I gatti giapponesi: dal periodo Heian al periodo Edo
Se dovessimo riassumere Internet in poche parole, una di queste sarebbe sicuramente gatti: grassi, assonnati, coccolosi oppure aggressivi e strani, fin da cuccioli conquistano il cuore di tantissime persone. Anche in Giappone non sono immuni al loro fascino, tanto che da questi sono nati fenomeni pop divenuti internazionali e che hanno raggiunto anche il nostro Paese.
Tuttavia, bisogna dire che il gatto non è sempre stato presente in Giappone, ma venne esportato dai cinesi nel corso degli scambi commerciali tra i due Paesi. Nel periodo Heian, dunque nel X secolo, i gatti hanno fatto la loro prima comparsa per diventare col tempo animali di compagnia, principalmente per la classe nobiliare. Tale è divenuto l’amore per questi felini che è venuta a crearsi la razza del Bobtail giapponese, dalla coda molto corta e arricciata.
Questa caratteristica venne sviluppata per via di una leggenda su un demone-gatto con una coda lunga e biforcuta, anche se quella ritorta del bobtail viene detta “a crisantemo”, fiore sacro simbolo della casata imperiale, facendo sì che il gatto divenisse pian piano parte del pantheon di innumerevoli kami dello shintoismo. In questo modo assunse caratteristiche di portafortuna, che vennero accorpate nelle sembianze del maneki neko: un particolare bobtail che talvolta regge una moneta con una zampa e con l’altra “saluta” i passanti. Questo aspetto benaugurante è nato anch’esso da leggende che coinvolgono personaggi storici quali addirittura Oda Nobunaga, l’uomo che diede inizio all’unificazione del Giappone, che secondo un racconto venne appunto “salutato” da un gatto, gesto che venne considerato di buon auspicio.
Inoltre, il gatto non è certo stato ignorato in ambito artistico: pittori come Hokusai e Utagawa Kuniyoshi lo hanno rappresentato nelle loro stampe in varie forme, quest’ultimo anche umanizzando i felini per via delle restrizioni sui soggetti rappresentabili per un breve periodo nell’epoca Edo (XVII-XVIII secolo), che impedivano di dipingere i piaceri dell’epoca come il teatro o i quartieri del piacere. Il risultato furono dei gatti vestiti come attori kabuki o con lunghi kimono in scene di vita quotidiana, ritti su due zampe e dall’aspetto vagamente antropomorfo.
I gatti oggi
Nel linguaggio…
A proposito di vita quotidiana, i gatti sono diventati così presenti, sia in città che in campagna, che addirittura si sono formate espressioni e modi di dire che li riguardano: nekojita, che significa “avere la lingua di gatto” e dunque non sopportare pietanze molto calde; neko no te mo karitai, che grossomodo significa “essere molto indaffarato”; neko ni katsubushi, che come significato intrinseco vuol dire “non aspettarti che fili tutto liscio se affidi qualcosa a qualcuno non adatto all’incarico” ma letteralmente si traduce in “dare in custodia il pesce al gatto”; neko ni koban, che è come il nostro “gettare perle ai porci”, quindi dar qualcosa a chi non sa apprezzarne il valore.
E poi ancora neko wo kaburu, ovvero avere in apparenza un carattere docile o cortese, nascondendo in realtà un temperamento molto più focoso o addirittura ipocrita; neko no shiri ni saizuchi, che letteralmente significa “prendere a bastonate sul sedere un gatto”, immagine metaforica esilarante per farci intendere quei casi in cui un oggetto non viene utilizzato in maniera appropriata; neko no ko ippiki inai, un po’ come il nostro “non c’è un cane in giro” oppure “eravamo in quattro gatti”, cioè pochissimi; e ancora un sacco di altri proverbi e simili.
…e nella cultura pop
Questi riferimenti poco lusinghieri significano allora che il gatto non è ben visto dai giapponesi? Affatto! Basti pensare anche nella cultura pop quanta presa fanno quel bel musetto e quelle orecchiette e zampette rosee, vendute come gadget da indossare o come forme per cibi di tutti i tipi, specialmente dolci.
E vogliamo parlare di Hello Kitty? Creata da Yuko Shimizu e personaggio mascotte per Sanrio, è diventata virale grazie alla sua tenerezza di gattina circondata da amici altrettanto kawaii, anche se in anime e manga spesso e volentieri il gatto è semmai un compagno dei protagonisti, se questi addirittura non ne possiedono le capacità: basti pensare a Luna, Artemis e Diana di Sailor Moon; Doraemon (anche se è un robot); Kurochan (divenuto cibernetico, ma pur sempre un gatto vero in origine); Giuliano in Kiss Me Licia; Strawberry in Mew Mew a cui compaiono orecchie e coda da gatto selvatico Iriomote; Chi di Chi’s Sweet Home; Happy e Carla di Fairy Tail; Jiji in Kiki consegne a domicilio; Jybanyan da Yokai Watch (tra l’altro ha la coda biforcuta, come il demone che dicevamo prima!); il Nekobasu ne Il mio vicino Totoro; Shampoo che si trasforma in gatto con l’acqua, in Ranma ½; le ragazze-gatto in NekoPara e un sacco di altri meno conosciuti ma comunque presentissimi sulla scena animata!
E per chi non può tenere un gatto in casa? Il Giappone ha pensato perfino a questo! Come tutti ben sappiamo, la vita giapponese è a dir poco frenetica, soprattutto nelle grandi città. Poiché ci si concentra soprattutto sul lavoro, in pochi hanno la possibilità di badare ad un animale domestico (e ancora meno possono proprio permetterselo economicamente). Perciò, per chi avesse voglia di stare in compagnia di qualche felino ci sono due possibilità: gli ormai famosissimi Neko Café, che sono arrivati perfino qui da noi, anche se non ancora numerosi come in Giappone (almeno un centinaio e una trentina concentrati solo a Tokyo): luoghi dove potrete essere accolti e giocare coi gatti ospitati, pagando una tariffa oraria.
Ovviamente qui i gatti vengono trattati col massimo rispetto e la massima cura, anche perché già in primis questi locali non si trovano nel bel mezzo della strada come dei comuni café, ma sono più appartati e intimi; l’alternativa è andare nelle due isole del Giappone conosciute come le “isole dei gatti”, ovvero Aoshima e Tashirojima. In entrambi i casi, i gatti furono introdotti con l’intento di combattere i topi presenti sulle isole, le cui comunità si vedevano minacciate le attività produttive dai roditori.
Ma deve sempre esserci qualche stranezza…
Per concludere questo excursus lunghissimo, non possiamo non citare due curiosità un tantino fuori dalle righe (ma poi che cos’altro potremmo aspettarci dai giapponesi?).
La prima riguarda un gatto di nome Tama (corrispondente giapponese del nostro “Palla”, “Pallino/a” come nome per un animale domestico) a cui si attribuisce la sopravvivenza di una linea ferroviaria, la Kishigaza. Fu nominato per questo capostazione e quando morì, vista tutta la scaramanzia dei giapponesi e la simbologia portafortuna del gatto stesso, venne sostituito da un altro gatto rinominato Nitama, cioè Tama II, mentre il suo predecessore ha ora un suo santuario shinto in cui viene venerato come kami!
La seconda curiosità invece riguarda un libro fotografico chiamato Painyan, parola che nasce dall’unione di oppai, “tette”, e nyan, onomatopea del verso del gatto. Ebbene sì, il fotografo Aoyama Yuki ha unito le due cose che oggigiorno “movono il Sole e l’altre stelle” per creare questo album che, a sua detta, dovrebbe avere effetto terapeutico, poiché i gatti, al contrario dell’uomo, sanno rimanere calmi di fronte ad un bel decolleté. Ah beh.
Infine, nel caso voleste celebrare in qualche modo anche voi l’amore per questo affascinante animale, sappiate che il giorno del gatto in Giappone è il 22 febbraio, poiché questa data può essere letta proprio NIan NIan, NIan!