Posticipato di un mese in segno di rispetto verso il drammatico evento che ha colpito il concerto di Ariana Grande a Manchester, Get Even è finalmente in dirittura d’arrivo. L’ultima fatica dello studio polacco The Farm 51 si è rivelata, al netto di alcune problematiche, una gradevole sorpresa, riuscendo a mescolare abilmente elementi e generi differenti, e noi di Stay Nerd siamo qui proprio per spiegarne i motivi! Buona lettura!
La memoria non si sfama mai!
Cole Black è un ex militare reinventatosi guardia di sicurezza nonché spietato sicario che all’inizio dell’avventura è impegnato in una vera e propria missione di salvataggio: liberare una giovane donna rapita e pronta per esser fatta saltare in aria. L’operazione non si conclude positivamente e Black, dopo essersi risvegliato, si ritrova in un luogo sconosciuto, senza memoria e con una sola indicazione presente sullo schermo del proprio smartphone: recarsi in un certo edificio. Proseguendo verso l’obiettivo, Black scoprirà che quel luogo è un manicomio semi-abbandonato abitato solo da alcuni pazienti e dalla voce di un personaggio che si fa chiamare (guarda caso) Red. Il dottor Red precisa immediatamente che Black è un suo paziente e che si trova lì per sua spontanea volontà proprio nel tentativo di riottenere la memoria perduta. La terapia, se così vogliamo chiamarla, necessita dell’utilizzo di un particolare congegno mnemonico chiamato Pandora (una sorta di caschetto neurale) che permette di rivivere i propri ricordi come se fossero delle vere e proprie simulazioni virtuali.
Da questo momento in poi il plot, unendo efficacemente thriller e horror psicologico, calerà il giocatore in un turbinio di eventi pieni zeppi di sospetti, false piste, errori di interpretazione, difficoltà nel discernere tra realtà e finzione, glitch visivo-uditivi e tanto altro ancora. Un intreccio che fa del ripiegamento su se stesso (avremo, infatti, la possibilità di rivivere più volte i nostri ricordi per trovare tutti gli elementi utili a ricostruire i nostri ricordi e far luce su tutto quanto) e di ellissi da ricostruire il proprio fulcro nevralgico. Ciò che ne scaturisce è una trama con alcuni colpi di scena piuttosto importanti, ricca di tensione, suspense e dall’alto livello ansiogeno. Retta da una sceneggiatura efficace (nonostante qualche scivolone) trova nella magistrale soundtrack (curata da Oliver Deriviere) la compagna perfetta per realizzare quel preciso marchingegno di pathos capace di catturare la nostra attenzione fino in fondo. Fondo che tra l’altro raggiungeremo dopo una decina di ore di gioco, le quali aumenteranno se decideremo di impegnarci in una completa raccolta di tutti i documenti presenti nei vari ricordi.
Pistole a salve!
Dove Get Even convince molto meno è nel gameplay: la coerenza strutturale raggiunta nel sapiente mix di colpi di scena, tensione, incastri mnemonici vari e un sound-design allo stato dell’arte, non trova un contraltare adeguato nell’alternanza fra le varie fasi più o meno action e quelle più da walking simulator legate all’esplorazione e all’investigazione. Molte sezioni del gioco necessiteranno la risoluzione di puzzle attraverso l’utilizzo del nostro fidato smartphone iper-tecnologico, il quale si rivelerà un gadget molto utile in più di una situazione. È proprio quando bisogna imbracciare le armi da fuoco che l’impianto shooter mostra tutti i suoi limiti: è vero che il gioco tende a premiare un profilo stealth, ma è anche vero che l’intelligenza artificiale dei nemici tende a incastrarsi troppo e a reagire in maniera irrealistica e disfunzionale alle nostre strategie di approccio. Se a questo uniamo un feeling delle armi troppo leggero e poco soddisfacente sono ben chiari i motivi delle nostre critiche, e a salvare la situazione non bastano l’inserimento di un paio di interessanti trovate, come meccaniche legate al visore Pandora o la Pistola Angolare che permette di colpire i nostri avversari anche dietro a muri o coperture di vario genere.
Ricordi sbiaditi!
Altro elemento che presta il fianco a diverse critiche è il comparto tecnico (quello artistico nel complessivo riesce ad essere all’altezza): l’utilizzo dell’Unreal Engine 3 non ha di certo aiutato e texture poco definite e la scarsa polygon count sono lì a dimostrarlo. Aggiungendoci un framerate ballerino e incostante ci accorgiamo della distanza dei valori produttivi messi in campo per Get Even rispetto alle produzioni AAA più grandi.
Verdetto
Come affermato in apertura, Get Even, al netto dei problemi sottolineati che comunque esistono e hanno il loro peso, si è rivelato un titolo interessante che merita senza dubbio di essere provato. Anche per via del prezzo budget di soli 30 euro a cui viene venduto. Il lavoro di Farm 51 si inserisce, con le dovute differenze del caso, nel solco di quei titoli non perfetti (ci viene in mente Alan Wake, ma è un paragone azzardato), un po’ grezzi ma pieni di fascino e carisma, capaci di far a chiunque conceda loro un minimo di fiducia vivere un’esperienza diversa dal normale e senz’altro appagante.