Gretel e Hansel: La fiaba dei fratelli Grimm come non l’avete mai sentita
Il regista Oz Perkins è professionalmente abbastanza giovane, ma ha già dimostrato un certo talento (trovate il suo “Sono la bella creatura che vive in questa casa” su Netflix). Con il suo ultimo film, che prende la fiaba di Hansel e Gretel e la reinterpreta in salsa dark, si lancia in una impresa che poteva sfociare facilmente nel mediocre, come ci insegnano le molte altre produzioni che hanno tentato operazioni simili.
E invece Perkins ne esce vincitore, e lo fa in modo non banale. Riesce a prendere la storia dei fratelli Grimm, già di per sé non la più allegra del mondo, e incupirla incredibilmente, senza però utilizzare i facili espedienti dell’horror. Intendiamoci, Gretel e Hansel prende tanto in prestito dalla grammatica horror per settare il suo contesto estetico, ma non è mai costruito per far paura, non ci sono jump scare, e il grottesco vero fa capolino solo in un’occasione abbastanza fugace.
No, Gretel e Hansel è ancora indiscutibilmente una FIABA e la sua sfera fantastica prevale sulle altre. Non è un film dal mood opprimente e disturbante, ma solo estremamente malinconico. Trovo personalmente che Perkins abbia fatto sue prestigiose influenze nel definire l’atmosfera del film, e l’abbia fatto con la giusta delicatezza: c’è qualcosa de “Il Labirinto del Fauno” di del Toro, mentre per definire la presenza spettrale, intangibile e malvagia della strega, con il sonoro ed alcuni espedienti registici, il film prende in prestito qualcosa dall’ottimo The Witch, di Eggers, pur trattandosi di un film molto più diretto di quest’ultimo.
Eppure non c’è una trasfigurazione eccessiva del racconto, non c’è violenza esibita, non c’è decadenza, il contesto della fiaba non viene reso dark da una fotografia scura. I colori ci sono, e sono tanti, saturi, ma vengono usati per creare un’ambiente crepuscolare dentro e attorno la magione della strega, ove si svolge gran parte della vicenda.
Quest’ultima gioca un ruolo importante, il suo background viene in qualche modo definito sin dai primi istanti della pellicola, e questo fa intendere quanto in effetti la prospettiva di questo personaggio sia importante nel film, e verrà costantemente approfondita. Alice Krige la interpreta in maniera magistrale, nascondendo in modo sottile tutta l’ambiguità del personaggio. Anche la nostra Gretel (Sophia Lillis) non è da meno. Questa volta nel duo protagonista Gretel è la sorella maggiore che sostiene tutto il peso del racconto (da qui l’inversione dei nomi nel titolo del film), e tra lei e la strega sarà presto un confronto aperto su tutti i fronti che porterà con sé un interessate sotto testo sull’emancipazione femminile, sempre attuale.
Il film in buona sostanza scorre alla grande, merito del suo stile asciutto e rigoroso ma decisamente suggestivo e dell’intrigante linguaggio letterario preso in prestito per i dialoghi e l’introspezione dei personaggi. A minarne una promozione totalmente entusiasta c’è solo la presenza di un paio di scene un po’ inconsistenti verso l’inizio, qualche soluzione troppo facile nel mezzo, e un finale più che legittimo ma forse non abbastanza catartico.
In ogni caso niente di tutto ciò mina il coinvolgimento che suscita il film. Ci troviamo sicuramente davanti a una delle migliori interpretazioni di Hansel e Gretel che abbiate mai visto al cinema, una fiaba dalle tinte mature semplice ma con una certa densità emotiva e drammaturgica. Da vedere.