Gomorra nasce come un’ottima serie, in grado di raccontare la criminalità, ma conclude il suo percorso sfociando nel ridicolo
L’articolo contiene spoiler sulla quinta stagione di Gomorra
Gomorra chiude i battenti dopo 5 stagioni, 58 puntate, quasi tremila minuti di visione complessiva, per una serie che si annovera senza dubbio tra le migliori prodotte storicamente dall’Italia e tra quelle che vantano il maggior successo di pubblico anche fuori dai nostri confini.
I motivi di un plebiscito simile vanno ricercati senza dubbio nell’ottima riuscita delle prime stagioni, in grado di catturare il pubblico con una narrazione coinvolgente, dove la lotta per il controllo del potere tra le opposte fazioni si combinava a uno script curato con dovizia di particolari e un roster di personaggi davvero intrigante, che col passare delle stagioni ci hanno saputo mostrare la loro crescita umana (o disumana) e psicologica, dando sempre nuova linfa al racconto.
Ispirata all’omonimo romanzo di Roberto Saviano, la serie TV prodotta da Sky, Cattleya e Fandango ha cambiato spesso gli uomini dietro la macchina da presa, da Stefano Sollima a Francesca Comencini passando per Claudio Cupellini e altri fino ad arrivare alla “gestione” Marco D’amore, con risultati però sempre piuttosto convincenti da questo punto di vista.
Se dobbiamo tirare le somme dopo la conclusione dello show, è quanto mai evidente una profonda linea di demarcazione più o meno a metà del percorso, che ha sancito il mantenimento in vita in modo artificiale di un prodotto avviato verso la sua naturale fine, e qui sui risultati non possiamo spendere parole altrettanto positive. Il pubblico ha continuato ad avere fame di Gomorra, come sempre accade per le serie TV di successo che riescono a fidelizzare gli spettatori, ma quasi mai questo porta a una salvaguardia della qualità.
Col passare del tempo i criminali di Gomorra si sono trasformati nelle caricature di loro stessi, e i nuovi innesti non hanno mai saputo nemmeno avvicinarsi ai livelli di Don Pietro, di Salvatore Conte, di Scianel, persino del primissimo Sangue Blu, e con loro lo show ha assunto sembianze macchiettistiche, con boss alla stregua dei più noti supereroi, con l’Immortale che più un soprannome è diventato una barzelletta, e il racconto di una Napoli anarchica totalmente sotto scacco di bande armate da far invidia alla Kabul assediata dai Talebani.
La “missione”
“Nun simme surdat, nun ce può dicere comm adda ì”, cantava Livio Cori in una delle tracce più belle della terza stagione, ma più che soldati i criminali di Gomorra sembrano kamikaze che combattono per fede.
“Non hanno paura di niente, la loro è una missione”, ripete O’ Maestrale nella stagione 5, al termine di alcune sequenze in cui si fa letteralmente fatica a trattenere le risate per l’assurdità di quanto visto.
E dire che – qui, vi avvisiamo, entriamo in zona spoiler – già la carcerazione di Ciro nei Gulag e la successiva rocambolesca fuga ci aveva garantito una discreta dose di farsesco, mai però quanto il finale, con cui la serie riesce a tingersi proprio di grottesco.
Invito i lettori a farsi un giro sulle pagine social di Salvatore Esposito (Genny Savastano) e Marco D’Amore (Ciro Di Marzio), per dare uno sguardo ad alcuni fantastici commenti degli utenti, chiaramente delusi dall’epilogo. Tra questi me n’è rimasto impresso in modo particolare uno che, con acume e ironia, paragonava il finale di Gomorra a quello di Titanic, scherzando sul fatto che probabilmente su quella barca ci sarebbe stato spazio per tutti.
Ma le stramberie non si esauriscono certo qui, perché l’intera quinta stagione e per lunghi tratti anche la quarta virano verso la rappresentazione di un mondo criminale fantascientifico, per giunta degno di un B-movie, in cui la realtà che raccontano sembra appartenere a un universo a noi distante e sconosciuto.
È un vero peccato che un prodotto di qualità, come era Gomorra agli inizi, abbia scelto di consumarsi fino all’osso pur di non farla finita prematuramente, scegliendo di farci assistere a sparatorie da Seconda guerra mondiale e a ridicoli comizi, portandoci allo sfinimento e a sospirare “è finita”, in un modo talmente distensivo che mai avremmo potuto immaginare.