Gelidi soffi dell’aldilà
“Vive al di fuori della grazia di Dio, vaga nelle tenebre più profonde, è un vampiro, “Nosferatu”. Queste creature non muoiono come l’ape dopo la prima puntura ma si rafforzano e diventano immortali una volta infettate da un altro Nosferatu. Quindi, amici miei, noi non stiamo combattendo una sola bestia ma intere legioni che passano di era in era nutrendosi del sangue degli esseri viventi.”
(Abraham Van Helsing – Dracula)
Il Vampiro, come archetipo del male. Se ne potrebbe scrivere per ore ed ore di vampiri, che trascendono ormai da oltre 3 secoli, i limiti del folclore popolare dal quale sono stati generati. Da Dracula a Nosferatu, passando per Castlevania ai più moderni esempi di horror videoludico, i vampiri tormentano da tempo l’immaginario collettivo, dividendosi tra fascino e disprezzo, tra le più struggenti metafore dell’amore perduto di Stoker e le meno riuscite e giovanili incarnazioni luccicose.
Quale che sia la sua veste, la sua formula. Che abbia la pelle cerulea o meno, al vampiro va dato forse il merito di essere l’anfitrione perfetto di una catabasi eterna, che mostra agli uomini i tormenti che affliggono coloro che scelgono di perpetrare la strada del male. E credetemi, nulla di più aderente a quanto detto potrebbe descrivere al meglio quella che è l’idea alla base di Vampyr, attesissimo nuovo titolo di Dontnod. Parliamo fondamentalmente di un GDR, alla cui base c’è una fortissima componente investigativa, annessa ad un’ampia divagazione esplorativa.
Al giocatore un compito, ed uno soltanto: scegliere. Vivere costantemente un dilemma che non riguarda la banale perpetrazione di bene o il male, secondo il canone abbastanza consolidato del genere, ma qualcosa di più sottile e, se vogliamo, più subdolo. In Vampyr si sceglie chi vive e chi muore ma, soprattutto, in Vampyr si affrontano le conseguenze di ogni passo, di ogni nefandezza, di ogni piccola conquista.
“Dal seme di Belial arrivò il vampiro Nosferatu che beve e si nutre del sangue del genere umano. Abita, senza redenzione, in sotterranei spettrali, sepolcri e bare, riempite con terra maledetta dai campi della Morte nera.”
(Dei Vampiri Spiriti Terrificanti Stregonerie e i Sette Peccati Capitali)
E dunque, guidati in quel di Colonia direttamente da Philippe Moreau (non perdetevi la nostra intervista), Game Director di Vampyr, abbiamo avuto l’occasione di dare un’occhiata ad una versione pressoché completa del gioco, in quelli che sono proprio i primi attimi della trama.
Il protagonista è il Dr. Jonathan Reed che, a causa di un incidente non meglio specificato, ha contratto il morbo del vampirismo diventando, come immaginerete, un vampiro. Il gioco è ambientato in una Londra gotica e vittoriana, afflitta nel XIV secolo dalla peste, che decimò più di un quinto della popolazione di Londra (75.000 e 100.000) in poco più di un anno. Nel mondo di Vampyr la peste è arrivata con le stesse modalità, con la differenza che la popolazione ha anche a che fare con i vampiri di cui, nonostante un certo cinismo, ha piena coscienza, sebbene a causa delle difficoltà relative alla loro precisa identificazione, il più della popolazione tenda a mitizzarli nel folclore.
Tornando alla demo: abbiamo mosso i primi passi partendo dall’ospedale gestito da un collega e amico di Reed, il Dr. Swansea, primo mandatario delle quest del gioco che, proprio in seguito ad un presunto attacco vampirico, ci ha chiesto di indagare su alcune sparizioni avvenute nell’ospedale.
L’aspetto del luogo è tetro, cupo, marcescente, perfettamente in canone con quello che è il degrado vissuto dalla popolazione londinese negli sfortunati anni del morbo nero.
Vampyr è, senza mezzi termini, gotico in ogni sua fibra. Vittoriano nei canoni stilistici delle sue abitazioni, dei suoi modelli, dei suoi vestiti, ma profondamente dark e oscuro per tutto ciò che concerne l’atmosfera che lo permea. Il male oscuro che si annida per la città di Londra ne ha stuprato e traviato l’animo di pietra e mattoni. Passeggiare per i vicoli della visione di Dontnod significa, spesso, ripensare ai lugubri ambienti del bellissimo Bloodborne che dallo stesso immaginario attingeva seppur, ovviamente, con le giuste derive fantasy. Vampyr, in tal senso, non parte per la tangente. Il titolo resta radicato ad un certo tradizionalismo. L’immaginario di Dontnod attinge dall’opera di Stoker, e da quella di Coppola che a sua volta vi attinse per il cinema. Al Nosferatu di Murnau, da cui riprende i dettami più classici dell’orrore vampiresco, ed in ultima istanza persino a Peaky Blinders, straordinaria serie TV di Steven Knight cui si rifà per le costruzioni, gli ambienti e persino un certo gusto per il vestiario.
Dontnod, nel suo rifacimento di Londra non cerca il realismo forsennato, non pretende la fedeltà storica. Il tentativo è un altro: quello di creare il miglior tavoliere possibile per una partita di Cluedo le cui pedine sono scacco dell’orrore e, fondamentalmente, delle azioni del nostro protagonista. In tal senso la ricostruzione non vuole virare al fantastico, come Bloodborne, ma cerca di restare con i piedi per terra, concedendosi divagazioni spaziali (la costruzione di quartieri praticamente inventati) ed estetiche (la mescolanza di abiti vecchi e nuovi, un linguaggio più moderno e meno antiquato) ad uso e consumo di funzionalità e divertimento.
Archiviata la discussione col buon Dottor Swansea avremo quindi la possibilità di girare per uno dei quartieri del gioco, i Docks. Qui ci ha condotto una pista di sangue, che abbiamo seguito grazie alle abilità sovraumane ottenute dal nostro protagonista, tutte atte a ricalcare quello che è un vampiro di stampo abbastanza classico compresa, ovviamente, la possibilità di percepire il sangue, sia esso ancora caldo nel corpo dei viventi, o riverso al suolo come macchie luminescenti.
Abbattuti un po’ di nemici umani, e giusto qualche ibrido vampirico di poco conto, ci siamo dunque adoperati per l’esplorazione dell’area, sempre guidati dal sangue, ed alla ricerca di notizie utili alla soluzione del nostro caso. A chiunque creda che Vampyr sia un gdr di stampo action anche solo vicino ai più squisiti ibridi come Fallout, diciamo di stare alla larga. Dontnod ha in realtà optato per un titolo che vira molto di più verso l’investigazione che l’azione, seppur questa sia ampiamente infusa nel codice del gioco. Siamo dalle parti dei discreti investigativi dedicati a Sherlock Holmes o, se proprio ne siete a digiuno, ai più classici punta e clicca sebbene, ovviamente, qui interazione e esplorazione sono ben lungi dai limiti imposti dalle più canoniche avventure a la Broken Sword.
Vampyr, in questo senso, è molto più simile a quel Cthulhu che sempre a Colonia abbiamo potuto apprezzare aggiungendo a questo giusto un po’ di azione in più. L’investigazione, tuttavia, è altrettanto solida, ed è praticamente il fulcro dell’esperienza di gioco, sia per quel che riguarda il prosieguo naturale della main quest, sia per ciò che concerne l’interazione con gli NPG che è poi, a dirla tutta, la chiave di volta dell’intero gameplay.
Un gameplay che, per inciso, ha uno scopo, e uno soltanto: sopravvivere.
Certo, come detto, non mancano combattimenti con tanto di boss fight più o meno articolate, ma francamente abbiamo assistito a delle sezioni di scontri un po’ zoppicanti, sia per le meccaniche che per le animazioni, e forse proprio gli scontri sono l’aspetto del gioco che ci ha convinto di meno e su sui ci riserviamo di ritornare in fase di review. E dire che di nemici, in Vampyr, ce ne sono un bel po’, partendo dalla stoica guardia cittadina che, equipaggiata alla buona, cerca di far fronte alla minaccia vampirica che ammorba le strade di Londra, passando alle più fetide creature della notte tra cui la più acerba forma di vampiro che abbiamo potuto ammirare: gli “Skull”. Esseri umani che durante la trasformazione in vampiri sono regrediti ad uno stato ferino e che senza meta girovagano per la città in cerca di sangue. Può capitare di tanto in tanto che vampiri ed umani si scontrino a vicenda, così come può succedere che il level design messo in piedi dal team (sviluppato, per altro, anche in verticale) o le nostre abilità, ci permettano di evitare del tutto lo scontro, lasciando noi, come i nemici, illesi. Quel che è certo è che il combattimento sarà sempre un’opzione e mai una necessità, tanto che, per bocca del team, abbiamo saputo per certo che potremmo concludere il gioco senza imbatterci in null’altro che negli scontri obbligati dalla trama.
Al giocatore è insomma concessa massima libertà di approccio. Reed, il protagonista, gode infatti di un set di abilità a dir poco esagerato che, per fortuna, riesce a farci chiudere un occhio su quello che è il malmesso sistema di combattimento. Teletrasporto, controllo mentale, invisibilità, controllo del sangue. Jonathan Reed è un vampiro in tutto e per tutto e maggiore sarà la sua forza (leggasi: il livello ottenuto in base all’esperienza), maggiori saranno le abilità ed i poteri, attivi e passivi, che potremo sbloccare. Ovviamente, in quanto vampiri saremo sempre e comunque legati a doppio filo al sangue, e alla sua presenza nel nostro corpo. Utilizzare le abilità vampiriche implica un uso di sangue, al cui azzeramento saremo praticamente inermi. Dovremo quindi affondare le zanne nel collo di una vittima ignara o di un nemico affinché la nostra vitalità si ricarichi e, con essa, la possibilità di scatenare la nostra furia. Non mancano poi armi bianche, pistole, attacchi forti e pesanti e tutto quello che ci aspetterebbe di trovare in qualunque canonico action game anche se, come detto, non ci è parso che il team sia propriamente a suo agio con controlli e hit box. Impressione che, personalmente, avevo avuto ai tempi di Remember Me e che con Vampyr, visto soprattutto il più ampio respiro, mi sembra più confermata che mai.
“Il male è un punto di vista. Dio uccide indiscriminatamente, e così faremo noi; perché nessuna creatura di Dio è come noi; nessuno è simile a lui, quanto noi.”
(Lestat De Lioncourt)
Il sangue ha tuttavia un significato ben più profondo. Il team ha infatti ben pensato di rendere gli scontri poco più che un orpello, men che meno una necessità. Sconfiggere nemici, per quanto forti o numerosi, ci darà infatti pochissimi punti esperienza, praticamente inutili per poter aumentare le nostre abilità vampiriche. Un numero ben più cospicuo di punti exp verrà invece dato dal sangue degli NPC, ovvero gli abitanti dei vari quartieri, che tra peste, povertà e vampiri, combattono disperatamente per la sopravvivenza. Ognuno di essi verrà schedato dal nostro protagonista, che accumulerà su di loro una rosa di preziose informazioni che andranno dal carattere, ai legami sentimentali, all’occupazione, sino ai più taciuti ed oscuri segreti.
Ogni aspetto, ogni interazione, ogni caratteristica, determinerà per gli abitanti un livello di “qualità del sangue”. In soldoni, i preziosi punti esperienza che conquisteremo prosciugandoli con un morso alla carotide. Potremo dunque scegliere chi uccidere, cercando di diventare dei giustizieri di un bene silenzioso e letale, o magari divenire un’ecatombe, facendo strage di chiunque ci capiti a tiro. La scelta sarà data a noi, premesso che la morte di un personaggio non solo significherà la sua scomparsa dalla partita, ma un cambiamento sostanzioso nelle dinamiche dell’ecosistema in cui questi vive. Uccidere tutti i personaggi, ad esempio, significherà lasciare la città in mano alle creature della notte, obbligandoci ad una run di soli combattimenti. Salvare quelli che riterremo i più giusti potrebbe, al contrario, migliorare le condizioni di Londra e la conseguente fine del morbo. Il bello è che non sempre le cose saranno così chiare, ed anzi scopriremo che tutti i personaggi di Vampyr hanno delle ombre, delle scale di grigio, degli scheletri dell’armadio che, tali da rendere la loro morte qualcosa di più complesso che una semplice scelta tra bene e male.
Con chiunque parliate, chiunque uccidiate, chiunque lasciate in vita. Vampyr si prospetta come un palcoscenico digitale dalla precisione invidiabile, in cui tutti gli ingranaggi, noi compresi, sono parte di un macchinario complesso e preciso. Al di là dei combattimenti e di certi limiti tecnici che, comunque, speriamo siano superati in questi ultimi mesi prima della release, a colpirci di Vampyr è questo: il suo essere un’opera digitale di rara complessità e bellezza, che sceglie di non rarefare le scelte del giocatore ma anzi, di lasciare che esse si possano evolvere, sublimare, rimescolare, fallire. Scegliendo di negare ogni forma di manicheismo tra bene e male, Vampyr si gondola dei suoi chiaroscuri, portando il giocatore ad esplorare le tonalità più disparate dell’animo umano, dividendoci costantemente tra le esigenze di sopravvivenza del nostro animo vampirico, e quelle più squisitamente umane, date dal nostro essere ancora un medico. I mostri, come sempre, si nascondono nel folclore ma albergano e si nutrono dei più impalpabili aspetti dell’animo umano.
Perché i vampiri non forse non esistono, ma i mostri sì. I mostri siamo noi. Esseri umani.