Se non sai con chi prendertela, odia Martin
Game of Thrones è tra le saghe più in voga in questo momento, grazie anche all’ottimo trattamento televisivo che sta ricevendo, con una produzione molto costosa che non ha paura di mettere in scena sangue, sesso, violenza e morte, in una ricetta che, anche se a volte un po’ stucchevole ed esagerata, non ha mancato di attirare un pubblico sempre più vasto. Certo, questo non è il solo motivo per cui l’epopea inventata di George Martin è così famosa. C’è un’altra oscura caratteristica che l’ha sempre portata alle luci della ribalta, già dal tragico finale della prima stagione: nel mondo di Westeros nessuno è al sicuro e la morte e la tragedia sono sempre dietro l’angolo. Questa spiccata tendenza a liberarsi dei personaggi è costata a Martin una quantità di meme e prese per il culo in tutto il web, tanto che i suoi romanzi e le sue storie sono diventate sinonimo di morte imminente.
In queste poche righe che vi aspettano, però, vogliamo entrare nel merito di un’altra faccenda, un po’ più subdola che in fin dei conti rientra nella poetica e nelle tematiche che il buon vecchio George ha portato avanti fin dalla prima pagina. Per farlo chiameremo a raccolta altri grandissimi della letteratura fantasy, metteremo uno accanto all’altra altre storielle di elfi, nani, para-alieni e draghi, in uno zoo alternativo pronto all’uso. E ci scapperà qualche giudizio, non vogliatemi male e non prendetela sul personale, ché non ce n’è bisogno…
Di orchi e uomini
Sono ormai anni e anni che sfogliamo epopee fantasy, tanto che ormai il genere non è neanche più di nicchia, sdoganato dalle molteplici produzioni per adolescenti, dai film super costosi e dall’aumento di popolarità per ciò che è nerd. Se devo andare indietro e ricordare qual è stato il primo romanzo fantasy che ho letto, devo andare a riesumare Imajica di Clive Barker, e non è neanche tanto lecito metterlo tra i fantasy. Però con quello mi sono formato e quella storia lunga e complicata ha scritto per me gli standard del genere.
Poi con somma delusione sono passato al Signore degli Anelli, che ho odiato e mai riuscirò a farmi piacere. E da lì è arrivato tutto il resto, con Shannara, Mazalan, New Crobuzon e compagnia bella fino al Trono di Spade.
E con quest’ultima lettura sono rimasto perplesso. Infatti avevo imparato a cercare e trovare i cliché di genere, quando aprivo una storia fantasy e mi ci immergevo. Non mi sto riferendo alle cose banali come razze, setting medievale o vittoriano, carri trainati dai buoi e contadini indifesi distrutti dalle armate nemiche. Mi riferisco a un tipo di narrazione fatta per quest e contrapposizioni: un gruppo di buoni che si mette in viaggio per sconfiggere il cattivo di turno.
E’ il sale che fa muovere l’intera storia, la differenza di potenziale che genera la corrente narrativa e fa rotolare gli eventi fino a valle. Quindi la prima cosa che io da lettore (o telespettatore, per gli show televisivi e cinematografici) faccio è identificare le parti in causa.
Per fare un esempio pratico prendiamo Il Signore degli Anelli, che è scritto come una favoletta per bambini e non lascia adito a nessun dubbio identificativo. C’è la Compagnia dell’Anello, che è composta da persone buonissime e fantastiche, senza macchia, senza veri dubbi, senza corruzione. E stanno combattendo contro gli orchi e gli Uruk-hai governati dal Signore del Male Sauron e dal suo luogotenente Saruman. Non ci sono sorprese da questo punto di vista. Ci sono i bianchi e i neri. Come una partita a scacchi su un tabellone grande quando un mondo intero. Ed è giusto che sia così, il lettore non è spiazzato, trova dei punti di riferimento e si sente coccolato da un senso di appartenenza. Riesce a identificarsi, trova una fazione per cui patteggiare (bella o brutta che sia) e prosegue nella lettura senza grossi scossoni, conscio di quello che sta per accadere. E’ come andare sulle montagne russe: sono veloci, sono incredibili, ma sembrano pericolose, quando in realtà sappiamo benissimo che tutto è programmato e controllato al millimetro (o almeno così ci piace credere).
Il Signore degli Anelli non è il solo esempio di narrativa confezionata, che non è un male, badate, ma semplicemente una caratteristica peculiare. Citiamo per completezza subito Terry Brooks che nel 1977 presentava il Signore degli Inganni come l’antagonista di Shea nel suo romanzo La Spada di Shannara. Lo mettiamo subito dopo Tolkien per due motivi: è stato accusato di plagio proprio nei confronti dell’autore inglese (falsamente!) e perché usa lo stesso stile manieristico riscontrabile nella storia della Terra di mezzo.
Questa costruzione scacchistica della storia è riscontrabile in tanti altri esempi, più o meno autorevoli, in cui è facile trovare qualcuno con cui prendersela, un nemico o un antagonista. E a noi che ci frega di questa cosa?
Buoni e cattivi?
Se invece ci fermiamo a riflettere, guardando da lontano i romanzi delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, ci accorgiamo che una cosa del genere non è proprio lampante. Esiste un personaggio paragonabile a Sauron? C’è una incarnazione del male assoluto?
In effetti, Martin ha adottato un modo scolpire i suoi personaggi molto umano e poco fiabesco. Per questo ho mosso quella enorme critica al Signore degli Anelli (che mi varrà insulti, lo so, ma who cares?): i vary Tyron, Cersei, Bran, Rob, Ned e company sono umani a tutto tondo, contriti, sbeffeggiati dal destino, che non si sentono eroi neanche quando si comportano come tali. Sono in balia del destino e il destino può essere crudele. Non hanno velleità di sconfiggere mostri, di abbattere draghi (almeno non adesso, chissà dopo…), ma semplicemente cercano di venire a capo con le loro scelte e di farsi il meno male possibile.
La prima volta che ho letto Il Trono di Spade, ho identificato Ned come l’eroe, mi sono innamorato di questo personaggio e ho seguito la sua vicenda fino alla fine. Vedevo che era intelligente, acuto e comunque cercava di stare nel giusto, in un posto come Approdo del Re che di giusto aveva ben poco. Sarete d’accordo come me che lo shock per l’epilogo della sua linea narrativa è stato quasi fatale! Sono andato avanti nelle pagine, sono tornato indietro a rileggere tutta la sequenza, per trovare la conferma che non stava accadendo quello che stavo leggendo… Che era tutta una trovata pubblicitaria, che presto si sarebbe parlato di una sostituzione, di un salvataggio all’ultimo momento, ma invece no! Avevo appena perso il mio eroe! Una cosa impensabile, secondo me! E se lui non era il mio eroe, allora come potevo essere sicuro dei cattivi?
E infatti, pagina dopo pagina, tutto diventava sempre più confuso, fumoso e sfumato. Personaggi che sembravano buoni commettevano atti efferati, gente considerata malvagia si rivela diversamente, in un corollario di personaggi collaterali che aggiungevano sfaccettature a una trama estremamente fitta.
Le Cronache sono state palesemente pensate come un fantasy di stampo politico, senza ombra di dubbio. Con questo non intendo dire che la saga sia ‘ideologizzata’ in qualche maniera, anche perché chiunque ci può vedere quello che vuole, basti pensare al Signore degli Anelli e ai suoi idolatri destrorsi. Il mio discorso è che, a parte l’ambientazione inventata e altri particolari, Martin ha descritto un mondo creato da uomini, popolato da uomini, dove i gesti e le conseguenze sono vissuti da uomini. Le vicende sono riconducibili a una serie articolata e efferata di lotte di potere senza tregua e senza pietà, così come siamo stati abituati a leggerne nei libri di storia fin dalle scuole elementari. Ogni personaggio ha un suo antagonista e a sua volta è antagonista di qualcun altro, in una catena di opposti che prima o poi si incontrano.
Winter is coming
Descrivendo una storia di così ampio respiro, spalmata su due o tre continenti, con un cast tanto variegato quanto autonomo e non stereotipato, Martin ha introdotto il fenomeno astronomico e meteorologico delle stagioni perenni, cogliendole in un momento di cambiamento, dal caldo dell’estate che rappresenta ovviamente la pace e lo status quo, stiamo per entrare di prepotenza all’interno del più buio inverno, dove la luce si smorza e la temperatura si abbassa drammaticamente.
Sul significato puramente scientifico di questa trovata, per me, è inutile anche parlarne: non c’è bisogno di dilungarsi sul palcoscenico scelto da Martin per coronare la sua opera. E’ ben più interessante invece trovarne i risvolti allegorici e metaforici, che potrebbero aggiungere una prospettiva modale alla domanda che ci siamo posti all’inizio di questa lunga elucubrazione. Potremmo pensare che l’inverno perenne sia in realtà una stagione dell’animo umano, mutevole, una sorta di rappresentazione inversa della meteoropatia, uno stato di male cosmico che attacca e influenza le opere e le vicende di ogni essere sulla terra.
Con questo contesto, appare anche più comprensibile la natura quasi casuale e infausta con cui si manifesta la morte nel party di personaggi, sia principali che di contorno. Se è l’intero universo a virare verso la violenza, chi sono gli uomini per poter sfuggire al destino cieco che le stelle hanno riservato loro? Una interpretazione quasi astrologica, lo ammetto, ma è molto interessante esplorare questo anfratto, laddove la religione occupa un posto importante in tutta l’opera di Martin. Aggiungere questa prospettiva mistica rende più drammatico e ineluttabile il Destino in ogni manifestazione, facendo scottare ancor di più ogni singolo voltar di pagina.
Quindi, potremmo pensare che il vero nemico nell’epopea di Arya Stark e company sia un male profondo e ciclico che a corsi non prevedibili si manifesta invisibile e prepotente, bramando il delirio di corpi e cattiveria che si manifestano nel suo impronunciabile nome.
Evil ex machina
E per finire, mi va di fare un’altra considerazione. Come ben sappiamo anche dalle stesse parole di Martin e come abbiamo anche specificato in apertura, in Game of Thrones nessuno è al sicuro: non c’è personaggio che ha la certezza di arrivare in fondo alla storia tutto intero. E’ un gioco al massacro in cui la roulette può girare storta per chiunque abbia la sfortuna di sfidarla. E con queste premesse ferree e questa dichiarazione programmatica, un personaggio che incarni in tutto e per tutto il Nemico da battere non ha dignità di esistere. Come potremmo immaginare un personaggio tanto fortunato da essere il villain e che quindi rimarrà con noi a tessere le sue trame, fino alla fine mentre gli altri cadono sotto la scure del malefico Evil ex machina che li falcidia senza pietà? Perché è scritto anche se non a chiare lettere che il nemico sarà sconfitto nel gran finale, che i protagonisti o quelli che sono rimasti soffriranno per abbatterlo e trionferanno. Ma un personaggio del genere, così potente e protetto non può esistere in un universo organizzato come quello delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Quindi, fatevene una ragione. C’è un solo cattivo, un unico essere umano da biasimare per tutto quello che sta succedendo ad Approdo del Re ed è Martin, il vero pazzo furioso (in senso buono) che tippetta sul suo computer incarnando il potere della creazione con quello della morte, capace di recidere fili come un barbiere farebbe con i capelli, lasciandoli cadere a terra incurante.
Speriamo che almeno LUI riesca ad arrivare alla fine di questa storia.