This is war
Confrontarsi con Call of Duty non è mai qualcosa di semplice. Banalmente si potrebbe pensare che non c’è tanto da dire su una serie che, salvo rarissimi casi, è rimasta piuttosto fedele a sé stessa, ma dicendo una cosa simile si peccherebbe un po’ di ignoranza, e tanto di superficialità. Perché confrontarsi con COD significa fondamentalmente fare i conti non tanto con le sue introduzioni o i suoi “sbalzi temporali”, ma con la solidità del suo sistema online, sicuramente pallino di una buona fetta dei suoi fan… se non proprio di tutti. E questo non è semplice. Non è semplice perché significa dover mediare, in qualche misura, tra chi bazzica il titolo sommariamente, magari per una partita tra amici, e chi invece vive il multiplayer di COD come una vocazione, gareggiando non con gli amici, ma con un vero e proprio team, in quella che sarà una guerra totale con i pro-player di tutto il pianeta. La missione, senza troppo crucciarsi, è impossibile. Ma tutto si fa più semplice quando, almeno, quello che si prova e di cui si deve parlare offre un divertimento immediato e schietto, e ancor più quando questo risulta del tutto inatteso.
Sono tantissimi anni ormai che qui si è distanti da COD. Il brand, a modesto parere di chi vi scrive, ha smesso di essere divertente tempo fa, soprattutto quando si è cominciata ad avere una chiara percezione delle sue aggressivissime meccaniche di vendita, che hanno letteralmente vomitato sul mercato titoli in sequenza, con mood così sovrapponibili da non poter essere più digeribili. Sazietà che, tra le altre cose, è anche concisa con un preciso momento nella “moda” degli FPS, che hanno tutti cominciato ad offrire, e forse COD prima di tutti, un appeal iper-tecnologico e futuristico che non ha fatto altro che rimarcare il bisogno, da parte dell’utenza, di un cambiamento doveroso e radicale. Con questo feedback ben stampato in testa, e certamente con la voglia di tornare ai fasti di un tempo, COD si è dunque scollato di dosso ogni velleità hyper-tech ed è tornato alle origini, alla guerra vera e tecnicamente “arretrata”. Nasce così Call of Duty: World War II, in sviluppo presso Sledgehammer Games e nuovamente ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, dopo ben 7 anni dall’arcinoto (e amatissimo) World at War. Invitati a toccare con mano quello che è il contenuto della beta online in questi giorni, ci siamo trovati ad ammettere che sì, questo potrebbe essere l’anno della svolta.
HQ, HQ, do you copy?
Per prima cosa il team ci ha fatto un veloce debriefing su quella che sarà la principale introduzione di questo episodio: gli headquarters, luogo in cui le truppe, ossia i team di giocatori, potranno incontrarsi, socializzare, e persino gareggiare in attività amichevoli in quello che sarà una sorta di campo di addestramento digitale che, con alcuni mini-game in stile tiro a segno si simulerà quello che poteva essere un giorno qualsiasi durante la leva militare. L’idea del team parrebbe quella di costruire una piattaforma di interazione che, simulando una giornata qualunque al campo base, permetta ai giocatori un tipo di relazione che, effettivamente, risulta inedita nel panorama degli FPS online. Connessi generalmente attraverso chat in game e non, con WWII i giocatori potranno invece interagire attivamente in quello che è, a tutti gli effetti, un hub con integrate attività ludiche e social, ma strettamente in tema con quello che è il rigore storico che il team si è imposto nel ricreare le atmosfere della WWII. C’è da dire che, purtroppo, non abbiamo potuto mettere mano a questa feature, pertanto non ci è possibile dire quanto e se essa risulterà funzionale. Non sappiamo, inoltre, quanto saranno utili o divertenti i mini-game di “addestramento” presenti negli headquarters, il che non ci preoccupa ma ci lascia ancora titubanti sull’eventuale interesse dei giocatori verso un sistema del genere.
Questo è il mio pad, ce ne sono molti come lui, ma questo è il mio!
Chiuse le premesse, ci siamo dunque cimentati in una serie di partite in quadra, occasione più che ghiotta per constatare la bontà delle mappe. Il colpo d’occhio è ottimo, e WWII si è contraddistinto per un’ottima varietà delle mappe, tanto dal punto di vista del level design che, per quel che abbiamo potuto apprezzare, si è dimostrato articolato e versatile, quanto per la direzione artistica e la costruzione visiva, capaci di ricreare le atmosfere tipiche dei più fedeli war movie. Tre sono le mappe che abbiamo potuto ammirare: quella di Pointe du Hoc, composta da un dedalo intricato di trincee e bunker, ma fondamentalmente soggetta alla linearità dei suoi corridoi; quella ambientata nella Foresta delle Ardenne, decisamente più aperta ed esplorabile, con una buona mescolanza di ambienti chiusi e aperti; infine la mappa ambientata a Gibilterra, in un’alta roccaforte perfetta per un po’ di buon cecchinaggio, ma anche fortemente esposta a causa della fragilità delle sue mura.
WWII punta insomma a mantenere intatta una certa spettacolarità, che è poi tipica del brand, e pur non rinunciando a mappe articolate, sceglie però una via più schietta e diretta, quasi da “royal rumble”, mettendo i giocatori in costante confronto. Citando la concorrenza, siamo lontanissimi, per dire, dalla vastità delle mappe di Battlefield 1, che permettono più che volentieri di tirare un sospiro di sollievo, di coprirsi o semplicemente di allontanarsi dal fuoco nemico. La frenesia di COD si riflette per forza di cose nella costruzione del level design che rispecchia lo stile del gioco: i giocatori versano in uno stato di agitazione costante e sono obbligati a un movimento continuo e, spesso, disordinato, con raffiche di fuoco mordi e fuggi, complici anche i pochissimi colpi necessari per l’uccisione del nemico.
Per ciò che concerne l’armamentario, esso sarà invece legato ad una delle divisioni disponibili nel gioco, messe su per ricalcare fedelmente i ruoli, ed anche gli equipaggiamenti, delle fazioni protagoniste della seconda Grande Guerra. Cinque in tutto: Infantry, Airbone, Armored, Mountain e Expeditionary. Ogni classe gode ovviamente di abilità uniche, di oggetti di supporto che ne configurano il ruolo, ed ovviamente di uno stile di gioco differente, motivo per cui vanno scelte realmente con cura, pena una morte rapida e impietosa. E dunque ogni divisione avrà un’arma primaria ed una secondaria, scorestreak specifici (alcuni dei quali veramente impagabili in termini di mortalità) e gadget. A volte, persino di tipologie di proiettili diversi, da caricare a proprio gusto all’interno dell’arma per infliggere tipi di danno diverso. Altra novità ai fini del gameplay è l’introduzione anche di specifici perk che vengono classificati come relativi all’addestramento ricevuto dalle varie unità. I “basic training”, equipaggiabili uno alla volta, forniscono in questo modo un’abilità passiva che permette, ad esempio, di muoversi più velocemente o di raccogliere automaticamente le munizioni dal suolo gettando le basi per un’ulteriore differenziazione nell’uso che i giocatori potranno fare delle 5 classi disponibili.
Per quanto riguarda le modalità, abbiamo dato un occhio alle classiche Team Deathmatch e Capture the Flag, ma quella che ci ha più entusiasmato è stata la nuova e divertente War, modalità inedita e veramente molto divertente! In soldoni: divisi in due fazioni avversarie, Asse e Alleati, verrete catapultati su una mappa con 5 aree disposte su un percorso lineare. Le aree sono inizialmente chiuse, e non potrete che scorrazzare per i punti prefissati dal gioco, pena il respawn. Ogni area ha un obiettivo, che potrebbe essere un ponte, una scorta di rifornimenti o una stazione antiaerea. Lo scopo sarà quello di difenderla dai nemici (eventualmente rimettendo in piedi dei muri abbattuti o delle mitragliatrici fisse) o assaltarla, ricostruendo ponti, distruggendo postazioni o semplicemente stazionando il più a lungo possibile in un determinato punto strategico. Al completamento di un obiettivo, l’attacco potrà avanzare verso il prossimo, costringendo la difesa ad arretrare, ma se quest’ultima terrà banco, l’attacco semplicemente sarà obbligato a perdere più tempo nell’obiettivo in corso, il tutto mentre un timer scandirà il tempo prima che la difesa riceva i rinforzi con conseguente game over. Si tratta di una modalità frenetica e solo vagamente strategica, ma che tuttavia riesce a dare grandi soddisfazioni, specie a quei team con un minimo di coordinazione e comunicazione ed il tutto restituendo una sensazione di “realismo”, complice l’ottima ricostruzione storica, veramente impeccabile per ambienti e situazioni. Non che la modalità War riproponga situazioni del vissuto delle fazioni della Seconda Guerra Mondiale ma, credeteci, il feeling è quello di un momento di una piccola e realistica battaglia al fronte, capace dunque di restituire impressioni belliche di prim’ordine, all’interno di uno scontro in cui uccidere i nemici freneticamente è un’opzione, e non il fondamento del gameplay, o comunque non il vostro obiettivo primario. War premia la tattica, la collaborazione e l’abilità di squadra, secondo uno schema inedito del tutto differente al più classico e rodato Deathmatch a squadre, pur non perdendone l’intensità e la frenesia.
Ciò detto dobbiamo ammettere che COD: WWII riesce a scatenare, anche nel giocatore occasionale, un autentico senso di competizione, complice la smania cui il brand ci ha abituati e che ha fatto, come saprete, la fortuna della scena competitiva mondiale. COD è tale per la sua frenesia, per il ritmo che riesce ad imprimere ad ogni partita e il modo in cui stimola le squadre di giocatori ad organizzarsi durante le competizioni. Non occorre, come sempre, che molti proiettili vengano esplosi, la morte colpisce con impressionante velocità. Questo è un paradigma rodatissimo la cui modifica, ovviamente, sconvolgerebbe in modo sconquassante il mondo del gaming professionistico, fatto di meccaniche e “regole” ormai assodate. Non servono che pochissimi colpi per cadere al suolo sconfitti, ma il punto è che tutto ciò trova un senso completamente diverso rispetto alle recenti incarnazioni, fondendo la meccanica al setting realistico e donando all’azione un realismo appagante. Ovviamente non senza una certa sofferenza da parte del giocatore più inibito, ma tant’è. Questa è la guerra.