Spoiler: ci è piaciuto

Mesi faticosi hanno separato la pubblicazione dei primi teaser e trailer dall’effettiva uscita nelle sale di Ghost in the Shell, per la prima volta interpretato da attori reali. Mesi che hanno visto il pubblico cristallizzarsi tra chi era in estasi mistica per una “nuova puntata” del franchise creato da Masamune Shirow, e chi invece non credeva assolutamente nella riuscita del progetto. Bisogna essere sinceri oltre che il più oggettivi possibile, quando si scrive una recensione, e quindi lo saremo: eravamo molto dubbiosi sulla qualità del film, per il semplice fatto che da grande appassionati di anime e manga originali sinceramente non credevamo si potesse dire di più di quanto già non si fosse detto, e siamo dell’avviso che se non si può aggiungere qualcosa ad una conversazione è meglio tacere. Tant’è che abbiamo dedicato uno speciale proprio a questo tema, ovvero la dubbia necessità di un film live action su Ghost in the Shell. D’altro canto però siamo anche possibilisti, perché è ovvio che, sempre da appassionati, un film ben riuscito su un universo che adoriamo non può che renderci felice. Siamo quindi entrati in sala con sentimenti contrastanti, speranzosi di essere smentiti in blocco e timorosi di vedere i nostri peggiori incubi realizzarsi. Di come siamo usciti, invece, ve ne parleremo nelle prossime righe, ma fin da subito vorremmo chiarire un paio di concetti: Ghost in the Shell è un buon film di fantascienza, che non ricalca pedissequamente il primo film di Oshii, nonostante ne mutui molti elementi: non ha la stessa carica filosofica delle opere-madre, purtroppo, ma funziona lo stesso, seppur diversamente.

Mira è il primo cyborg mai creato. Successivamente ad un attacco terroristico su una nave di rifugiati è stata salvata in punto di morte, o meglio, solo il suo cervello è stato salvato, per essere installato in un corpo artificiale. La Hanka, azienda responsabile della realizzazione di questi corpi, la considera un’arma e l’affida al governo, più nello specifico alla Sezione 9, un’unità della polizia che si occupa prevalentemente di cyberterrorismo. Dopo questa breve introduzione vediamo Mira in azione, occupata a sventare un attacco da parte di androidi impazziti, proprio ai danni di un responsabile della Hanka. Evidentemente c’è un hacker, e altrettanto evidentemente toccherà proprio al Maggiore e alla sua squadra l’onere di trovarlo.

All’inizio il film confonde lo spettatore che già conosce i film di Oshii, probabilmente perché viene naturale cercare di capire quali collegamenti ci siano con il primo anime, soprattutto se parla della stessa cosa. Mettetevi l’anima in pace e prendete Ghost in the Shell come un film a parte, perché questo è. Nonostante gli infiniti richiami a situazioni già viste nel film d’animazione, infatti, quest’ultima opera racconta una storia che, pur a volte sovrapponendosi al primo anime, altrettanto certamente se ne distacca. La storia in quanto tale è un’altra, solo con delle somiglianze. Sono diversi i personaggi, è diverso il loro background ed è totalmente diverso il messaggio veicolato dal finale. Tutto questo può essere considerato un bene o un male, a seconda dei punti di vista, ma ragionandoci un attimo la scelta è più che condivisibile: che senso avrebbe avuto rifare il film di Oshii in scala 1:1? Probabilmente nessuno, semplicemente perché quel film esiste già. In questo modo, invece, anche lo spettatore con esperienza avrà una nuova storia da seguire, perdendosi poi nel cercare (e trovare) i miliardi di riferimenti che vengono fatti lungo le quasi due ore di proiezione.

Allo stesso modo le tematiche trattate non sono perfettamente sovrapponibili, o meglio, sono le stesse trattate in manga e anime, ma semplificate, e molto. La maggior parte dei discorsi che vengono fatti su cosa è il Ghost, cos’è l’esistenza, il corpo o l’importanza del genere sessuale, qui non ci sono. L’unica riflessione propriamente detta che troviamo è quella sui ricordi, presente anche nell’anime, dove il Maggiore riflette sull’incidenza che hanno i ricordi nel definire un essere umano. Il concetto di Ghost a sua volta sembra essere banalmente quello di “anima”, non tanto da intendersi come entità (quasi) sovrannaturale bensì come coscienza, capacità di pensare, e quindi cervello inteso proprio come organo. Il nostro timore riguardante i contenuti, quindi, ha trovato conferma, e l’aver svilito il grande carico filosofico portato da Shirow prima, e da Oshii poi, è il motivo per cui il film non ha potuto raggiungere un voto più alto. Per i nuovi arrivati nel fantastico mondo di Ghost in the Shell questo certamente non sarà un problema, così come per il pubblico più casual che non ha investito ore del suo tempo a cercare di capire di cosa si fosse fatto Shirow durante la stesura del manga, ma certamente per l’appassionato questo può rivelarsi un problema, per il semplicissimo fatto che l’ottima fantascienza cyberpunk di Ghost in the Shell, così come tutta l’ottima fantascienza in generale, funziona così bene perché il futuro è costruito su dei concetti solidi, e quindi su delle importanti riflessioni su quello che potrebbe diventare la nostra società. Ghost in the Shell è un’opera estremamente pregna di significati sotto questo punto di vista, e il film non gli riesce a rendere giustizia. Chiariamo, non stiamo dicendo che il film parla solo di indagini e schiaffoni, tutt’altro, ma i discorsi portati avanti sono estremamente semplificati, ed è un peccato.

Nonostante questo, però, il film funziona bene. Funziona bene perché il ritmo è sempre incalzante, le situazioni si susseguono senza soluzione di continuità, alternando tra momenti investigativi e momenti più spiccatamente action. Le scene d’azione sono realizzate in modo veramente eccezionale, con riprese aeree, slow motion o luci intermittenti che riescono a confondere e ammaliare lo spettatore. Gli effetti speciali sono ottimi e le scelte cromatiche azzeccatissime, soprattutto quando i nostri girano per la città dal sapore asiatico, piena di neon e ologrammi pubblicitari. Anche gli attori si comportano più che bene, con ottime e convincenti interpretazioni, soprattutto per quanto riguarda il trio dei personaggi principali, Scarlett Johansson (Mira), Takeshi Kitano (Aramaki) e Pilou Asbæk (Batou). Quello che però colpisce di più è stata la capacità di incastonare momenti e situazioni dell’anime lungo tutto il film, citando continuamente e in modo mai forzato. Alcuni gesti, alcune inquadrature, determinate battute, tantissimi sono gli elementi che chi conosce le opere originali ritroverà in questo film.

Verdetto

Ghost in the Shell ci è piaciuto, come avevamo premesso in apertura. Ha un ottimo ritmo che tiene effettivamente incollati allo schermo, gli attori si comportano bene così come la regia. Quello che un po’ non ci è andato giù è stata la scelta di semplificare tutta la costruzione filosofica di Shirow, che in sostanza era la colonna su cui poggiava tutta l’opera. Questo film va però valutato come qualcosa di diverso, di solo ispirato al manga e agli anime che l’hanno originato. Quindi, nonostante le critiche, dobbiamo constatare che il franchise è stato traghettato sul grande schermo con cura e capacità, e non possiamo che consigliarlo sia ai fan storici della serie che ai nuovi arrivati, nella speranza che quest’ultimi, dopo questo battesimo cinematografico, diano un’opportunità a tutto quello che è stato raccontato in precedenza sulle avventure di Motoko Kusanagi e della Sezione 9 della polizia.