Thor e il suo miglior nemico: il percorso che ci ha portato a Gorr
La Fase Quattro del Marvel Cinematic Universe è ufficialmente iniziata, portando al suo interno novità, ma anche volti familiari, come il Thor di Chris Hemsworth. Abbiamo imparato tutti a conoscere questa versione cinematografica del personaggio creata da Stan Lee con suo fratello Larry e Jack Kirby nel 1962. Meno nota è la sua futura nemesi, che verrà portata sul grande schermo da Christian Bale: Gorr, il macellatore di dèi.
Sin dalla sua prima comparsa, avvenuta nel corso del rilancio Marvel Now, il personaggio si è imposto come una delle sfide più ardue per il Vendicatore asgardiano. Una sfida che, a distanza di anni, Thor ha finito per perdere, nel momento stesso in cui realizzerà come la ragione fosse dalla parte del nemico. Un dubbio, per i lettori e per lo stesso dio, sufficiente a renderlo indegno di portare il possente Mjolnir.
Ma Gorr è solo il punto di arrivo di una serie di avversari affrontati dal dio del tuono. Un apice nelle nemesi che, in verità, non è più stato eguagliato. Nel corso di quasi sessant’anni di storia editoriale Thor ha avuto scazzottate con giganti, divinità, criminali, alieni, robot, eroi e mostri di ogni genere. Ma solo Gorr è riuscito a insinuare il dubbio nella sua mente, a fargli pensare che la sua lotta fosse sbagliata. Che Thor fosse indegno.
Per capire cosa abbia reso così affascinante Gorr e la sua battaglia contro Thor, quanto sia stato significativo realizzare che “Gorr avesse ragione“, facciamo un passo indietro. Torniamo al 1962 e proviamo a capire che genere di sfide avessero posto di fronte al dio del tuono gli autori della Marvel. Un viaggio che potrebbe portarci qualche sorpresa, alcune interessanti, altre con un tasso di WTF!? degno delle peggiori (o migliori…) trovate concepite nella casa delle idee.
Prima di Gorr: Thor in cerca di una nemesi
Quando il Sorridente ebbe l’idea di utilizzare Thor per un nuovo personaggio di Journey into Mistery forse non era del tutto consapevole di cosa avesse tra le mani. In effetti tra le sue mani ci rimase pochissimo, perché passò subito la palla, un po’ troppo spigolosa, al fratello Larry e al collaboratore di sempre, Jack Kirby. Il Re in realtà aveva già concepito un primo abbozzo di Thor nel decennio precedente e fu facile mettere insieme le cose per creare il personaggio.
Nacque così il Thor che conosciamo: alto, biondo, con gli occhi azzurri e il fisico scultoreo, armato del suo potente Mjolnir e pronto a distruggere… degli alieni. In effetti le primissime storie di Thor presentano alcuni problemi non di poco conto. L’assenza di veri nemici da affrontare, di nemesi che potessero far brillare il personaggio. Nei primi numeri il dio del tuono si trovò ad affrontare scaramucce di poco conto con degli alieni (i quali sembravano più turisti che invasori) e dittatori filo-sovietici nel Sud America. No, non stiamo scherzando.
Sembrava quasi che la Marvel non avesse compreso fino in fondo il potenziale nascosto nel personaggio. Ci vorranno un paio di numeri per riuscire ad avere il primo grande nemico di Thor sul fumetto, Loki. La comparsa del dio degli inganni costituì il vero inizio della saga di Thor. Il dio del tuono ebbe la sua prima nemesi e iniziò così una serie di avventure che, in un modo o nell’altro, vedevano sempre Loki come vero antagonista.
In questa prima fase non si può dire che il background mitologico del personaggio fosse sfruttato a dovere. Il dio del tuono affrontò minacce che ricalcavano lo stereotipo del tipico cattivo dei comics americani degli Anni Sessanta. Con l’eccezione di Amora, Skurge e dello stesso Loki, i nemici di Thor erano per lo più personaggi pittoreschi come Mad Merlin, Mister Hyde o l’Uomo Assorbente (sic!).
Le cose cambiarono quando la Marvel introdusse Ercole sulle pagine di Journey into Mystery Vol 1 #124, poco prima che la testata venisse rinominata in onore del dio del tuono. La sfida costituita dal semidio greco fu la prima a mettere in risalto una caratteristica di Thor fino ad allora nascosta in piena vista: la sua divinità. Può davvero il dio del tuono venerato dai vichinghi considerare una minaccia un soggetto come il Cobra? Fu così che Thor iniziò a confrontarsi con altri dèi. Dopo Ercole ci furono altri olimpici come Zeus, Hades, Ares, insieme agli asgardiani Balder, Sif ed Hela. Pur senza mai far mancare alieni e sovietici, gli sceneggiatori della Marvel iniziarono a trattare Thor per quello che era: un dio, prima che un supereroe, con nemici e comprimari degni di questa sua natura.
Una sfida degna di un dio
Dalla fine degli anni Sessanta assistiamo quindi a un aumento dei rimandi mitologici nei fumetti di Thor. Ma la vera difficoltà per quanti hanno scritto le avventure del dio del tuono fu sempre la stessa. Trovare minacce credibili per Thor, sfide all’altezza di una divinità.
Tra quanti sono riusciti a incarnare questo concetto troviamo Walter Simonson, che fece il suo esordio su Thor col numero #337, introducendo il personaggio di Beta Ray Bill. Bill sarà una delle più grandi sfide per Thor. Una sfida, si badi bene, non un villain. Così come una sfida sarà quella di tramutare Thor in rana e, successivamente, quella di fargli accantonare i dissapori con Loki per affrontare Surtr.
Questa linea si manterrà, pur con alti e bassi, fino ai primi anni 2000, con il compimento del Ragnarok e la distruzione di Asgard. Da qui proseguirà anche nel successivo rilancio, quello che vedrà Joseph Michael Straczynski sceneggiare le nuove avventure del dio del tuono. Ciò che distinse questa ultima run fu tuttavia la scelta di concentrarsi sul diverso piano esistenziale della divinità. Le sfide di un dio, quelle che deve affrontare nella vita di tutti i giorni, sono diverse come è diversa la sua natura.
Una divinità vive un rapporto simbiotico con i mortali. Chi viene adorato e chi adora formano un cerchio, l’uno non esiste senza l’altro. Ma cosa succede quando è la natura stessa del divino a essere posta sotto accusa? Se siete sceneggiatori o abitanti del Marvel Universe la risposta è semplice: nasce un macellatore di dèi.
“[…] legati agli altari, sgozzati come animali”
Nel Gennaio del 2013 sulle pagine di Thor era appena sbarcato Jason Aaron, il quale sembrò fare sua l’idea di testare non tanto i limiti dell’eroe, quanto quelli della divinità. Molti nemici si erano opposti a Thor nel corso degli anni, nemici che avevano affrontato il dio del tuono per il suo essere un eroe, un asgardiano, per testare la sua forza o solo per caso. Ma mai per il suo essere un dio.
La storia di Gorr è quella di un individuo abbandonato dalle divinità. Cresciuto su un pianeta ostile fu costretto a vedere le persone amate morire una dopo l’altra. I suoi genitori prima, sua moglie e la sua prole poi. Di fronte all’ennesimo lutto, quello dell’ultimo figlio sopravvissuto, farà ciò che tante persone hanno fatto nel corso della loro vita: punterà il dito contro il cielo, maledicendo gli dèi e gridando a pieni polmoni la loro inesistenza.
Questa forma di ateismo lo condannerà all’emarginazione e all’esilio, ma proprio durante la sua peregrinazione, al momento più alto della sua disperazione, incontrerà non una ma due divinità. Una oscura, Knull (creatore dei simbionti come Venom) armato di una lama nera, e una luminosa, l’avatar di Capitan Universo (campione di Eternità). Scoprire l’esistenza degli dèi fu forse il fato più crudele per Gorr. Colmo di odio attrarrà a sé All-Black, la Necrospada, posseduta dalla divinità maligna, facendo scempio del portatore originale e giurando di vendicarsi di ogni divinità. Come un novello Friedrich Nietzsche, Gorr ribalta gli altari del divino e decide di elevare sé stesso a qualcosa di più. Il processo che ne fa un deicida lo rende più che un semplice mortale.
Nel corso dei secoli l’alieno vagherà di mondo in mondo, distruggendo alcune divinità che si pareranno sul suo cammino e schiavizzandone altre. Il primo scontro tra Gorr e Thor avvenne in Islanda, nel Secolo IX e, successivamente, in Russia nel X, un duello che lo vide sovrastare il dio norreno e torturarlo per diciassette giorni. L’intervento di alcuni vichinghi salverà Thor, ma il suo scontro con l’autoproclamatosi “macellatore di dèi” è solo all’inizio. Gorr riuscirà infatti a uccidere gli Dèi del Tempo e ottenere il potere di viaggiare attraverso le epoche. Riuscirà così a porre la sua base operativa in un mondo desolato, dove ogni divinità è morta, eccetto un vecchio e stanco re Thor.
Sarà qui che Gorr rinchiuderà le divinità schiavizzate (incluso un giovane Thor) per costringere a creare una Bomba divina, un’arma capace di annientare ogni dio in ogni angolo del Multiverso. Il piano, grazie all’unione di tre versioni di Thor, provenienti da diverse epoche storiche, non riuscirà; tuttavia Gorr non sarà ancora sconfitto. Grazie al potere della Necrospada la sua coscienza sopravvivrà e sarà necessaria l’alleanza con Loki per permettere al dio del tuono di porre fine alla minaccia della divinità. Tuttavia l’incontro con Gorr cambierà per sempre Thor.
“Gorr aveva ragione”
Alla fine dell’evento Original Sin, Thor affronterà Nick Fury con l’intento di imprigionarlo per l’assassinio di Uatu, l’Osservatore. L’ormai anziano direttore dello S.H.I.E.L.D. mostrerà di conoscere bene la crociata del Macellatore di dèi, al punto da poterne parlare al dio intento a colpirlo. Con le parole “Gorr aveva ragione” Thor non riuscirà più a impugnare il Mjolnir. Ci vorrà qualche anno per capire cosa fosse scattato nelle mente del Figlio di Odino, mentre una nuova Thor aveva reclamato il martello e il manto dell’eroe. Il dio, sentendo le parole di Fury, aveva compreso una cosa: nessuna divinità era realmente degna di venerazione. Cosa che causerà in lui un rimorso e una presa di coscienza tale da non renderlo più degno, semplicemente non sentendosi più tale.
Perché in fondo il fascino immenso di Gorr si nasconde proprio qui. Nel suo avere ragione. Nel suo combattere una battaglia giusta, contro l’ipocrisia divina. Il Macellatore di Dèi è in fondo un uomo comune che ha perso tutto per colpa dell’indifferenza delle divinità. Indifferenza, non malvagità: un dio che non interviene in aiuto dei mortali non è degno di essere tale. Nelle azioni di Gorr sembra quasi di rileggere le parole di Mark Twain «Si dovrebbe credere che questo stesso Dio senza scrupoli, questo minorato morale, fu nominato insegnante di bontà […]?»
L’attesa infinita di “una mano dal cielo” si trasforma in fiero ateismo che i suoi simili non possono accettare. Ma verso cui il lettore e lo stesso Thor iniziano a provare una forma di fascino. Persino di empatia. Perché la sua crociata nasce da un’idea semplice, antica quanto il mondo: un dio è tale solo se cura con bontà gli umani che lo venerano. L’indifferenza delle divinità verso le sue sofferenze trasforma Gorr, facendone il Macellatore di Dèi. Questo perché l’alieno, al contrario di quanti vivono nel nostro universo, è dotato dei mezzi e della determinazione per poter fare quello che tanti vorrebbero. Andare faccia a faccia col divino, affinché esso renda conto ai mortali della sua indifferenza, del mondo freddo e crudele in cui sono abbandonati.
Alla fine la sola speranza per quanti credono risiede nel processo di maturazione di Thor, quello che il dio deve proprio a Gorr. La lotta per essere degni è quello che ci rende degni. E questo vale anche per gli dèi. Questo porta il Figlio di Odino a tornare in possesso del suo Mjolnir, facendogli realizzare come la venerazione non sia qualcosa di scontato. L’uomo e il dio divengono parte di una simbiosi, ma solo nel momento in cui la divinità si pone in tutto e per tutto al servizio del mortale essa diventa degna.