Modernità classica a tinte rosa

C’era una volta il vecchio West e le sue meraviglie. Lontani sono i giorni degli uomini di frontiera, delle terre selvagge, delle lande pericolose dove la destrezza di un uomo con la pistola alla mano poteva fare la differenza. Cronache che diventano leggende, storie che diventano miti in un’epoca capace di nutrire l’immaginario collettivo come poche altre e a cui il cinema deve tantissimo. Fin dai tempi di The Great Train Robbery di Edwin Porter, passando per i film di John Ford, Howard Hawks e gli spaghetti-western di Sergio Leone, fino ad arrivare alle tantissime declinazioni di un genere che ha goduto di straordinaria fortuna anche dopo la sua cosiddetta fine, avvenuta negli anni ’70. Cosiddetta perché, in realtà, di western ne hanno fatti a bizzeffe anche dopo, ma ormai la loro importanza era andata scemando, tanto che gli epigoni che hanno tentano di misurarsi con la forma d’arte prediletta dei grandi maestri non hanno fatto altro che riprodurre omaggi rigidi, raffazzonati e, spesso, ripetitivi.
Tuttavia, il west ha ancora tanto da dire e tanto da raccontare, come dimostrano il remake dei Magnifici Sette, il recente Brimstone e Il Grinta.

La morte del Western è stata annunciata quindi troppo presto, altrimenti Netflix non avrebbe deciso di presentarci Godless, ultima serie a sbarcare sulla sua piattaforma.

https://www.youtube.com/watch?v=mMUiRYoc76A

1884. Una rapina ad un treno, condotta da una banda di trenta uomini armati, si conclude malamente in una carneficina che costa la vita a tutte le cento anime di Creede, Colorado. Autore della strage è il gruppo che fa capo a Frank Griffin (Jeff Daniels), un noto fuorilegge che da decenni scorrazza impunemente tra i vari stati, portando morte e distruzione. In realtà, dietro ad una simile scia di cadaveri sembrerebbe esserci una faccenda personale. Roy Goode (Jack O’ Connell), ex protetto di Griffin, lo ha tradito e derubato, spingendo il suo padre putativo a dargli la caccia da un campo all’altro dell’America. Durante la sua fuga, Goode approda nella semisconosciuta cittadina di La Belle, New Mexico, per qualche motivo abitata da solo donne. Qui, ferito e moribondo, verrà accolto da Alice Fletcher (Michelle Dockery), una giovane madre rimasta vedova che lo aiuterà senza sapere nulla della sua identità.

Lungi da noi voler stilare delle semplicistiche liste della spesa, ci rendiamo conto che uno dei modi miglior per giudicare questa miniserie sia comunque elencare tutti i nomi grossi che vi hanno partecipato. Oltre ai già citati Jeff Daniels, Jack O’ Connell e Michelle Dockery, in questo cast ricco e nutrito troviamo anche Scott McNairy, Merritt Wever, Thomas Brodie-Sangster e Sam Waterston (davvero non lo conoscete?). Tutti guidati e manovrati da Scott Frank, famoso sceneggiatore statunitense che, oltre a tante altre cose, ha scritto Logan – The Wolwerine, diretto da James Mangold.  Frank che qui, oltre ad aver firmato i testi, si occupa della regia dello show da lui stesso creato con Steven Soderbergh, sorta di uomo-ovunque che in veste di produttore ha messo le mani in decine e decine di film in quasi trent’anni di carriera, oltre ad essersi guadagnato un Oscar per Traffic.

Questa lunga e corposa sfilza di cognomi celebri e celeberrimi dovrebbe convincervi a saltare il resto dell’articolo e ad andare a vedere Godless di corsa. Anche perché, sinceramente, non vediamo motivo per cui non dovreste farlo (sì ma scherziamo, prima finite di leggere!). Magari siete ancora dubbiosi e volete tentare un primo approccio guardando il pilot? Buona idea, dato che la sequenza iniziale è una dimostrazione di pura potenza cinematografica in grado di lasciare attoniti ed esterrefatti, di travolgervi con un letale mix di elementi visivi e sonori a cui vi consigliamo caldamente di assistere comodi comodi su un divano, possibilmente davanti ad uno schermo da 50 pollici o giù di lì. Perché Godless, sebbene sia nel format una miniserie, è in realtà un film di 8 ore spalmate nella bellezza di 7 puntate dalla durata media di 70 minuti, tutte sceneggiate e dirette da Scott Frank stesso. Sette puntate di pregevole fattura che trattano una storia a prima vista simile a quella dei grandi capolavori western e della narrativa in generale. Un racconto di vendetta, di un criminale redento che ottiene rifugio in un ranch lontano dal mondo situato in una comunità che deve risollevarsi dopo una tragedia immane, piena di figure stanche e travolte da mille ostacoli che trovano un’inattesa possibilità di riscatto.

In realtà, la trama di base, assai canonica sulla carta, innesca sviluppi di grande originalità allargandosi piano piano e tirando dentro storyline, sottotrame e sottosottotrame, trasformandosi in un’opera corale che dà il giusto spazio a ciascun personaggio senza mai vacillare o perdere di vista il quadro complessivo. Una sfilza enorme di attori sensazionali dove domina una fortissima componente femminile. Proprio mentre gli scandali legati al caso Weinstein & Co. si propagano a macchina d’olio, toccando realtà oltre il cinema, Godless vede al centro le donne. Che siano madri, anziane, giovani a cui la vita ha negato troppo, esuli, mogli in fuga, prostitute e maestre finiscono tutte nell’occhio della narrazione. La tragedia che ha colpito La Belle, infatti, privando la cittadina della maggior parte degli uomini ha avuto lo stesso effetto della Seconda Guerra Mondiale sul suolo americano, con le donne chiamate a sostituire nella vita comune i soldati al fronte. Questo le ha portate ad emanciparsi, a ricoprire mansioni che altrimenti non avrebbero occupato, ad imbracciare i fucili per difendersi.


Non a caso, nonostante lo scontro che vede all’opera Roy Goode e Frank Griffin sia il motore della storia, interpretati da un ottimo Jack O’ Connell e un magnetico Jeff Deniels (lui e la sua barba lunga meriterebbero una serie a parte) sono loro a lottare per difendere la propria casa.
Un cast femminile che sdogana, forse per la prima volta, le signore dal ruolo fisso di damigella in pericolo nei western. Un cast che, oltre alle ottime interpretazioni di Michelle Dockery e Merritt Wever, giganteggia sopratutto nelle prestazioni delle comprimarie, dei ruoli apparentemente di sfondo che tratteggiano il ritratto di donne forti, a prescindere dalla dimensione personale, capaci di superare le disgrazie e di impallinare i malintenzionati quando serve.

Ma sarebbe comunque ingiusto ricondurre Godless ad un semplice western in rosa, cosa che di per sé potrebbe comunque esser già notevole. In realtà la miniserie, lasciando da parte questa inedita visione del gentil sesso (assolutamente innovativa per il genere), aggiunge altre novità per quanto riguarda il canovaccio. Infatti, sebbene l’intreccio sia abbastanza consueto (la solita storia di vendetta), la maggior percentuale di originalità si trova nella sua poetica di fondo, una poetica che sceglie la strada del crudo realismo, tipico della serialità moderna, lasciandosi però suggestionare da evidenti sfumature epiche che rimandano tantissimo al western tradizionale. Queste spesso si sublimano in scene dense, sequenze prive di dialoghi dove è la natura a parlare, o altre che citano direttamente alcuni elementi tratti da film cult come Sentieri Selvaggi, Ombre Rosse e gli Spietati. Tutti questi fattori lo portano ad essere un prodotto dai tempi dilatati, volutamente lunghi, privo del ritmo forsennato tipico dei suoi concorrenti, specialmente le miniserie che spesso si fanno prendere dalla fretta di concludere. Invece, nonostante gli innumerevoli elementi presenti, dalle performance attoriale al background approfondito di ogni personaggio e alla narrazione compassata, Godless non annoia mai. Si può dire che, paradossalmente, nonostante le 8 ore di durata, racconta tutto quello che c’è da dire e niente di più, e lo fa attraverso una cifra stilistica composta da una regia splendida, da sala cinematografica, una fotografia fatta di colori caldi e polverosi, una visione che unisce modernità e classicismo, rivitalizzando così un genere che troppi hanno dato per morto prima di seppellirne il corpo.

godless recensione

Verdetto:

Godless è una serie ambiziosa che ridefinisce i confini del Western, mostrando tutte le possibilità che questa forma d’arte possiede nonostante i decenni passati dalla sua epoca d’oro. Scott Frank, autore e regista, realizza un macro film di 8 ore diviso in 7 puntate, capace di unire rivoluzione e classicismo aggiungendo elementi nuovi e inediti ad un canovaccio consueto. Il risultato è un qualcosa che si innesta nel solco della tradizione e regala una bella ventata di aria fresca, che riporta il vecchio West al centro della cinepresa.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!