Spesso il male di vivere ho incontrato, era tra le pagine di una graphic novel

Siamo in un periodo di termini impropri, di classifiche arbitrarie e di un gran malessere esistenziale. Tra una dichiarazione e l’altra, gli attori nostrani si dilettano in arrampicate sugli specchi e slalom tra il povero fumetto e la grandiosa graphic novel, precipitando al centro delle polemiche degli esperti della nona arte.

Il lato positivo è che, con 5 è il numero perfetto, il fumetto torna a essere al centro del dibattito generalista, dandoci ottimi spunti di riflessione.

Ma, in sostanza, che sono le graphic novel?

Spesso il termine graphic novel è associato a una forma di fumetto “alto”, colto, nobile,  in contrapposizione al fumetto seriale, che invece è identificato con una fruizione più popolare.

Tuttavia, quando parliamo di forma, abbiamo a che fare con un valore estrinseco, legato al contorno: quello che c’è dentro è a discrezione di ogni singolo autore e dei fattori editoriali che lo circondano. In altre parole, non è la scelta di un formato unico o di una serie a determinare la qualità di un’opera – come, del resto, il cinema e le serie TV ci insegnano da molti anni. 

Normalmente si attribuisce il titolo di prima graphic novel della storia del fumetto a Contratto con Dio di Will Eisner (1978). In realtà, il termine è stato usato anche in precedenza e, precisamente, nel ’64 da Richard Kyle, nel 1976 da George Metzer (in Beyond Time and Again) e da Richard Corben nel 1975 a proposito del suo Bloodstar nel Regno di Aesir, tratto dal racconto breve “La valle del verme” di Robert Ervin Howard. 

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La caratteristica comune tra tutte le graphic novel, banalmente, è il formato unico e autoconclusivo e un intreccio interno, come quello del romanzo. Quindi, tanto per capirci, graphic novel è un termine che sta piuttosto largo alle raccolte di tavole pubblicate sui social e poi stampate tutte insieme in un volume unico. Perché ci sia il romanzo, bisogna che ci sia anche una storia, tendenzialmente.

Le graphic novel sono meglio dei fumetti?

Con questa domanda provocatoria vi invitiamo a riflettere ancora una volta sulla frase di Toni Servillo che ha suscitato tante polemiche intorno alla concezione di fumetto/graphic novel/”vera letteratura”.

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Per dovere di cronaca e rispetto dei lettori, precisiamo che Servillo si è preoccupato di replicare alle contestazioni in maniera piuttosto lucida, con un’agenzia un po’ più corposa:

“…In questi giorni mi è stata fatta innumerevoli volte la stessa domanda, postami in maniera differente ogni volta, ma il succo era questo: come è stato recitare la parte di un personaggio di un fumetto? Il mio primo pensiero è sempre stato: mi verrebbe domandata la stessa cosa se il personaggio in questione fosse quello di un romanzo? Personalmente, ne dubito. Dunque tutte le volte ho provato a rispondere con cortesia, descrivendo il mio rapporto col ruolo, in qualità di attore, cercando di tralasciare il fatto che il film è basato su un fumetto, perché a mio avviso irrilevante. Di certo non mi relaziono al personaggio di un adattamento cinematografico in base al tipo di espressione artistica da cui proviene.

All’ennesima domanda del genere, ho deciso di provare a rivendicare la dignità, il valore letterario e il potenziale drammaturgico della nona arte, ma ho sbagliato. Ho senz’altro sbagliato. Nella concitazione del momento le parole che ho proferito sono state da me scelte ed usate erroneamente, impedendomi di esprimere efficacemente ciò che in realtà avrei voluto intendere. Ammetto senza nessuna remora che le mie dichiarazioni sono forse state il frutto di confusione e sbadataggine, e che quindi potevano facilmente essere oggetto di fraintendimento.

Ci tenevo dunque a chiarire che riconosco pari dignità artistica e letteraria a tutti i tipi di espressione fumettistica, e pari dignità a tutte le forme di espressione artistica. Ho sempre riconosciuto il profondo valore della nona arte (tutta la nona arte, che purtroppo ancora oggi viene spesso trattata come un’arte di seconda categoria) e continuerò sempre a riconoscerlo e a promuoverlo”.

Certamente una serie di affermazioni condivisibili, che puntano i riflettori su una questione che un sito come Stay Nerd non può ignorare: esiste ancora una gerarchia tra le forme di arte? Può un romanzo essere considerato – ancora – un prodotto più nobile di un fumetto o, ad esempio, di un videogioco? Qual è il criterio per stilare questa classifica? Una specie di primato storico tra chi è venuto prima o una perizia tecnica nella realizzazione del lavoro? 

Se il primo criterio si smonta da sé, il secondo – che si basa su parametri più concreti – ci dice chiaramente che ogni tipo di prodotto artistico, per funzionare, dev’essere realizzato come si deve – il che richiede anche una certa capacità tecnica, che si tratti di un romanzo, di un fumetto o di un film. Elementare, Watson.

Manzoni l’aveva detto

Il discorso si fa complesso e – proprio per questo – interessante. Dovremmo andare a scomodare il dibattito sull’arte iniziato con l’età contemporanea, quando il sistema attorno all’opera ha iniziato ad avere più peso dell’opera stessa. 

Per fare un esempio molto concreto, Piero Manzoni – un artista geniale nella sua carica provocatoria – nel 1961 propose al pubblico un ready made decisamente originale, Merda d’artista. La produzione si fece molto corposa, arrivando a novanta barattoli tutti pesati, firmati, e tradotti in varie lingue. 

 

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La deriva dadaista di Manzoni (i dadaisti, come Marchel Duchamp avevano già messo in pratica tante riflessioni sul primato del concetto sulla tecnica, portando nei musei i ready made) si è sovrapposta con quest’opera a una denuncia più graffiante che mai.
In sostanza – questo Manzoni voleva comunicare – bastava la collocazione nei musei per definire un oggetto – seppur di merda – con il lusinghiero titolo di Opera d’arte. 

Analogamente, basta trovare un fumetto in libreria nella sezione graphic novel per avvicinarlo alla letteratura vera (di cui, tecnicamente, fa parte anche tutta la bibliografia di Moccia, per dire).

Ora, pensiamoci: abbiamo davvero voglia di affermare che la definizione di graphic novel renda automaticamente migliore un’opera a fumetti?

Le graphic novel in Italia

Ma veniamo a noi. Al di là delle parole di Servillo e delle riflessioni che possono suscitare, sicuramente 5 è il numero perfetto è una delle graphic novel italiane più apprezzate degli ultimi anni. Il lavoro di Igort, decisamente maturo e padrone del mezzo, ha anticipato una generazione di romanzieri grafici più giovani che – da Zerocalcare in poi – si è espressa col mezzo del volume unico.

Tuveri, in effetti, non è solo l’autore di numerosi romanzi grafici di successo (e, al di là del successo, di gran qualità estetica e narrativa), ma è – in qualche modo – il padre della graphic novel italiana degli ultimi vent’anni. Fondando Coconino press (nel 2000, con con Carlo Barbieri), Igort porta nel nostro paese una nuova cultura del romanzo grafico e dà spazio ad alcuni degli autori più importanti del panorama nazionale ed europeo. Su tutti, ricordiamo Gipi, che ha anticipato il linguaggio intimista della nuova generazione capitanata da Zerocalcare. 

A dirla tutta, la tendenza delle graphic novel italiane degli ultimi anni si muove in maniera parallela e convergente con lo sviluppo di piccole e grandi case editrici che hanno scelto un’alternativa al modello seriale proposto da Bonelli e Astorina, oltre che dalla forma-rivista Disneyana

Per questo motivo, mentre Shockdom si è ritagliata il suo spazio dando visibilità a giovani talenti del web (ma non solo), Bao Publishing e Tunué prima, e Feltrinelli Comics, poi, hanno gradualmente affermato come nuovo modello editoriale italiano la graphic novel. 

D’altra parte, affermava proprio il padre della graphic novel, il già citato Will Eisner, il formato unico è anche molto più allettante per gli editori. 

La rivoluzione di Zerocalcare 

Possiamo azzardarci ad affermare che colui che ha scosso dalle fondamenta il mercato italiano, aprendo la pista ai fumettisti di ultima generazione, è stato proprio Zerocalcare.

I numeri che il fumettista romano ha raggiunto in libreria sono stati formidabili, oltre ai diversi riconoscimenti firmati anche dalla critica non di settore. Per esempio, la scrittrice Igiaba Scego ha detto di lui, presentando la sua candidatura al premio Strega 2019 (con Dimentica il mio nome): “Zerocalcare riesce a farci sorridere delle bruttezze del mondo disegnando con cura maniacale la crisi esistenziale che stiamo attraversando“.

Ed è esattamente questa la strada che Rech ha spianato: il racconto ironico (o meno) del dramma esistenziale, che parrebbe uno dei temi privilegiati dai nuovi autori. Da che mondo è mondo, c’è da dire, la letteratura giovanile ha l’urgenza di analizzare ed esprimere tutte le sfumature dei sentimenti e, soprattutto, un gran bisogno di raccontarsi. La carica di autori più o meno emergenti, da Yole Signorelli aka Fumettibrutti ad Alessandro Baronciani, passando per Alberto Madrigal, ci propone stralci della propria vita reale o sentita.

Il protagonista sono io

Non a caso, la maggior parte delle volte, il protagonista coincide con l’autore o con una sua versione trasfigurata. Il superamento del lutto, l’elaborazione di una violenza, ma anche la precarietà professionale o la ricerca della propria identità di genere sono tutte tematiche estremamente delicate di cui gli scaffali delle fumetterie (pardon: librerie) continuano a popolarsi.

E torniamo a porci la stessa domanda: in che modo questa spinta intimista è legata al formato unico delle graphic novel?

Tendenzialmente strutturare il racconto delle proprie sensazioni in un volume unico è preferibile per tutti: autore, editore e lettore. Inoltre, per reggere la serialità bisogna che i personaggi abbiano qualcosa di realmente iconico, che vada al di là dell’introspezione (pur non rifiutandola) o dal racconto dei piccoli grandi drammi della vita quotidiana.

Da questo punto di vista, la graphic novel condivide molti temi col romanzo classico, spesso usato dagli autori per guardarsi dentro e condividere l’esperienza col lettore. Alla fine, per certa critica e per un certo pubblico, tutto ciò che è introspettivo, intimista e delicato si conquista automaticamente il titolo di intellettuale. Anche qui l’argomentazione non è propriamente solida e trascura del tutto altre esigenze che il fruitore ha quando si approccia a un’opera d’arte. Il respiro epico, il divertimento, l’adrenalina, la paura, sono tutte emozioni di pari dignità rispetto alla commozione e alla malinconia. 

Per rimarcare quanto la graphic novel sia principalmente un formato, e che non determini di per sé il contenuto o le emozioni che vuole veicolare, citiamo alcuni volumi monografici fuori formato dedicati ai supereroi quali Daredevil Amore e Guerra scritto da Frank Miller e disegnato da Bill Sienkiewicz , X-Men Dio Ama L’Uomo Uccide di di Chris Claremont e Brent Anderson e Batman Son Of The Demon di Mike W. Barr e Jerry Bingham.

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La fluidità dei media, poi, schiaccia totalmente ogni velleità di classifica. Abbiamo sempre più a che fare con romanzieri storici che si dedicano al fumetto (vedete Daniel Pennac con il suo Un amore esemplare, pubblicato da Feltrinelli Comics), fumettisti che si dedicano al cinema, cinecomic che vincono il Leone d’Oro. Per non sbagliarsi, basta andare alla sostanza del prodotto artistico di cui stiamo godendo e semplicemente goderselo. Ça va sans dire

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.