Fare a pezzi il mito, e con esso l’eroe
Credetemi, è difficile. È difficile spiegarvi a parole le sensazioni scaturite dall’aver giocato al nuovo God Of War. È difficile perché la bellezza e la potenza del nuovo lavoro di Santa Monica mi hanno letteralmente travolto con l’impeto della furia spartana che, da qualche parte, alberga ancora nel cuore di Kratos. Vecchio, stanco, ma per nulla imbolsito dagli anni trascorsi, lo spartano ha cambiato vita, ha messo su famiglia, ma è ancora al centro di un tormento. Un tormento forte, potente, che lo perseguita come una maledizione e che, in qualche misura, si abbatterà presto su suo figlio, Atreus, nato da una relazione instaurata non si sa quando, né come, dopo gli eventi di God of War 3. Qualcosa, forse tutto, è cambiato in God of War. O forse non è cambiato niente. Esprimerlo è difficile, lo ripeto, ma ci proveremo lo stesso.
“La follia è tanto superiore alla sapienza in quanto la prima viene dagli dei, la seconda dagli uomini”
(Platone)
Abbiamo avuto la fortuna di provare il gioco per 2 ore buone in un evento stampa esclusivo in quel di Milano. Evento in cui, tra l’altro, abbiamo avuto modo di conoscere e intervistare Cory Barlog, Director di GoW 3, e di questo prossimo episodio a metà tra sequel e reboot. Barlog ci spiega, come per altro potete leggere nell’intervista rilasciataci, che l’obiettivo di questo God of War è quello di ripartire quasi da zero. Da cui la scelta di non aggiungere alcun sottotitolo o “numero” al titolo del gioco. Un God of War che sia alla portata dei nuovi fan, ma che abbia in sé il retaggio dei vecchi capitoli. Una storia nuova, che contenga le reminiscenze del tempo che fu e che, in ultima istanza, racconti un Kratos diverso, più personale, ancora inseguito dagli spettri del passato, irrimediabilmente attaccatisi addosso sotto forma di cenere. Quella cenere che ha dato alla sua carnagione un colorito bianco, oggi più sporco e spento che mai. Questo è un punto di inizio nuovo per la serie, la qual cosa l’abbiamo percepita subito, tanto attraverso il gameplay che tra le diverse linee di dialogo a cui abbiamo assistito. Purtroppo non ci è possibile raccontarvi per filo e per segno i momenti di trama che abbiamo vissuto, o i personaggi che abbiamo incontrato, ma quel che è certo è che al centro di tutto non c’è più la forsennata violenza, cieca e inarrestabile, che ha animato il personaggio quando fu partorito da David Jaffe, ma un Kratos inedito, più umano, qui per lo più nelle vesti, quasi inattese, di un genitore, che fatica a fare i conti con l’inesperienza, e la scalpitante frenesia di suo figlio, Atreus.
La cosa più interessante è che il nuovo God of War offre una nuova prospettiva sul passato della serie, ed in particolare di Kratos, che sin dalle sue origini si è mosso con un istinto più ferino che umano. Se dovessimo descrivere Kratos, diremmo che il personaggio era un folle e violento semidio, tormentato dal torto subito dagli dei e dallo spettro della morte dei suoi cari. C’è qualcosa qui che forse ci era sfuggito, in anni e anni di sangue e violenza, ed era il concetto di follia. Non quella comunemente intesa, ma quella greca, pervenutaci attraverso la tradizione della tragedia teatrale, ed attraverso le opere di Platone, Omero e Sofocle. Come Aiace, Kratos ha vissuto una violenza autodistruttiva, che l’ha condotto ad una follia cieca, non insensata, ma mossa dall’antica rivalità tra uomo e dio. Un dramma che ha tutti i sapori dei canoni dell’epos e che, in ultima istanza, ha portato ad una spaccatura nel personaggio, risoltasi poi solo con la fine di God of War 3 quando, col procedere delle ore, Kratos prendeva coscienza di essere divenuto un distruttore di mondi. Perché più che videogame, God of War è stata forse una vera e propria tragedia digitale, una questione che forse meriterà un articolo a sé, ma che in questo momento ci interessa per tutto ciò che significa in rapporto con il nuovo episodio della serie. Perché Kratos è cambiato. Come un eroe epico è riemerso dalla sua follia, e pur non negandola ne vive il dolore il patimento. Non c’è più la rabbia cieca, ma la ponderatezza, forse data dagli anni, e la volontà di trasmettere un qualche insegnamento di vita a suo figlio, Atreus, i cui passi potrebbero allo stesso modo portare alla disgrazia. Perché Kratos è greco, ed in quanto tale non è schivo a quel pensiero che vede nei peccati dei padri la rovina dei figli. E tutto questo è in God of War, nel nuovo God of War. Nel rapporto tra presente e passato della serie. E ora ditemi se già solo partendo da qui non si accende in voi una curiosità immensa. Ditemi se questo non è il cambiamento più grande, incredibile e inatteso che una serie, da sempre devota semplicemente alla violenza, può fare.
”Per gli Dei, cosa sono diventato?”
”Morte, il distruttore di mondi”
(Kratos e Il Becchino)
E il gioco comincia proprio così, raccontandoci del rapporto tormentato tra padre e figlio. Un rapporto che Kratos non sembra in grado di espletare al meglio, nella forte incapacità di provare ancora affetto, se non attraverso una certa rudezza. Perché il male in fondo ti cambia, ti rende più duro, anche se è forte la volontà di fare del bene per chi ami. La percezione che il mito anglosassone e norreno dia più che un blando riferimento artistico è potente, e si respira nei dettagli, nella speranza che Kratos, in ultima istanza, non finisca come Beowulf.
Ma andiamo oltre. Limitandoci alle informazioni già rilasciate dai trailer del gioco, per ora vi basti sapere che la storia vede nel suo inizio la morte di una donna. La madre di Atreus e compagna di Kratos, con cui quest’ultimo pare avesse trovato la felicità. Il desiderio di lei di essere portata, nei suoi resti, sulla cima di un monte lì nella regione dove la famigliola viveva, farà sì che Kratos e suo figlio si avventurino oltre i confini di casa, nel desiderio di adempiere al triste ed ultimo desiderio della donna. E questo è quanto, nel suo incipit semplice e stringato che, come da tradizione nord europea, fa da anticamera a quello che certamente sarà un racconto molto più grande e più complesso. Al centro – come detto – ci sarà non il dio, ma l’uomo, nel suo difficile e inadeguato rapporto padre/figlio. Avevamo già avuto modo di conoscere l’aspetto più paterno di Kratos, specie per mezzo del bellissimo Chain of Olympus di Ready at Dawn, ma il paragone col passato è quasi impietoso. Questo Kratos è più maturo, consapevole, frammentato. C’è un momento preciso del racconto che abbiamo vissuto in cui parla a suo figlio dell’ira, e di come sia sbagliato farsi dominare da quest’ultima durante la frenesia della battaglia. Una rottura netta con il passato, eppure in questo contesto nuovo e inatteso, specie per mezzo di una recitazione digitale da manuale, tutto acquista un significato più intenso. Il fan non può che restarne affascinato, all’inizio quasi spiazzato. Poi il gioco incede, e tutto acquista una sua logica. L’obiettivo di Barlog è chiaro: staccarsi dal retaggio dei titoli precedenti, e riconfigurare il personaggio secondo la sua visione, distanziandosi, in buona parte, dallo stereotipo imposto da Jaffe con il primo God of War, con l’obiettivo – per altro encomiabile – di dare una tridimensionalità a Kratos. Un lavoro che era in parte avviato proprio in God of War 3, ma che per motivi quasi certamente legati alla trama della trilogia, risultava in qualche misura limitato.
Ora però l’Olimpo è caduto, e con esso probabilmente la Grecia. Il passato è passato, e deve restare tale, ciononostante esso ha lasciato sullo spartano cicatrici che vanno oltre i segni nella carne, sono probabilmente scolpite nell’anima. Un’anima che si era frammentata, sotto i colpi del maglio della guerra, e che lo spartano ha a fatica ricostruito con la sua nuova vita. God of War, dunque, si presenta sin da subito come un racconto di formazione, tanto dell'(anti) eroe quanto di suo figlio, passando ovviamente per il rapporto tra i due. Difficile capire, anche perché lo stesso Barlog è stato criptico, quanto ci sarà svelato della vita di Kratos negli anni tra il terzo capitolo e questo, ma siamo sicuri che in qualche modo i fan non resteranno delusi, anche solo per l’eccezionale qualità del gioco in sé che, nonostante sia ancora lontano un mese dalla sua uscita, ci si è mostrato nella sua forma completa, lasciandoci poche incertezze tanto sul comparto tecnico quanto sul gameplay.
Parlando proprio di quest’ultimo, il primo approccio con il nuovo GoW è davvero spiazzante. Il gioco ha fatto tabula rasa delle sue vecchie meccaniche, e si offre oggi come un action il cui combattimento, come da costume odierno, è più vicino che mai alle meccaniche di un Souls a caso, ovviamente declinate secondo la specifica matrice del brand. L’inquadratura è passata ad una camera fissa alle spalle di Kratos, con una prospettiva simil The Last of Us, con la differenza che il personaggio è leggermente decentrato verso la sinistra dello schermo (in stile Resident Evil 4 per capirci) così da favorire rapidamente le meccaniche di lancio dell’ascia Leviathan, a dir poco fondamentale nell’economia di gioco. La telecamera dunque cambia, e passa dalla precedente camera fissa a favor d’azione, ad una completamente controllabile da parte del giocatore. Persino la mappatura tasti è stata del tutto stravolta, con gli attacchi demandati ai grilletti destri, R1 per quello debole, R2 per quello potente, con ovviamente un mare di combo da poter piano sbloccare e inanellare. Straniante al primo impatto, poi ci si abitua rapidamente.
Diciamo che pur riferendosi in qualche modo a quella profondità dei Souls per quanto riguarda lo schema d’attacco, che richiede attenzione e abilità anche nello scontro 1 contro 1, la cosa più apprezzabile a differenza di tanti emuli, è che God of War mantiene ben salda la sua identità, preservando i combattimenti rapidi e fisici che da sempre ne caratterizzano la serie. C’è quella profondità tattica che consiste in un miscuglio di schivate, parate e parry, misti ad attacchi mandati a segno al momento giusto, ma questo non è ovviamente Darks Souls, e Kratos, come ex dio della guerra, mantiene inalterata quella barbara e brutale efficacia che da sempre contraddistingue i suoi scontri. È un punto mediano ottimale tra tattica e tamarrissima violenza, di molto distante dalla quasi banalità degli scontri dei vecchi Gow, con in più la profondità data dall’intelligenza nemica che accerchiandoci, distraendoci per attaccare Atreus, o magari semplicemente con la collaborazione tra le diverse creature, cerca sempre e comunque di metterci alle spalle al muro.
In passato una sferzata circolare di Lame del Caos avrebbe tenuto a bada qualunque nemico attorno a noi, qui invece, dotati della sola coppia ascia e scudo, la situazione cambia drasticamente. Occorre fare attenzione, spesso, a molteplici nemici contemporaneamente, ma per fortuna non ci mancheranno mai i mezzi e le competenze per poter affrontare la sfida. Due novità, in particolare, segnano una certa profondità nel gameplay di gioco: la possibilità di lanciare l’ascia e continuare a combattere a mani nude (il che, per altro, dà notevole soddisfazione), e la possibilità di chiedere a nostro figlio di bersagliare di frecce un determinato nemico al fine di distrarlo quel tanto che basta da occuparsi del resto della marmaglia. Entrambe le varianti nel combattimento si incastrano non solo precisamente nel corso degli scontri (leggasi: con naturalezza e senza rallentare l’incedere violento delle combo), ma permettono anche di poter far fronte alle diverse e numerose orde di nemici. L’ascia, in particolare, dà soddisfazioni che mai ci saremmo aspettati. Mirare e lanciarla, per poi farla tornare indietro (quando si vuole, premendo triangolo, e ovunque essa sia) è tanto divertente quanto fondamentale, specie se considerate che quando va a segno, essa rimane infilzata sul nemico bloccandolo per qualche secondo. Lanci l’ascia, blocchi uno sgherro, ne pesti un altro a pugni, richiami l’ascia al volo, ti giri, meni ancora, e nel mentre chiedi ad Atreus e le sue frecce di distrarre magari chi ti è alle spalle, onde evitare di restare scoperto. Tutto funziona in modo eccezionale, senza mancanze da parte della regia, senza impegno da parte della telecamera, schivando e falciando nemici con immane naturalezza, sempre e comunque con quello stile fisico e violento che contraddistingue Kratos e il suo modo di fare la guerra. Unica e fondamentale variazione da questo punto di vista è l’assenza di quasivoglia quick time event.
Quando abbiamo visto i primi trailer, durante lo scontro con i troll di fuoco (i nemici giganti che attaccano portando un grosso blocco di pietra) ci aspettavamo che in quei frangenti comparissero gli ormai classici tasti a schermo, per uccidere il nemico con un tripudio di stile e violenza. Questo Gow, invece, si limita a far comparire sui nemici storditi un solo tasto, R3, alla cui pressione Kratos si mostra in una animazione automatica che mette fine, senza remore, alla vita delle sfortunate creature che finiranno sui suoi passi. Una differenza sostanziale col passato e di cui, a dirla tutta, abbiamo sentito fortemente la mancanza, specie nel corso della prima e spettacolare boss battle di cui, però, non possiamo dirvi molto altro.
Diciamo che la sensazione è quella di non aver voluto troppo spezzare la frenesia degli scontri, lasciando ad un automatismo quello che era uno dei leitmotiv del gioco. Vero è che oggi come oggi i quick time event, che proprio God of War ha portato alla ribalta nell’ormai lontano 2005, sono quasi anacronistici, ma è stata forte e condivisa la sensazione che in certi momenti non avrebbero stravolto il già buon bilanciamento dell’azione, ed anzi l’avrebbero forse impreziosita rendendoci più partecipi in alcuni frangenti degli scontri, specie quando si fronteggiano creature particolarmente ostiche e coriacee che è poi un piacere tirare giù. E credeteci non saranno poche.
Il bestiario si prospetta infatti più raffinato che mai, offrendo al giocatore buone varianti alla sfida con i tipici e sfigatissimi nemici da carne da macello, contornati quasi immediatamente da altri con diverse abilità. Durante la nostra prova abbiamo potuto incontrare, ad esempio, degli strani umanoidi dalla pelle cianotica, del tutto immuni agli attacchi dell’ascia, e dunque deboli alla mera forza bruta, nonché una subdola strega, rapida e volteggiante, la cui aura magica la rende del tutto invulnerabile, salvo non si chieda ad Atreus di stordirla con una precisa scoccata di freccia. Il bello è che ogni nemico, anche il più debole, ha comunque da dire la sua, non solo perché spesso gli avversari ci verranno incontro in gran numero, ma anche per mezzo di moveset dei nemici abbastanza definiti e raffinati, proprio come un Souls. Non solo, ogni mostro è distintamente caratterizzato da una ruolistica distinzione in livelli, che come in un GDR contraddistingue ormai tutto l’apparato del gioco. Importante è infatti sottolineare come God of War si sia staccato dagli stilemi action del suo passato, facendo confluire parte di questi nel combattimento, ma approcciandosi più giustamente al moderno genere della avventure esplorative ibride, che prevedono mappe largamente ispezionabili, livelli di esperienza, equipaggiamenti e ovviamente tanti, ma tanti potenziamenti.
Partendo dal principio: GoW ci offrirà una vasta mappa di gioco, le cui aree non avranno però il respiro di un open world. Siamo più dalle parti di The Last of Us, con un percorso lineare le cui aree di gioco si prestano all’esplorazione, al reperimento di risorse (perché sì, c’è persino un minimo di farming), nonché alla caccia di collezionabili vari che, in questo titolo, abbondano più che mai. Curioso che proprio negli ultimi giorni, lo stesso Barlog abbia dichiarato che il titolo permetterà ai giocatori di visitare luoghi già esplorati nelle prime ore di gioco, offrendo quindi alla serie la graditissima novità del backtracking, ovvero la possibilità di poter tornare sui propri passi magari per ispezionare ulteriormente anfratti e recessi dei vari livelli, alla ricerca di segreti e sfide addizionali. Un feeling che è in realtà fortissimo già nella prima ora, quando ci siamo resi conto che il gioco non offriva in effetti alcun limite di movimento, tant’è che in autonomia siamo tornati alla prima sezione alla ricerca di un collezionabile che ci siamo accorti mancava alla nostra lista. Ogni livello offre infatti diversi oggetti da reperire, al cui completamento saremo ricompensati con dell’argento, nonché alcuni luoghi segreti da visitare che potrebbero portarci ad ottenere un pezzo di equipaggiamento o magari a scoprire un segreto relativo alla mitologia del mondo di gioco.
Non solo, il gioco, nello spirito di una vera e propria avventura ruolistica offrirà anche quest secondarie, tanto demandateci dai giocatori, quanto dal gioco stesso. Queste ultime, in particolare, riguardano i nemici, il numero di volte in cui li si uccide e soprattutto il modo con cui lo si fa. Azioni di contorno che non stemperano l’atmosfera generale dell’avventura, ma che anzi offrono dei gradevoli vagheggiamenti ad uso e consumo di un po’ di esperienza aggiuntiva.
Come prevedibile, con il progredire otterremo dei level up, e con essi dei punti abilità da poter spendere in diversi rami di esperienza, sia dello spartano che di suo figlio, così da ottenere nuove mosse per il moveset, o anche solo dei bonus attivi e passivi per il nostro combattimento, con un sistema che punta a fortificare il personaggio in attacco e difesa, ma non ad aumentarne la barra dell’energia che, invece, come in passato è demandata al reperimento di particolari set di oggetti, nel nostro caso degli artefatti a forma di mela. Ogni 3 mele l’energia aumenta di poco, e così come da tradizione occorrerà una buona esplorazione per portare Kratos a potenziarsi a dovere. Sempre restando in tema, è intrigante la possibilità di potenziare anche Atreus, donando al ragazzo un senso che esula dalla mera “compagnia digitale” o dagli ovvi motivi di trama. Il giovane, infatti, non è solo utilissimo durante i combattimenti come descritto in precedenza, ma gode anche di una buona IA, tale da non risultare mai fuori posto come invece, giusto per riprendere il precedente esempio, accadeva con la Ellie di The Last of US. Atreus è insomma una parte fondamentale dell’esperienza tanto ludica quanto narrativa, e tenere il suo moveset aggiornato, e il suo equipaggiamento all’altezza dei nemici, potrà eventualmente fare la differenza durante l’azione e non solo.
A contorno di ciò c’è poi proprio l’equipaggiamento, che può essere acquistato, reperito o forgiato presso i nani che avevamo già conosciuto nel primissimo trailer di gioco. Durante il nostro breve pellegrinaggio ci siamo imbattuti in Brok, il nano barbuto e dalla pelle blu, che si è subito messo al servizio di Kratos e delle sue tasche. Grazie a dell’argento (la moneta di gioco) reperito in giro, siamo infatti entrati in possesso di nuovo equipaggiamento per noi e per Atreus, aumentando così la difesa di entrambi i personaggi. L’equipaggiamento aggiunge non poco pepe all’economia di gioco, con pezzi e set di armature dalle diverse caratteristiche quali forza, difesa, e diversi altri effetti secondari, ovviamente limitati nella nostra breve prova. Una novità interessante che, per altro, impatta anche sull’estetica dei personaggi, che non sono quindi vincolati ad un unico capo di vestiario, o ad eventuali costumi alternativi, poiché quello che acquisti e indossi effettivamente muta l’aspetto dei due personaggi.
Per quanto concerne invece le armi, non è chiaro se se ne potranno reperire altre come in passato, o se l’intera azione sarà demandata alla coppia ascia e scudo. In realtà c’è il dubbio che possano in effetti restare le uniche armi disponibili, anche a causa della presenza di appositi alberi di potenziamento che, allo stato attuale, non sembravano prevedere spazio ad altro equipaggiamento. Benché l’utilizzo di una sola arma potrebbe comportare un rischio per quanto riguarda la “staticità” degli scontri sul lungo termine, abbiamo notato con interesse che le armi si prestano ad un buon livello di modifica, tanto per mezzo delle rune quanto delle gemme che, nell’ascia, possono essere incastonate.
In pratica la progressione del livello di Kratos permette di sbloccare nuove mosse in combattimento, secondo lo schema pre-impostato dell’albero di abilità, che comunque dona anche alcuni bivi ad uso e consumo dello stile di gioco. Tuttavia la Leviathan offre sul suo manico diversi alloggi, in cui è possibile incastonare sino a tre varianti. Sia le rune che le gemme, dunque, permettono di aggiungere al moveset delle mosse uniche, che vanno a incastrarsi con il moveset per ampliarlo oltre i confini delle abilità offerteci. Nella nostra prova, ad esempio, abbiamo reperito una gemma che permetteva a Kratos di effettuare un attacco ad aria che, innalzando l’ascia, sferzava via i nemici con un soffio gelido. Siamo solo all’inizio ovviamente, e ci è stato garantito che ci saranno un gran numero di varianti, tutte a servizio delle capacità elementali e non della nostra arma, così da permette al giocatore di poter costruire un proprio stile di gioco o, perché no, di poter utilizzare una determinata variante di attacco ad uso e consumo di specifici nemici.
Infine, ma non c’erano molti dubbi in merito, God of War si presenta con un comparto tecnico da capogiro. I modelli, il mondo di gioco, l’illuminazione, gli effetti volumetrici, le scelte cromatiche. Tutto, ma proprio tutto grida fortissimo al tripudio tecnico con, peraltro, una direzione artista eccezionale, che ricrea un’atmosfera a metà strada tra la realtà storica “a la Vikings” e il fiabesco mito “a la Beowulf”. Granitico nei suoi 30 fps, il titolo – che abbiamo provato su PS4 Pro – si è subito imposto come una delle più alte vette raggiunte da PlayStation, certamente primo per mole di poligoni nell’attuale libreria Sony, forse giusto un passetto indietro ad Uncharted 4: L’Eredità Perduta per ciò che concerne l’orizzonte visivo. In sintesi: God of War offre un colpo d’occhio incredibile, una modellazione poligonale da capogiro, ed una recitazione che mai ci saremmo aspettati di ritrovare in questa serie che, nonostante i suoi innegabili pregi grafici, è da sempre contraddistinta da più ignoranza che grazia. Dove forse l’ultimo Uncharted fa meglio è sui campi lunghi, sull’occhio che va oltre la linea dell’orizzonte, anche se per quanto riguarda gli ambienti in generale, pure qui ci sono pochi eguali con il resto della produzione Sony. God of War è semplicemente grosso, imponente, importante dal punto di vista tecnico, e riesce anche in spazi minuti, come boschi o simili, ad offrire un’esperienza al passo con il fotorealismo, cancellando ogni preoccupazione inerente a presunti downgrade. Differenze non se ne percepiscono, ed anzi vedere con i propri occhi, pad alla mano, i momenti di recitazione o di azione è pura estasi. Puro godimento.
God of War, in buona sostanza, si è confermato quel titolo da acquistare a tutti i costi. La qual cosa è chiaramente espressa nelle fondamenta del progetto che, nella sua natura di sequel, punta innanzitutto ad essere un rilancio alla portata di tutti, anche di quei giocatori che hanno una scarsa, se non nulla, conoscenza del brand. Il punto è che non nutriamo in fin dei conti molti dubbi, e quelli per lo più relativi alla trama, o alla capacità di sorprenderci sul lungo termine, per ora non possono essere fugati, vincolati come sono ad un giudizio che non può prescindere dal test del gioco nella sua totalità.
Quel che è certo è che God of War è morto ed è risorto, e nella sua resurrezione ha cambiato aspetto, ma non ha perso né carattere né carisma. Si è solo rivoluzionato, il che in definitiva è un bene, considerato quanto pesantemente era rimasto vincolato a sé stesso. Ora, tra epica e pathos, tra follia e ragione, tra violenza ed un ritrovato stato di grazia, Kratos è pronto a re-imporsi alla nostra attenzione. Lontano dai tormenti del dio, e finalmente a portata delle emozioni dell’uomo. Come il mito greco, da epica a tragedia, a catarsi, passando per la follia e riemergendo dal sonno della ragione. Estasi.