Vale davvero la pena giocare Ghost of Tsushima nella sua modalità Kurosawa? La risposta è più complessa del previsto.
Quello che è stato sempre dichiarato, quasi allo sfinimento, da tutto il team di Sucker Punch sulla loro nuova opera, Ghost of Tsushima, è l’intenzione di voler fare un omaggio a uno dei più grandi registi del Novecento, Akira Kurosawa. Per i videogiocatori meno cinefili, sappiate soltanto che il regista giapponese è stato uno degli autori più influenti per il cinema mondiale, tra cui anche il nostro paese. Il mito del samurai nel cinema è stato instaurato da Kurosawa attraverso numerosi capolavori, poi importati in occidente con la traslazione al mito del cowboy. Alcuni esempi di queste importazioni sono La sfida del samurai, plagiato da Sergio Leone con il suo Per un pugno di dollari (tanto che Kurosawa fece pure causa al regista romano), e I sette samurai, portato in America sotto forma de I magnifici sette.
A differenza di tanti altri registi nipponici della storia del cinema, l’influenza di Kurosawa è stata assimilata e idolatrata nel corso degli anni con una importante rilevanza in occidente. E nel mondo dei videogiochi Ghost of Tsushima ne è la prova.
Non sono mai stato un grande fan di Sucker Punch, e francamente non avevo molte aspettative su Ghost of Tsushima. L’open world (simulatore di samurai) ha avuto l’importante compito di chiudere uno delle più vittoriose generazioni di Playstation, e alla fin dei conti l’ha fatto dignitosamente. Per scoprire meglio come, vi rimandiamo al nostro approfondimento.
Come già detto, non avevo molte aspettative sul titolo, e quando all’avvio della nuova partita mi è stato chiesto se l’avessi voluto giocare in “Modalità Kurosawa”, mi son detto: perché no.
Sono spesso reticente nell’iniziare giochi nuovi in modi alternativi rispetto a quelli standard che le opere propongono, ma importandomi fino a un certo punto del gioco non vedevo il motivo per cui non provare questa modalità che, quasi sicuramente, pochissimi altri hanno tenuto attiva per più di mezz’ora di gioco.
Questo sistema di gioco applica un filtro bianco e nero con pochi contrasti, un effetto pellicola anni 40 (con tanto di grana e graffi simulati) e una distorsione dell’audio con un netto taglio sui bassi, triste per chi gioca con un impianto surround in camera.
La scena iniziale di Ghost of Tsushima, l’assalto sulla spiaggia da parte dell’esercito di Samurai, fa già un’ottima impressione. È notte, e il fuoco delle frecce mongole tagliano meravigliosamente il buio dilagante, sovraesponendo anche l’armatura scintillante che il protagonista ha indosso. Da fan del bianco e nero, ero preso. Scrivo queste parole dopo aver finito interamente la storia principale con questa sbalorditiva fotografia monocromatica, ma ad essere sincero, non è stato tutto rose e fiori.
Per chi ha famigliarità con Ghost of Tsushima, saprà che il gioco fa un forte uso dei colori nella sua esplorazione e nel suo sistema di combattimento. Per l’esplorazione mi sono trovato in difficoltà in quei (pochi) momenti in cui il gioco mi chiedeva di seguire la scia di fiori blu o di trovare l’uccellino giallo. Come potrete immaginare, sono dovuto andare a tentoni. Inoltre la mappa di gioco di un colore unico non permette di distinguere le basi mongole dai rifugi sicuri, e così via.
Per quanto riguarda il combattimento invece, la situazione si fa più critica. Giusto per torturami un po’, ho giocato il titolo nella difficoltà difficile, dove con pochissimi colpi si finisce k.o. Gli attacchi critici dei nemici, che verso la fine del gioco diventano molto frequenti, sono evidenziati in luccichii blu o rossi. I rossi non si possono parare, i blu solo dopo aver sbloccato una determinata abilità. Come potete nuovamente immaginare, mi son preso molti di quei colpi dritti sul viso. In modalità Kurosawa è infatti impossibile distinguere questi attacchi, obbligandomi così ancora una volta ad andare a tentativi, soprattutto nelle tediose boss fight.
Inoltre nelle scene di guerra che vedono coinvolte decine e decine di NPC, è spesso difficile distinguere i nemici dai propri alleati.
Questi difetti sarebbero perdonabili se non fosse che è il gioco stesso ad offrici, all’inizio della partita, un modo differente di vivere la storia di Jin Sakai. L’omaggio a Kurosawa è molto bello, ma debilita molti aspetti del design del gioco, che avrebbe dovuto esser pensato diversamente a seconda della modalità scelta dal giocatore.
Come in molti hanno scorrettamente detto, la modalità Kurosawa non si limita solo a un semplice filtro bianco e nero. Si tratta di un vero e proprio rifacimento del cinema del maestro giapponese, famoso tra l’altro per l’uso del dinamismo visivo attraverso i fenomeni atmosferici. L’invadente vento, in bianco e nero, acquista quindi un nuovo significato, non solo dal punto di vista meccanico, ma anche simbolico.
Ghost of Tsushima in modalità Kurosawa non si limita a desaturare il gameplay, ma anche ogni singolo elemento della schermata di gioco. Che sia il menù di pausa, quello principale o la barra della vita nostra o dei nemici. Anzi, quest’ultima scompare proprio, assieme alla barra della resistenza, e non si sa bene per quale motivo.
Ma la preoccupazione maggiore che allontana molti giocatori da questa esperienza a due colori è spesso solo una: “ma dopo un po’, non è pesante?” E purtroppo devo rispondere di sì. Dopo aver finito il secondo atto del gioco, ho iniziato a sentire un po’ la pesantezza del bianco e nero, in grado di essere sia estenuante per gli occhi che asfissiante per il giocatore. Giocare un open world di queste dimensioni in queste condizioni non è il massimo, lo ammetto.
E forse questa modalità Kurosawa sarebbe stata ottimale per una seconda, ipotetica, run. Detto questo, una volta affrontato l’ultima missione della storia principale, ho attivato i colori, e mi si è aperto davanti il mondo. La palette cromatica di Ghost of Tsushima è di una bellezza mozza fiato, e un po’ di rimorso per averlo giocato in bianco e nero c’è stato. Poco male, visto che mi sono prefissato l’obiettivo di liberare per intero l’isola di Tsushima, questa volta a colori.