Con uscite certamente più regolari rispetto a suo “fratello” (parliamo ovviamente di Tales from the Borderlands), Game of Thrones continua la sua cavalcata nel racconto della martoriata famiglia Forrester, araldi dei caduti Stark e detentori del potere commerciale offerto dalle loro rigogliose foreste. A dispetto delle aspettative, ammettiamo che i primi due episodi ci hanno lasciato leggermente amareggiati, configurandosi come due capitoli privi di mordente e, talvolta, anche pigri dal punto di vista narrativo. Arrivati dunque all’esatta metà del gioco (le uscite in totale saranno 6), siamo ansiosi di scoprire se almeno con questo The Sword in the Darkness la serie troverà finalmente il giusto piglio perché, sia chiaro, le premesse ci sono tutte.
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Il primo e fondamentale punto a favore di questo episodio è certamente la sua “ricchezza” narrativa. Ricchezza non esagerata, chiariamolo subito, ma quanto meno per azione e circostanze, The Sword in the Darkness fa di sicuro meglio dei suoi due predecessori, cominciando a puntare l’acceleratore sull’urgenza di vendetta che pervade il cuore dell’intera famiglia Forrester… o di quello che ne rimane. Al centro della vicenda troviamo certamente il duo Rodrick/Asher, i due rampolli più grandi della casata, dove il primo ha preso il posto di Lord della sua casata in una battaglia tormentata e dura contro gli invasori che si è ritrovato in casa (alle dirette dipendenze dell’usurpatore del Nord: Roose Bolton), il secondo vive le sue avventure oltreoceano, ormai prossimo ad imbattersi, per forza di cose, sul cammino della Regina dei Draghi.
ll punto di vista di Rodrick, che lascia certamente maggior spazio a forti scelte morali, alza non di poco quella che era l’attenzione del giocatore, proponendo una serie di situazioni che, come saprà il giocatore abituato alla narrativa Telltale, per forza di cose culminerà in conseguenze importanti e tutte da scoprire. Con Rodrick, in questo episodio, si percepisce forse per la prima volta quello che è il feeling che ci si aspetterebbe dall’accoppiata Telltale/Game of Thrones e che, amaramente, non si era ben percepito nei mesi scorsi. Certo, non tutto è eccellente come vorremmo, e c’è il sentore ancora forte che il team non sia in grado di gestire al meglio le sfaccettature offerte dal nugolo di personaggi attraverso cui sia possibile narrare la storia. Non perché Telltale non lo abbia già fatto (vedi The Walking Dead), ma forse perché proprio il ritmo della narrazione, decisamente sofferto ed “attendista” ancora una volta non si sposa in modo vincente con le uscite episodiche, rendendo azioni e conseguenze troppo diluite e frammentarie.
Vero è che è la stessa serie ideata da George Martin a “soffrire” di questo vizio, tuttavia – spero concorderete – c’è una netta differenza tra una storia divisa in libri, un serial tv diviso in episodi, ed un prodotto ludico episodico a maggior ragione se si considera che quello che abbiamo tra le mani, è forse l’episodio meno interattivo di sempre, salvo per un paio di momenti ispirati, ma pur sempre isolati.
Il gioco, insomma, soffre della tipica “sindrome” dei prodotti Telltale post The Walking Dead in cui delle trovate decisamente buone si perdono in un mare di piattume e noia. La frammentazione del cast di protagonisti in qualche modo dà una spinta all’attenzione, rendendo forse il piatto meno insipido, tuttavia la noia non manca, anche quando si incontrano NPG intriganti o situazioni di pura azione come, chi giocherà, potrà constatare nella sezione dedicata a Gared Tuttle e ambientata tra i Guardiani della Notte.
Certo, arrivati al terzo episodio si comincia finalmente a percepire un certo affetto per alcuni personaggi, come lo sfortunato Rodrick, il che aiuta non poco ad un’immedesimazione su cui il gioco punta dal primo episodio, ma che sino ad ora era faticata ad arrivare. Per il resto, non possiamo non ammettere che Telltale sia abile nel seguire il passo del modus operandi di Martin, tinteggiando una vicenda che ha sfumature politiche interessanti e ben costruite in cui, virtualmente, un’azione sbagliata potrebbe portare a conseguenze terribili.
Il problema, ben noto, è che quelle conseguenze potrebbero (come no) effettivamente essere percepite solo alle fine dei giochi, risultando ADESSO, dei semplici specchietti per le allodole “narrativi” poiché raramente (molto raramente) ad azione corrisponde una reazione tangibile, tale da farvi davvero immaginare di aver fatto bene o male. Tutto il resto è quasi etereo, e non sempre si sublima in qualcosa di concreto il che, come capirete, in un gioco che punta praticamente SOLO sulla narrazione è un pochino deludente. O meglio, non totalmente gratificante. Come che sia, la vicenda prosegue verso una direzione che sembra finalmente visibile e la storia si prende la briga di dare ad ognuno dei Forrester ancora vivi un ruolo in quella che è una macchinazione familiare che, fino ad ora, si era forse persa in un mare di chiacchiere e piagnistei.