero-diga come una di quelle trappole per niente palesi con cui Wil E. Coyote cerca di catturare Beep Beep; tutti gli altri, sul campo di battaglia, vengono rapidamente inquadrati e non puoi non stupirti del fatto che siano già passati venti minuti e nessuno ci abbia ancora lasciato la pelle. Infatti non c’è tempo per stupirsi: Sam, il cui ruolo sul campo di battaglia è farsi salvare da gente che muore male al posto suo, assiste alla dipartita di Edd l’Addolorato, che muore con una parola dolce per l’amico sulle labbra: Sam, limortacc…
Nel frattempo Jon e Daenerys hanno confuso i set e si ritrovano a volare nel remake di The Day After Tomorrow, rischiando di mandare a donnine allegre con le tette di fuori che tanto piacevano ai tizi della HBO tutta la strategia della ritirata. Nonostante Davos abbia acceso il faro col simbolo di drago nel cielo di Gotham, infatti, Daenerys continua a essere ovunque tranne dove serve e toccherà a Melisandre mandare a fuoco una buona percentuale del budget di questa stagione mentre – da bravo Targaryen ingenuo – Jon Snow guarda, in sella al suo drago, e non sa niente.
Nelle cripte Tyrion vince il premio di consolazione come miglior marito di Sansa, sbaragliando la concorrenza (e che concorrenza), mentre nel Parco degli Dei un giovane Franco Battiato parla con sintomatico mistero di destino e delle barricate in piazza contro la borghesia. Poi, pur di non continuare la conversazione con Theon, si autoinduce un attacco epilettico.
Tre minuti per tirare il fiato prima che gli zombie usino la tattica dei Lemmings per oltrepassare le trincee e l’azione si sposta sulle mura, dentro le mura, in tutti i mari in tutti i luoghi e in tutti laghi. Potrebbe andare peggio, pensano i nostri, potrebbe piovere. Perché non siete nella nebbia in Val Padana dove ci son cose che non ci credi neanche se le vedi (a parte il fatto che non le vedi), rispondono Jon e Dany.
E mentre gli spettatori gioiscono della presenza del fuoco, che permette di vedere qualche scena in questa puntata buia e piena di terrore, Sandror Clegane è un po’ meno felice delle fiamme che incombono, e la puntata si trasforma ufficialmente in tutto quello che avrebbe potuto essere The Walking Dead se avessero deciso di fare una serie sugli zombie anziché indagare l’animo umano di un gruppo di sfigati complessati. In un momento di puro gore assistiamo all’epica morte di Lyanna Stark per mano di un gigante zombie che somiglia vagamente al cantante dei Tre Allegri Ragazzi Morti e fumettista Davide Toffolo.
Per il momento videogioco della puntata troviamo Arya in modalità stealth che cerca di sfuggire da una biblioteca piena di zombie, sottile metafora di quello che succede a leggere troppi romanzi di Fabio Volo, fino al fortuito incontro con il Mastino e l’Uomo Torcia, che si spegne per l’ultima volta, dopo aver portato a compimento la sua missione. Addio e grazie per tutto il pesce, come direbbero i delfini.
Se anche voi, più che di un delfino, avete la memoria di un pesce rosso, stenterete a ricordarvi dovecomequandoeperché Melisandre e Arya si sono incontrate la prima volta, le coordinate sono: terza stagione, sesto episodio, un bosco, una profezia che recitava su per giù saran belli gli occhi neri, saran belli gli occhi blu, ma le gambe, ma le gambe, a me piacciono di più; una di quelle profezie scrause, en passant, di quelle che puoi tirare fuori nel momento del bisogno narrativo, o lasciar cadere nell’oblio nel caso la sceneggiatura prenda altre strade. Voglio dire: una volta Melisandre ha fatto un kebab con la figlia del re, ci sta che ogni tanto qualche sua profezia possa cadere nel vuoto, no?
(Una parentesi commemorativa per Syrio Forel, indimenticato maestro d’armi che ci ha regalato una delle citazioni più belle – cosa rispondiamo al dio della morte? Esticazzi – dell’intera serie.)
E invece no, Arya capisce subito tutto e corre in soccorso del fratello soprammobile, mentre nel cielo sopra Winterfell i draghi combattono per la sopravvivenza: il budget si sta riducendo drasticamente a ogni puntata e al gioco della CGI o vinci o muori.
Dopo aver disarcionato il Night King, Daenerys decide di risolvere il problema con la stessa quantità di tattica e buon senso che la accompagna ormai da un paio di stagioni: brucia tuttoooooo urla al suo drago (oh, sono passate sette stagioni e ancora non riesco a distinguerli. Anche perché i Targaryen hanno la mania di chiamarsi tutti nello stesso modo, come quelle famiglie in cui ci sono quattro generazioni vive con lo stesso nome) ma il fuoco non può uccidere i Targaryen e – a quanto pare – neanche i Re Ghiaccioli, e il Night King esce dalla fiammata con una cazzimma che non vedevamo dai tempi della compianta Olenna Tyrell. Sai qual’è la forma dell’India? chiede a Daenerys, disegnando con le mani un triangolo con la punta verso il basso all’altezza del bacino.
E questo è il momento del tutto è perduto: Jon Snow perde la partita di un, due, tre, stella più importante della sua vita, permettendo al puffo negromante di risvegliare tutti i morti della battaglia, compresi – guarda un po’ – quelli della cripta. Nel mentre Daenerys riesce a perdere il suo high ground, giusto per essere salvato da Ser Jorah, protettore degli amori impossibili, che muore così come ha vissuto: difendendo la sua regina e facendoci diventare tutti un po’ dei sentimentaloni perché alla fine in un mondo di strategie e intrighi, Jorah Mormont ha amato nel modo più puro possibile: senza aspettarsi niente in cambio, pur continuando a sperarci sempre.
E parlando di amore: ma vi sembra possibile piazzare così, a tradimento, questi momenti tenerelli tra Sansa e Tyrion? Qua ci sono persone che hanno già pianto abbastanza, grazie. Proprio su questa scena, infatti, partono le prime note di piano e il tempo scorre, la puntata è quasi finita, già ci immaginiamo Winterfell ridotta per l’ennesima volta in macerie, il silenzio della morte, l’inverno ormai giunto. Jon Snow continua a vagolare per il castello come se avesse perso il gatto, Brienne è miracolosamente ancora viva, Robin Hood nella foresta degli alberi-diga ha finito le frecce ed ecco che la compagnia Algida fa il suo ingresso nel parco degli dei.
Non mentite, tutti voi, tutti noi ci aspettavamo – dopo l’immancabile morte di Theon – un confronto con Bran: sono state ricamate così tante teorie sull’identità del Thanos di Game of Thrones che la resa dei conti avrebbe dovuto sciogliere almeno qualcuno dei nodi rimasti. E invece l’unica cosa a sciogliersi è il Night King, dopo che Arya lo pugnala, saltando fuori dal nulla. I nemici si trasformano istantaneamente in una riserva infinita di ghiaccio per il mojito, che con le temperature di Winterfell, dobbiamo ammettere, non è il cocktail più gettonato.
Prima di questa battaglia avevamo un sacco di domande: chi è il Night King? cosa vuole? sarà solo una personificazione del male incombente che costringe fazioni diverse a unirsi contro il nemico comune, o avrà una valenza narrativa come personaggio in sé? perché se la mucca fa mu il merlo non fa me?
Tutte domande che non hanno ricevuto e forse non riceveranno risposta, che vanno a morire nel cimitero delle domande considerate faziose dai fanboy, quel posto in cui ogni critica a una serie tv, seppur amata, si risolve con un e allora vacci te a fare lo sceneggiatore.
Melisandre, compiuta la sua missione, abbandona le sue spoglie di gnocca e la battaglia di Winterfell finisce così, con Jon Snow che ancora vaga per il castello senza una meta e gli altri che preparano le valige per la prossima tappa del tour: King’s Landing, here we are!