Casa di Foglie: leggerlo non basta
In Italia, Casa di Foglie di Mark Z. Danielewski ha una storia editoriale molto particolare: inizialmente pubblicato da Mondadori, il libro è andato esaurito e non è mai stato ristampato. Qualche anno dopo Neri Pozza ha provato a ripubblicare il volume, di cui esiste qualche copia che pare fosse stata prodotta per i giornalisti, ma la commercializzazione non è mai avvenuta.
Questo ha portato il valore del libro alle stelle, rendendo di fatto inaccessibile l’opera, anche perché, seppure ne fosse esistita una versione digitale, sarebbe stata di difficilissima fruizione.
Dopo anni di irreperibilità ci ha pensato 66thand2nd a riportare Casa di foglie nelle nostre librerie, con un’edizione fantastica, identica in tutto e per tutto a quella originale.
Casa di foglie è un cult (vi basti pensare che si tratta di una delle fonti di ispirazione di Control) perché è un’opera improbabile, di difficile comprensione e, contemporaneamente, di grande spessore, oltre che un gran bel pezzo di letteratura. Letteratura ergodica, per essere precisi.
Se vi state chiedendo di cosa si tratti, parliamo di quei libri che per essere compresi richiedono uno sforzo superiore al lettore, che evitano la normale linearità della storia per costruirsi su più piani, mischiando a volte le parole nella pagina, per fare l’esempio più banale, o spargendo informazioni tra diverse porzioni di libro che appaiono del tutto slegate tra loro, risultando in un testo non (solo) strutturato secondo la tipica struttura per capitoli.
Andando nello specifico e abbandonando le definizioni, Casa di foglie si struttura in parte come un romanzo canonico, in parte come gruppo di frammenti letterari di diverso tipo organizzati come documenti allegati al testo principale, necessari a comprenderlo. Troviamo in queste appendici fotografie, lettere, poesie e altri scampoli di testo collaterali a quello che è il principale.
Il testo principale, a sua volta, è piuttosto fuori dagli schemi e gioca con il lettore. Ci sarebbe anche da notare che quello che sto definendo “testo principale” ci arriva nelle mani per vie traverse, nell’immaginario creato da Danielewski.
Johnny Truant è infatti, nella finzione del libro, il personaggio facente funzione di lettore, quello che ritrova in un baule un testo chiamato Casa di foglie. Il libro, scritto da Zampanò, è quello che ci troveremo a leggere per la maggior parte del tempo, annotato però proprio da Truant, responsabile anche dell’introduzione. Come nella migliore tradizione del manoscritto ritrovato, che accomuna Manzoni, Jan Potocki e Stanislaw Lem, l’autore si nasconde dietro una cortina di interposte persone che sono al tempo stesso lettori e autori del testo che, a nostra volta, stiamo leggendo.
Dopo aver letto Casa di foglie, Truant ha iniziato a perdere la ragione e ha deciso di inviarlo per la pubblicazione assieme alle sue note, ad altri scritti che realizzati dallo stesso Zampanò e ad altri documenti sparsi.
Cosa c’è di tanto strano nel manoscritto? Il libro è un saggio di critica e analisi cinematografica su un film cult di Navidson, un fotografo e regista che, trasferitosi in una nuova casa con la famiglia, si accorge che qualcosa non va. Navidson aveva già iniziato a filmare la vita quotidiana nella nuova casa prima di rendersi conto che la casa ha vita propria, e per non farvi spoiler vi dirò soltanto che è più grande all’interno rispetto all’esterno.
C’è però un “ma”. Navidson non ha mai girato quel film, non è neanche mai esistito, e Zampanò è cieco.
La versione di Navidson, così si chiama il documentario, pare avere però molti estimatori nel mondo del cinema, e diversi saggi sono stati dedicati all’analisi della pellicola. Di cosa parla quindi Zampanò? E perché Truant impazzisce nel cercare di venire a capo della cosa?
Il libro, come avrete intuito, si muove su più livelli. Il testo di Zampanò e le note a margine di Truant sono i principali, ma Casa di foglie supera questo non solo aggiungendo le già citate appendici. Casa di foglie di Danielewski – pardon, Casa di foglie di Zampanò – è un libro pieno di citazioni, note a piè di pagina, e riferimenti a altre opere/saggi. Alcune esistenti, altre no, esattamente come gli autori di suddette opere.
L’opera gioca poi con l’impaginazione, obbligandoci a interagire con l’oggetto-libro in modo inusuale, piegandolo, guardandolo al contrario, fotografandolo per specchiare alcuni testi (viva il 2020 e gli smartphone!).
Obbliga poi a leggere passaggi in altre lingue, spesso ma non sempre tradotti in italiano, e propone delle enormi liste di persone e opere assolutamente surreali. Richiede uno sforzo non da poco per essere seguito, per capire cosa ha senso e cosa non lo ha, con il suo cercare continuamente di depistare il lettore, o magari di dargli un suggerimento mascherato.
Il punto è che riuscire veramente a mettere ordine in La casa di foglie è probabilmente un compito impossibile, e lo dimostra il forum dedicato al libro in cui la gente ancora cerca di spiegare ogni dettaglio del testo.
Volendo semplificare al massimo l’opera di Danielewski, vi direi che si tratta di un racconto horror di stampo vagamente lovecraftiano nel suo raccontare un orrore intangibile e indicibile, ma sarebbe una cosa ingiusta. Perché in questo caso non dobbiamo parlare di cos’è il libro, quanto del rapporto con esso che ha il lettore.
Leggere Casa di foglie è un gioco, e non nel senso che daremmo al leggere un librogame. Questo è un gioco che mette alla prova come un enorme indovinello di centinaia di pagine che è possibile affrontare al proprio ritmo, secondo la propria sensibilità, preferendo dare priorità a una parte del testo in un momento preciso nella speranza/convinzione che aggiunga un tassello al puzzle.
Non è quello che normalmente ci si aspetta quando la sera ci si appoggia a letto con la voglia di svagarsi, e non è neanche pesante e difficile perché si tratta di una lettura dalla forma o dai contenuti complessi nel senso che normalmente attribuiamo alla parola “complesso” in riferimento a un testo.
Giocare, in questo caso, diventa un’azione fisica che si realizza nel rapporto e nella manipolazione da parte del lettore del libro come oggetto fisico, con la possibilità (e necessità) di saltare le pagine così come di tutte quelle interazioni concesse da un oggetto composto pagine. Giocare significa accettare le condizioni dell’autore, ovvero che non si ha per le mani Casa di foglie di Danielewski ma Casa di foglie di Zampanò con gli appunti di Truant, e tutti i pezzi di carta che i due hanno lasciato. C’è un passaggio nuovo, aggiuntivo ed estremamente meccanico, rispetto a quella che è la normale fruizione di un libro. e questa novità mette al centro il lettore, mentre Danielewski cerca in ogni modo di aggiungere elementi utili a rendere il suo essere entrato in possesso del testo il più verosimile possibile.
Giocare con un un libro di questo tipo non è quindi come un librogame, ma neanche come un videogioco. Non è una visual novel, non è un esperimento di narrativa interattiva nel senso stretto, nonostante si tratti di narrativa che richiede molta interazione. Volessimo trovargli un corrispettivo videoludico, penserei all’opera di Sam Barlow o, in misura molto diversa, alla narrativa ambientale di un Dark Souls, in cui lo sforzo richiesto all’utente va oltre quello che è normalmente richiesto dal prodotto che ci si trova tra le mani, costringendolo a trascendere i canoni del racconto a cui è abituato per lavorare collegando puntini sparsi e collegati da fili quasi invisibili.
Cionondimeno, come detto in apertura, si tratta di un bel pezzo di letteratura, in cui Danielewski dimostra si sapersi muovere agilmente tra registri linguistici diversissimi, spaziando tra il saggio e il racconto epistolare e tra prosa e poesia, senza mai sbagliare un colpo e restituendo sempre la netta sensazione che i vari elementi siano scritti da diverse mani.
Casa di foglie è, in definitiva, un libro che dovreste assolutamente leggere. C’è una bella storia, una dimensione orrorifica decisamente affascinante e dei bei personaggi, ma prima ancora c’è un modo nuovo di rapportarsi alla letteratura grazie al particolarissimo approccio che il libro richiede.
Il mondo creato da Danielewski non potrà che rapirvi e trascinarvi in un labirinto oscuro, potenzialmente infinito e pieno di misteri da scoprire, se sarete in grado di reggere la pressione e addentrarvi nel dedalo.