I The Jackal collaborano per la prima volta con Netflix e portano sul piccolo schermo Generazione 56K
In uno dei primi episodi di Generazione 56K, la nuova serie dei The Jackal prodotta da Netflix, due personaggi si trovano a letto insieme a guardare «una di quelle serie moderne» sul loro portatile. Stanno guardando una coppia fare l’amore, e si lamentano tra di loro dicendo che queste relazioni su piccolo schermo sanno sempre di falso, che «si vede che sono finti».
Questa piccola scena è forse quella che riassume meglio Generazione 56K. Una serie dove ogni personaggio sa di finto, e dove quasi ogni scambio di dialogo appare forzato e costruito.
Ma partiamo con ordine.
Per chi non li conoscesse, i The Jackal sono un gruppo di comici e creativi napoletani diventati inizialmente famosi grazie ai loro video su Youtube. Si tratta per lo più di sketch comici, alcuni anche geniali, diventati virali nel corso del tempo. Tecnicamente parlando, Generazione 56K non è la loro prima serie. Nel 2011 infatti portarono sul tubo Lost in Google, simpatica web series che cerca di dare risposta alla misteriosa domanda “che cosa succede se si cerca Google su Google?”
Nel 2017 debuttano al cinema con AFMV – Addio fottuti musi verdi, film demenziale di fantascienza che non è riuscito a trovare il consenso né tra la critica che tra il pubblico.
Due dei componenti più famosi del gruppo, Gianluca Fru e Ciro Priello, sono inoltre apparsi di recente tra i comici del reality di Amazon Prime Video, LOL – Chi ride è fuori (con Priello che ne è anche uscito vincitore).
Generazione 56K segna la prima collaborazione dei Jackal con Netflix. La serie, ideata e parzialmente diretta da uno dei co-fondatori del gruppo, Francesco Ebbasta, racconta la storia di Daniel e Matilda, due ex-compagni delle medie che si rincontrano da adulti e capiscono di piacersi parecchio. C’è un problema però: Matilda è fidanzata con un altro e sta anche per sposarsi.
Oltre a questa linea narrativa, ambientata nella Napoli contemporanea, la serie ci mostra anche l’infanzia dei due protagonisti nel 1998 su un’isola del litorale campano.
Generazione 56K si alterna costantemente tra passato e presente, mostrandoci le scelte di vita dei vari personaggi e l’evoluzione delle varie relazioni nel corso del tempo. Anche il rapporto con internet è molto importante: dai primi giri del web per procacciarsi materiale pornografico, fino allo sviluppo di app per cellulari nell’era digitale. Un ritratto di una generazione, quella millennial, che ha visto la nascita e l’evoluzione di un nuovo tipo di socialità virtuale.
Sulla carta tutto sembra essere al suo posto. Abbiamo un tema, un’ambientazione e uno sviluppo dei personaggi. E allora perché tutto sa ancora estremamente di finto, e inoltre di già visto? Trovare un’unica risposta non è semplice, poiché si tratta dell’unione di molteplici fattori.
Il problema principale è forse la scrittura. Generazione 56K vorrebbe essere una commedia romantica, ma riesce parzialmente nel suo intento solo nella sua dimensione più sentimentale. Ci si riesce ad affezionare a Daniel e Matilda, ma non si riesce quasi mai a ridere delle situazioni in cui si trovano. Le battute sono forzate, banali e a volte proprio imbarazzanti. La serie non ha il coraggio di far andare avanti una situazione romantica solo con la forza del dramma, ma deve sempre ancorarsi a un qualche tipo di linea comica per rendere tutto il più leggero, più fresco. È soprattutto la presenza di Gianluca Fru e Fabio Balsamo (due membri storici del collettivo Jackal) a rendere molte situazioni macchiettistiche anche quando non è necessario, nonostante il loro ruolo nell’economia del racconto rimanga comunque più che marginale.
La regia di Francesco Ebbasta non rischia mai in termini visivi, e si limita a mostrare al meglio delle sue capacità la storia che si era prefissata di raccontare. Non riesce a dirigere in maniera convincente gli attori, che rinforzano l’aurea generale di “finto” dell’intera operazione. I The Jackal se la cavano egregiamente quando si tratta di brevi sketch su Youtube, ma nel lungo periodo non riescono a tenere il ritmo di una recitazione divertente o perlomeno convincente.
Ma alla fine della fiera, si vede che Generazione 56K crede in quello che sta facendo. Non lo fa nei migliori dei modi possibili, ma sembra essere perlomeno sincera in quello racconta. Si vede che tutto quello che sembra essere falso, meccanico o forzato, non è dovuto a qualche forma di disonestà, ma piuttosto alla mancanza ancora di competenze cinematografiche in grado di “fregare” lo spettatore. Di illuderci che quello a cui stiamo assistendo è vero. È un connubio di scrittura mediocre, regia sufficiente e recitazione altalenante a rendere questa nuova serie Netflix un prodotto dalla visione a volte piacevole ma mai pienamente soddisfacente.