Vergogna e binge watching sono alla base del guilty pleasure. Ecco dieci serie che non riusciamo proprio a non vedere, ma senza mai ammetterlo
Nell’esatto istante in cui Zerocalcare ha ammesso di amare Grey’s Anatomy tutti abbiamo fatto un sospiro di sollievo. Perché diciamoci la verità, ognuno ha una serie guilty pleasure nascosta. Uno scheletro nell’armadio televisivo di cui si prova una vergogna profonda, ma di cui non si può fare a meno.
Se da una parte in pubblico si lodano prodotti di nicchia, opere d’autore la cui fotografia magistrale e la sceneggiatura vibrante lasciano gridare puntualmente al capolavoro, nel buio del proprio salotto va in scena il trionfo del piacere peccaminoso.
Intrecci amorosi, ripicche tra parenti e amici, amanti nascosti, morti apparenti, villain degni di una puntata dei Power Rangers. Ma come si fa a resistere al fascino decisamente indiscreto di una serie guilty pleasure? Come il cioccolato del discount mangiato di nascosto, come un reality sui migliori baristi del Costa Rica. Li assapori una volta, ti penti, ma poi ci ricaschi. E il tasto play fa immediatamente partire un nuovo episodio.
Se Grey’s Anayomy è la serie guilty pleasure per antonomasia, eccone altre dieci che dovreste vedere e non dirlo mai a nessuno.
Revenge
Questa è la storia di Amanda Clarke, la persona più rancorosa e vendicativa del globo terrestre. Ma è anche la storia di Emily Thorne, la falsa identità con cui Amanda torna nella sua città natia e compie una strage. Suo padre è stato incastrato, accusato e condannato per atti terroristici mai compiuti e ad Amanda la cosa proprio non è andata giù. Sotto false vesti si incunea nella ricca borghesia degli Hampton e dà il via ad una delle vendette più subdole e cervellotiche mai escogitate. Ispirata al Conte di Montecristo, la serie se ne discosta subito per toni e trama. Più che intrecci amorosi, qui ci sono veri e propri labirinti, in cui perdersi. Ma è uno smarrimento piacevole, perché la suspense e i colpi di scena riescono a celare una recitazione degna delle peggiori soap opera boliviane.
Gossip Girl
Se negli anni novanta Beverly Hills ci ha insegnato com’è la vita dell’upper class della west coast, il nuovo millennio ci ha mostrato come se la passano i giovani ricconi della east coast. Abbandonati i toni patinati ed edulcorati del secolo scorso, l’elite della Grande Mela si sporca e cade negli abissi della vita edonistica. Sesso, droga e big money sono alla base dei protagonisti di Gossip Girl. La commistione lusso/amore funziona sempre e siamo dinanzi ad uno degli alfieri del guilty pleasure. Se dal 2008 al 2013 si sono consumati quintali di gelato, questo lo si deve alle serate passate sul divano a vedere “le vite scandalose dell’élite di Manhattan”. Persino l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg si è complimentato per l’impatto che la serie ha avuto sul turismo di Manhattan. E subito lo si immagina nel buio del suo salotto barocco, mentre guarda rapito le vicende di Serena van der Woodsen and co.
Arrowverse
Il Guilty pleasure non è per forza abbinato a contorte situazioni amorose. Nel 2012 l’arrivo di Arrow ha dato il via ad uno dei media franchise più apprezzati dagli amanti del genere supereroistico. Il fortunato debutto di Freccia Verde ha innescato una miccia che ha fatto esplodere una sequela di serie ambientate nello stesso universo popolato da Oliver Queen e soci.
Le altre serie che compongono l’Arrowverse sono The Flash, Legends of Tomorrow, Constantine e Supergirl. Se i personaggi ovviamente cambiano, quello che rimane il medesimo è l’approccio narrativo. Ogni serie prodotta da The CW assimila lo spirito scanzonato proveniente dalle produzioni anni novanta, ma ne amplifica la portata del racconto, rendendolo più stratificato e carico di colpi di scena. Un uso smodato del cliffhanger costringe lo spettatore a sedute di binge watching, in cui unicamente il ripetuto ascolto della frase “Per fare questo devo diventare qualcun altro, devo diventare qualcos’altro” scandisce il passare del tempo.
Glee
Ci sono serie che cambiano la storia della Tv. Glee, nel bene o nel male, è entrata nella Hall of fame dei prodotti televisivi, diventando per molti un cult indimenticabile. Basti pensare che è stata coniata una parola per definire i fan della serie, i “gleeks”. Ciò che ha reso Glee uno dei guilty pleasure più amati di sempre è il suo saper intercettare perfettamente il proprio target. I continui insegnamenti di Glee sottolineano come sia importante capire le diversità, accettarsi per come siamo, il mettersi sempre in gioco e saper comprendere e superare un fallimento. Il pubblico americano vive di pane e morale ed è stato subito un colpo di fulmine. Se poi questo concentrato di psicologia ed etica entry level viene confezionato con le mortifere vesti del musical, ecco spiegati i 121 episodi, gli Emmy, i Golden Globe, gli 11 milioni di album venduti. Ci sono generazioni che urlano al mondo il proprio disagio, e ce ne sono altre che preferiscono cantare. Per loro il Glee Club sarà sempre aperto.
Pretty Little Liars
Nell’apparentemente pacifica e insignificante cittadina di Rosewwod cinque amiche trascorrono insieme il weekend. Durante la notte una di loro scompare misteriosamente. Un anno dopo le altre quattro ragazze iniziano a ricevere messaggi firmati A. che svelano segreti che solamente Alison, la ragazza scomparsa, conosce. Tutto farebbe pensare al ritorno della desaparecida, peccato che poco dopo sia ritrovato il suo cadavere. L’incipit cattura già di suo e la formula magica mistero+drammi adolescenziali fa subito centro. I 160 episodi che compongono la serie mescolano furbescamente rosa e nero, dando vita alla risposta teen a Desperate Housewives, con cui ha molti punti in comune. Misteri inspiegabili, una dose eccessiva di surreale e tinte grottesche tengono alla larga chi persegue a tutti i costi una ferrea logicità narrativa. Chi invece non ha particolarmente a cuore la sensatezza di ogni passaggio della trama passerà parecchie serate, arrovellandosi su chi sia A.
Good Wife
L’attrazione per la legge è uguale per tutti. La giurisprudenza sul piccolo e grande schermo affascina da sempre e Good Wife è una delle migliori rappresentazioni legal mai realizzate. Una serialità vecchio stile, con 22 episodi a stagione, la rende una delle produzioni più lunghe degli ultimi anni, con ben 156 puntate! Probabilmente quello è l’unico motivo per cui Good Wife rimane costantemente nelle liste delle serie da vedere, procrastinando puntualmente una visione capace di trasformarsi in uno dei guilty pleasure più appaganti di sempre. Tutto nasce dallo scandalo sessuale che coinvolge il procuratore di stato della contea di Cook. Sua moglie Alicia deve improvvisamente tornare a professare come avvocato, dopo tredici anni in cui aveva appeso la toga al chiodo per occuparsi dei figli. Alicia si ritrova dunque nel paese delle meraviglie legali, a combattere in aula, a suon di arringhe e distorsioni della realtà. Non ci sono buoni o cattivi, non esistono vittime o carnefici, esiste solo la legge e la sua applicazione, non esente da abili manipolazioni da parte degli avvocati. Con tutte le conseguenze discutibili che ne scaturiscono. Ma è proprio per questo che Good Wife sembra così realistica, da non stancare. E il divano diventa un’estensione dell’aula.
Parenthood
This is us negli ultimi anni ha confermato quanto si rimane affascinati dai drammi familiari e quanto ci si affezioni alle famiglie protagoniste sul piccolo schermo. La serialità rafforza la connessione empatica e i personaggi delle serie diventano propri parenti e verrebbe voglia di invitarli al pranzo di Natale. In Parenthood i Braverman si trasformano nella famiglia allargata dello spettatore. Ci si specchia nei protagonisti della serie e le loro difficoltà e difetti riflettono quelli della propria quotidianità. Malattia, divorzio, perdita del lavoro colpiscono i Braverman e di riflesso chi spia, quasi dalla serratura, le loro vicende. L’effetto acquario è alla base del guilty pleasure che porta a continuare a vedere cosa succede alla famiglia protagonista della serie. Perché farsi gli affari degli altri è un piacere paragonabile solamente a quello che provano gli anziani quando si fermano ad osservare i cantieri.
Riverdale
Chi ha detto che bisogna essere teenager per poter apprezzare i personaggi degli Archie Comics? Dal 1938 in poi la casa editrice statunitense, pur puntando su un pubblico giovane, ha appagato lettori di ogni età, eternamente colpiti dalla sindrome di Peter Pan. L’adattamento televisivo delle storie di Archie Andrews e co. è stato curato da Roberto Aguirre-Sacasa, ed è prodotta dalla Warner Bros. Television e dalla CBS Television Studios. In origine doveva essere un film, ma poi la Fox l’ha riplasmata come serie per il piccolo schermo. Riverdale si svolge nella tranquilla e isolata omonima cittadina e segue le vicende di un gruppo di adolescenti. Un omicidio interrompe la quiete e Archie, Betty, Veronica e Jughead devono risolvere il mistero che avvolge questa morte improvvisa. In ogni stagione un nuovo inquietante avvenimento disturba la tranquillità di Riverdale e movimentando la vita dei protagonisti. Il perfetto incrocio tra pop e dark incolla al piccolo schermo: prendete Twin Peaks e mescolatelo a Dawson’s Creeek, l’improbabile ed irresistibile mix è proprio Riverdale.
Teen Wolf
Quanto è dura la vita da adolescente. Soprattutto quando improvvisamente diventi un lupo mannaro. Oltre ai guai consueti di un teenager, Scott McCall deve preoccuparsi anche della sua nuova condizione di licantropo. Creata da Jeff Davis, autore anche di Criminal Minds, la serie si ispira a Voglia di vincere, pellicola del 1985 con Michael J. Fox. Le sei stagioni e i 100 episodi che contraddistinguono la serie seguono il cambiamento radicale che trasforma un ragazzo emarginato in un mutaforma, che dovrà vedersela con realtà completamente nuove e popolate da altri lupi mannari, da Banshee e da cacciatori implacabili. La serie ha avuto un successo incredibile, soprattutto per la sua capacità di mescolare perfettamente tematiche soprannaturali e quelle adolescenziali. I millennials, a cui Teen Wolf ammicca in continuazione, si sentono continuamente tirati in ballo, grazie ai temi trattati sapientemente dagli sceneggiatori. Per gli altri l’effetto guilty pleasure è assicurato.
Shonda Rhimes
Shonda Rhimes. Un nome, una leggenda. In un ipotetico reame del guilty pleasure, lei sarebbe la regina indiscussa. Grey’s Anatomy, Scandal, Le regole del delitto perfetto. Qualsiasi opera provenga dalla mente della sceneggiatrice e produttrice televisiva statunitense diventa oro. Altro che Re Mida, qui siamo dinanzi ad una creatura magica, che trasforma in intrattenimento peccaminoso qualsiasi cosa scriva o produca. Tutto è studiato e orchestrato per costringere lo spettatore di turno a ore trascorse sul proprio divano. Cibo spazzatura da una parte, fazzoletti per asciugare laghi di lacrime dall’altra.
Ecco lo starter kit per affrontare le infinite produzioni griffate Shonda. Chi sta seguendo, da quindici lunghissimi anni, Grey’s Anatomy lo sa bene: lasciate ogni speranza di fuga voi che schiacciate play per la prima volta su una sua opera. Vi vergognerete tantissimo, ma non ne potrete fare a meno.