Le ragazze immortali: un inaspettato retelling sulle spose di Dracula
uando sentiamo parlare di Dracula e delle sue spose, spesso veniamo colpiti da immagini mentali ben precise, che coinvolgono paesaggi oscuri e pietrosi, creature terrificanti, suggestioni demoniache. Kiran Millwood Hargrave ci prende alla sprovvista con il suo Le ragazze immortali: un inaspettato retelling sulle spose di Dracula, il vampiro più famoso del mondo, edito da Oscar Mondadori e uscito nelle librerie italiane il 22 marzo.
In occasione del progetto Bellatrix, il quale ha proposto ad autrici ed autori di scrivere una storia su donne a cui non era ancora stata data una voce, Hargrave sceglie di raccontarci una vicenda che di molto si allontana dalle atmosfere solite a cui siamo portati a pensare quando si parla di Dracula o delle sue terrificanti spose vampiro. Quella che Le ragazze immortali di Kiran Millwood Hargrave vuole raccontare, infatti, è la storia di due sorelle, nate e cresciute in un mondo per poi essere scaraventate con violenza in uno completamente diverso. Forse è tramite questa svolta narrativa che Le ragazze immortali ci trasmette lo straniamento che proviamo nella lettura di libri legati alla figura del vampiro, un essere soprannaturale che conserva in sé il completo opposto della natura umana.
Le ragazze immortali è innanzitutto una storia di sorellanza, di violenza, razzismo e amore: temi importanti che nelle 254 pagine del libro trovano poco spazio per essere approfondite. Non che un libro debba essere necessariamente chilometrico per sviscerare argomenti succosi, ma meno sono le pagine per raccontare, più deve essere intensa la scrittura. Hargrave butta forse troppa carne al fuoco e il volume ci appare così come un coacervo di accenni a cui il lettore non riesce a prestare troppa attenzione. Manca il pathos, l’immedesimazione, quel non-so-che per rendere la storia di Kizzy e Lil degna del messaggio che si prefigge di far passare.
Kizzy e Lil sono due giovanissime donne, sorelle gemelle, appartenenti al popolo dei Viaggiatori, nomadi che per vivere addestrano orsi ballerini. Nella loro cultura è intrinseca l’azione di spostarsi di terra in terra, evitando i villaggi e le cittadine degli Stanziali, quella fetta di popolazione che invece vive sotto la reggenza di un boier, latifondista e governatore. All’insaputa dell’amena tranquillità in cui vive la comunità di Kizzy e Lil, il loro accampamento viene tutto d’un tratto distrutto dal fuoco degli Stanziali, che riducono in schiavitù le due sorelle insieme a tutti gli altri giovani Viaggiatori presenti sul campo. È questo il tragico inizio di un’avventura che condurrà Kizzy e Lil in luoghi sconosciuti e terrificanti, dove le leggende si confondono con la verità, che a volte può essere più spaventosa di un’orrenda favola della buonanotte.
Immaginazione, folklore rumeno ed evidenza storica
Kiran Millwood Hargrave costruisce il suo romanzo sulle basi di una realtà storica profondamente legata al folklore rumeno e alle origini dei rom di Romania, popolo proveniente dall’India settentrionale, arrivato su quel territorio intorno alla prima metà del 1200. Le vicende legate al primo insediamento dei rom nell’Est dell’Occidente sono intrise di un tipo di violenza estremamente comune ai popoli occidentali: quella razziale. Presto i rom vennero fatti schiavi dai boiardi (membri dell’alta aristocrazia feudale) e dai monasteri ortodossi. Lo scontro tra queste due diverse comunità, infatti, fu culturale, politico e religioso.
L’autrice si fa strada nella realtà dei fatti per trarne una storia di fantasia che non si fa tuttavia fatica a collocare nel nostro universo. Le ragazze immortali si svolge in un mondo in cui non esistono toponimi specifici, in cui tutto è avvolto in una nebbia di vaghezza, che fa assomigliare la narrazione ad una tipica fiaba dal sapore del “C’era una volta”, in cui persone, luoghi e situazioni nascondono dietro il velo della finzione un sotto-testo tangibile e veritiero. Si mescolano nella lineare e poco sorprendente scrittura di Hargrave mito e leggenda, Storia e tradizione, letteratura e originalità.
In ballo nel romanzo ci sono tematiche care ai lettori del 2022, come la lotta al razzismo, la violenza sulle donne, l’identità culturale, le relazioni queer. Ciò che manca è l’approfondimento di alcuni di questi temi, impegnativi e contorti nella loro naturale evoluzione narrativa e antropologica che si è sviluppata nel corso del XXI secolo. Le ragazze immortali manca forse di quella intensità e di quello spessore che avrebbe fatto passare il romanzo da uno status di lettura “senza impegno” a quello di lettura “impegnata”: una labile differenza che non riguarda tanto il tipo di storia che si racconta, quanto il modo in cui la si racconta. Qualche grammo in più di attenzione, qualche suggestione meglio riuscita, qualche emozione meglio approfondita, qualche slogan in meno e Le ragazze immortali si sarebbe fatto immediatamente riconoscere tra la moltitudine di retelling che in questi anni hanno invaso gli scaffali delle librerie. Accanto a titoli come Circe, La buia discesa di Elizabeth Frankenstein e A Dowry of Blood, Le ragazze immortali di Kiran Millwood Hargrave compare come un’appendice dimenticabile.
Retelling: doverosi quando non è il marketing a guidare la penna
I retelling sono un genere letterario che ultimamente sta spopolando nel mondo editoriale, trascinando nella contemporaneità personaggi provenienti dal mito, dal folklore e dalla stessa realtà storica, reinventandoli completamente o assegnando loro nuove sfaccettature, sicuramente più in vista all’occhio di un autore o di un’autrice dalla sensibilità moderna. Mossa di marketing o sincero interesse letterario a parte, questo modo di scrivere ha coinvolto i lettori di tutte le età, alzando l’asticella e spronando le penne a sorprendere con storie sempre più accattivanti. Il boom del retelling comincia forse con il fenomeno editoriale di La canzone di Achille, ancora oggi in vetta alle classifiche; Madeline Miller ci ha stupito con la sua rielaborazione del mito classico, spopolando sui social e portando alla luce tantissimi altri titoli dello stesso genere, come L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso di Marilù Oliva, La vendetta degli dei e Il segreto di Medusa di Hannah Lynn.
Tra i titoli che ripescano personaggi popolari dell’immaginario comune non mancano neanche nomi di Dracula, Frankenstein, Morgana e la leggenda di Re Artù. Molto spesso è occasione per questi volti noti di essere approfonditi, di assumere una veste visiva e narrativa diversa, rinfrescata; altrettanto spesso si assiste ad una mossa furba da parte delle case editrici e degli autori, i quali cavalcano l’onda della popolarità di un genere per storpiarlo e svuotarlo del suo originale intento: nel caso del retelling, quello di ridare voce ad una fascia di personaggi che sono stati vittime del loro tempo, soggetti a narrazioni spesso ingiuste, piatte, superficiali. Gli autori e le autrici del passato vengono imbevuti di nuovi significati, cacciando indietro il “vecchio” per lasciare spazio a spunti innovativi. La visione violentemente femminista con cui si traccia nuovamente il profilo di Morgana nel Ciclo di Avalon; la condanna dell’abuso con cui Gibson ci racconto la vita di una delle spose di Dracula in A dowry of blood; l’esuberante e parodistica rielaborazione della storia delle sorelle Bennet in Orgoglio e Pregiudizio e Zombie di Seth Grahame-Smith; la disarmante rotondità di un personaggio come quello di Circe, entrato nella canonica rappresentazione di maga maligna e donna tentatrice con i postumi dell’Odissea e riscoperto sotto una luce completamente diversa da Madeline Miller.
Dov’è finita l’autrice di Vardø. Dopo la tempesta?
Con Vardø. Dopo la tempesta, uscito nel 2020 per Neri Pozza, Kiran Millwood Hargrave ci aveva dato un’idea della sua scrittura come un qualcosa di viscerale, concreto e al contempo onirico, quanto basta per trasmettere al lettore un senso di straniamento nel leggere di una comunità di donne, nel gelo della Norvegia, assalite dall’orrore della caccia alle streghe. Un romanzo maturo che tuttavia, verso la metà della sua durata, già mostrava una sorta di pigrizia nel voler proseguire quella via contorta e burrascosa intrapresa sin dalle prime pagine. Nato come riscrittura del processo alle streghe realmente avvenuto a Vardø nel 1610, il libro perde la sua potenza dopo qualche capitolo, mantenendo una notevole scorrevolezza che prevede tuttavia l’abbandono di un reale approfondimento. Hargrave pecca forse di sconclusionatezza? Verrebbe da pensarlo, perché in Le ragazze immortali commette lo stesso errore, fornendoci un retelling tanto forte dal punto di vista strutturale quanto debole dal punto di vista contenutistico, in cui persino quella scrittura elaborata e primordiale che tanto avevo amato in Vardø. Dopo la tempesta viene meno.
Anche il modo in cui nel suo primo romanzo storico Hargrave dà voce ad un gruppo di donne colpite dalla violenza della misoginia perde di potenza con Le ragazze immortali, dove l’odio nei confronti del sesso femminile si riduce a stereotipati motivi neanche approfonditi. Le donne sono schiave, sia nelle cucine che nei letti dei padroni uomini, eppure una di loro ha, all’interno della gerarchia che ci viene illustrata, un ruolo di potere. Perché? Il Drago, mostratoci immediatamente come “cattivo” della storia, è praticamente privo di spessore, nonostante intorno a lui aleggino già immagini che ce lo fanno ricondurre al Conte Impalatore e che quindi ci forniscono di lui una mitizzazione di cui il romanzo dovrebbe dimostrarsi all’altezza. Basta davvero infilare in una trama elementi potenti come la violenza sessuale e l’abuso di potere, sotto forma di nozionistiche macchiette, per partorire un’opera di denuncia? Non dovrebbe essere sottintesa, in un libro che rielabora le origini delle spose di Dracula (personaggi canonicamente vittime di abuso), un’intenzione di denuncia? E qual è il modo migliore per denunciare? Basta davvero inserire tra i capitoli poche frasi motivazionali e memorandi che ricordino al lettore quanto le donne abbiano il diritto di essere libere? Nel 2022, dopo così tanti titoli che, per fortuna, hanno scelto di affrontare egregiamente la questione, forse questo non è abbastanza.
È interessante scoprire cosa c’è dietro l’immaginifica vicenda di Kizzy e Lil, la quale, nella sua mancanza di spessore su pagina, nasconde un bacino di accenni che pescano direttamente dalle leggende e dalle tradizioni del popolo rumeno e, più in generale, dell’Est Europa. Atmosfere simili le abbiamo ritrovate anche nella trilogia di La notte dell’inverno di Katherine Arden o in quella di Tenebre e Ossa di Leigh Bardugo, in cui l’influenza dei folklori russi, polacchi, ucraini e bielorussi fa da padrone. Per citare titoli provenienti direttamente da quelle nazioni è bene fare il nome di Vita nostra di Marina & Sergey Dyachenko, L’enciclopedia dei morti di Danilo Kiš, Shadow Prowler di Alexey Pehov e la saga di The Witcher di Andrzej Sapkowski. Spesso il Vampiro ci viene sottoposto in una veste occidentalizzata che di molto si allontana dalla sua reale origine, profondamente legata alla terra della Transilvania e alla tradizione folkloristica slava. Un mondo, quello del fantastico dell’Est, che è bene approfondire per ragioni non solo politiche e letterarie, ma anche estetiche, immaginifiche e diversificate, le quali aiutano il lettore italiano, generalmente settato su una letteratura occidentale, ad aprire la mente verso una cultura da fin troppo tempo dimenticata o messa in secondo piano. Questo forse il maggior merito del lavoro di Kiran Millwood Hargrave.