Anche gli autori italiani si stanno avvicinando al grimdark, sottogenere fantasy finora poco praticato
Com’è noto, gli autori italiani non sono capaci di produrre buoni testi di genere. Dall’horror alla fantascienza al fantasy, da sempre è bene lasciare il campo ai grandi i nomi internazionali, meglio ancora se dai loro libri sono stati tratti film o serie tv. Figuriamoci poi se si parla di un sottogenere come il grimdark, che già non è così conosciuto e diffuso! Quindi, se mai uscisse fuori un romanzo grimdark italiano, è sicuramente il caso di lasciarlo perdere. A meno che…
Che cos’è il grimdark
Forse non tutti conoscono il termine “grimdark”. Con questa parola si identifica un particolare sottogenere della narrativa fantasy, relativamente giovane. Nell’immenso panorama di correnti, tematiche e stili, individuare confini ed etichette è sempre un’operazione arbitraria, tuttavia ci sono alcuni elementi di base che possono aiutare a capire se ci troviamo davanti a un testo grimdark.
In linea di massima, il grimdark ha un’ambientazione fantasy di epoca medievale o rinascimentale, in luoghi realmente esistenti o quantomeno riconoscibili, a volte con i toponimi leggermente alterati ma con evidenti corrispondenze con il mondo reale. L’aspetto soprannaturale che si trova spesso negli high fantasy o nello sword and sorcery è estremamente mitigato, tanto che si può parlare in effetti di un low fanasy, dove la magia è pressoché assente e comunque marginale. È rara anche la presenza di creature fantastiche, e quandanche compaiano draghi o unicorni, sono in realtà semplici bestie, non certo creature mitologiche con poteri particolari. I personaggi delle storie sono per lo più umani, in pochissimi casi si trovano le altre razze tipiche del fantasy come nani, elfi e orchi.
Ma l’aspetto più caratteristico del grimdark è nel suo tono decisamente cupo e cinico. Le vicende di un romanzo grimdark sono terrene e grette, si svolgono nei vicoli maleodoranti delle cittadine piuttosto che nelle vaste foreste incantate, e hanno per protagonisti tagliagole e mercenari invece di principi e arcieri elfici. L’unico linguaggio universale è quella della violenza e sopraffazione: battaglie, torture e sesso sono resi in modo esplicito, senza quella patina favolistica che smorza queste sequenze nel fantasy più classico. Infine, il grimdark nega in ogni modo il concetto della predestinazione: non ci sono eroi nati per vincere, non c’è un fato immutabile a cui tutti gli eventi si piegano. Donne e uomini agiscono per il loro interesse, per guadagnarsi qualche altro giorno di stomaco pieno a discapito di chi gli sta intorno. Nel grimdark difficilmente si trova un schieramento di forze del Bene contro quelle del Male: non ci sono assoluti, ogni personaggio è a suo modo eroe e antagonista. Per queste caratteristiche il pubblico di riferimento è adulto e smaliziato, abbastanza da sopportare il frequente turpiloquio dei personaggi.
I capostipiti del grimdark (italiano e non)
Se questa descrizione vi sembra familiare, è probabile che abbiate sentito parlare delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. La saga di George R.R. Martin è stata individuata come uno dei primi esempi di grimdark. La si può considerare infatti, almeno nelle intenzioni iniziali, come un riadattamento delle vicende della Guerra delle Due Rose, con nomi differenti ma dinamiche affini a quelle storiche. Le faide tra le famiglie per la conquista del trono non hanno niente di ultraterreno, perché non c’è nessun diritto divino a legittimare il Re Giusto. Di conseguenza, nessuno dei personaggi principali è in assoluto buono o cattivo, quelli che possono sembrare eroi si dimostrano in altre occasioni malvagi, e i nemici rivelano lati positivi. Il ruolo della magia è estremamente limitato, mentre quello della violenza fisica, verbale e psicologica è invece prominente.
I libri di Martin e la successiva serie tv hanno sicuramente calamitato l’attenzione sul grimdark, ma non è corretto attribuire a lui la paternità del genere. Ad averlo di fatto reso celebre è stato l’autore Joe Abercrombie, che ne ha delineato le caratteristiche a partire dalla sua saga La prima legge. Altri autori che hanno aderito al manifesto del grimdark sono Mark Lawrence, Richard K. Morgan e Steven Erikson. Per tono, tematiche e caratterizzazione dei protagonisti, anche se fanno un uso più frequente di soprannaturale ed elementi fantastici, anche la saga di Elirc di Melniboné di Michael Moorcock e quella di The Witcher di Andrzej Sapowski si possono ascrivere a questo genere.
Si fa invece più fatica a trovare romanzi che si possano considerare grimdark nel panorama italiano. Gli autori fantasy di casa nostra, soprattutto quelli più conosciuti e acclamati, sono in buona parte legati allo sword and sorcery di derivazione tolkeniana, o meglio ancora goodkingiana. Un esempio più simile al canone grimdark si può trovare nella trilogia di Magdeburg di Alan D. Altieri, che però ha un maggior ancoraggio storico alle vicende dell’Europa del 1600, rispetto a quanto normalmente si riscontra nel grimdark. Quindi non si può dire che esista una vera e propria corrente di “grimdark italiano”. Almeno finora.
La ballata di Maurizio Ferrero
Negli ultimi mesi per una strana coincidenza sono apparsi alcuni titoli che del grimdark propriamente detto mostrano tutte le caratteristiche. Uno di questi è Ballata di fango e ossa, romanzo di Maurizio Ferrero pubblicato da Moscabianza Edizioni. Già dal titolo si intuisce come l’attenzione della storia non sia puntata sulle memorabili gesta di nobili campioni, ma su un livello molto più basso, terra-terra in senso letterale.
Questa decostruzione degli archetipi cavallereschi si manifesta subito quando ci si accorge che la vicenda inizia proprio con la comparsa di un drago (o meglio, una viverna) nelle campagne allagate di risaie di un paese di provincia che assomiglia tanto al vercellese. I protagonisti si lanciano proprio nella classicissima missione di uccidere il drago che minaccia le terre del signore locale. Ma siccome questo è grimdark (per di più italiano), i valorosi ammazzadraghi sono tutt’altro che valorosi, e anche di ammazzare draghi non ne hanno poi così voglia. I loro obiettivi finali sono ben altri, e spaziano dalla razzia alla riconquista di un trono alla sbronza costante.
Nella ballata di Ferrero non c’è spazio per ideali e valori. I personaggi di cui seguiamo le vicende, che si trovano a confluire già verso metà libro, sono egoisti, meschini e soprattutto fallibili. Anche i più forti e determinati di loro compiono errori, sono costretti a sottomettersi, cambiare piani, compiere sotterfugi e tradimenti. È davvero difficile trovare qualcuno per cui fare il tifo, eppure allo stesso tempo non si può nemmeno condannare del tutto il loro comportamento vile. Kalogera, la guerriera implacabile in cerca di riscatto, assiste senza battere ciglio al massacro della famiglia che le ha offerto ospitalità, e alle loro proteste spiega con freddezza che se avessero voluto evitare la violenza avrebbero dovuto amarsi a loro volta. Crapaferro, capobanda di una masnada di predoni delle montagne, fa trucidare senza riguardo i suoi prigionieri di guerra quando non gli sono utili. Per nessuno di loro c’è possibilità di redenzione e nemmeno di lieto fine, ma d’altra parte tutti ne sembrano consapevoli e non chiedono niente del genere.
La Penumbria di Mazza-Sensolini
Dal duo Luca Mazza e Jack Sensolini che aveva già prodotto il postapocalittico Riviera Napalm arriva invece Vilupera, un’altra variante di guerra tra casate nobiliari nemiche. Il tutto si svolge nel territorio di Penumbria, provincia del Regno di Taglia, tra la famiglia dei Lutti, nobili di Orbino, e quella dei Malavita, capoclan delle cosche di Crimini. Queste due hanno partecipato dieci anni prima allo sterminio di casa Gualtieri e da allora si contendono il dominio sulle terre rimaste senza padrone. Tutto ciò senza contare la notevole influenza della Chiesa dell’Appeso guidata da Sua Crudeltà Onnipotenzo II. A sconvolgere l’equilibrio è la comparsa di due figure misteriose, il Barbiere e la Lebbrosa, avventurieri dal morto facile che iniziano a guadagnare popolarità con le loro imprese.
Nonostante i combattimenti si svolgano per lo più all’arma bianca, con l’occasionale comparsa di qualche schioppo, atmosfera e registro si possono paragonare a quelli di un western. Un Guerriero Senza Nome fa la sua comparsa in città, fa fuori alcuni sgherri e si apre a forza di omicidi la strada verso le stanze del potere. La morale di fondo è la stessa dei migliori spaghetti western, cioè nessuna: lo Straniero cerca la fortuna o la vendetta, o forse entrambe. Non gli interessano gli onori e l’equità. Eppure le sue gesta sono in qualche modo d’ispirazione a quanti subiscono soprusi nella loro vita di tutti i giorni.
Anche in questo caso, trovare una fazione per la quale parteggiare è quasi impossibile. Se è vero che Barbiere e Lebbrosa raddrizzano qualche torto, togliendo di mezzo criminali al soldo dei potenti, nessuno di loro manifesta mai l’interesse a ristabilire la giustizia. Quando i Fratelli di Taglia, rivoluzionari che guidano l’insurrezione popolare, gli propongono di unirsi alla lotta per la libertà, loro se ne chiamano fuori. E anche quelli che dovrebbero essere i cattivi, i signori Lutti e Malavita, nella loro opacità dimostrano comunque ragionevolezza. Nessuno è al sicuro, e in questo tutti, dal Duca allo stalliere, sono accomunati dall’incertezza di chi sarà il prossimo a colpirli.
Sia Ballata di fango e ossa che Vilupera sono romanzi ambigui, dai quali non si riesce a ricavare un insegnamento, così come accade ai loro protagonisti. In fondo è questa l’unica lezione del grimdark, e il neonato grimdark italiano l’ha appresa in pieno: non esistono Bene e Male, giusto e sbagliato, nobiltà e perversione. Queste non sono storie da leggere in cerca di conforto: qui dentro non si trova “niente di epico, niente di etico.”