Hackerare non è solo rubare dati da un pc. Hackerare è andare in controtendenza, trascendere i limiti, le conformità. Non è necessariamente sfociare nell’illegalità, ma costruire idee, svelare segreti, sovvertire codici. Non per il gusto di farlo, ovvio, ma perché la conoscenza si può ottenere solo dallo studio, e soprattutto dallo studio dell’intellegibile. Ok, forse questa premessa filosofica sarà esagerata, ma avevamo bisogno di un pretesto esagerato per introdurvi a questo articolo perché, se già si era parlato di hackerare mobili (e lo avevamo fatto qui), oggi si parla di hackerare il cibo. Quello esagerato per eccellenza: il cibo fast food!
Ma in cosa consiste l’hacking di un fast food? Se state pensando a rubarne il denaro dalle casse elettroniche siete fuori strada, perché qui si parla di mettere mano alle cibarie vere e proprie, creando robe così esagerate sulla scala dei grassi saturi che il vostro fegato, dopo la lettura, vi ringrazierà di non aver ancora provato. L’idea nasce in America (e dove sennò?) ed è arrivata solo di recente in Europa, e per la precisione in Inghilterra. Dalle nostre parti siamo abituati ad andare ad un fast food e, semplicemente, ordinare quello che c’è nei menù pre-confezionati. È una prassi, e al più, qualcuno in vena salutista (la categoria peggiore nei fast food) sceglierà di farsi togliere dal panino questo o quel condimento (“no è che la cipolla mi resta pesante…”), ma oltreoceano, dove il fast food è quasi religione, non è così e capita spesso che un cliente particolarmente “skillato” nella consultazione degli ingredienti si faccia confezionare robe fuori di senno. Che si fa in pratica? Si sceglie un panino “di base” e lo si fa modificare all’occorrenza con ingredienti che, normalmente, non prevedrebbe, il tutto con il dovuto sovrapprezzo. Li chiamano, dunque, “secret menu”, ed ogni fast food ha il suo. Sono una prassi, un costume degli abitudinari, e sono una roba così in voga che alcune catene, come Burger King, hanno – almeno in un paio di occasioni – introdotto i prodotti più “hackerati” nei loro menù ufficiali, perché migliaia di clienti non possono mica sbagliarsi!
La prassi è creare, inventare, sperimentare e condividere il tutto sui social network o su forum appositi che si sono creati nel corso del tempo. La spinta, quindi, è squisitamente “popolare” ed anche se l’argomento non è dei più salubri, il successo di questa “moda” sta spopolando sempre di più, tanto che si sono aggregate delle vere e proprie community di ricerca il cui faro dell’informazione è certamente il sito hackthemenu.com. Basta un giro sul portale perché vi si apra un mondo di primizie trigliceriche seppur molte delle catene presenti sul sito noi non le si conosca neanche di nome, le idee che sono presenti su hack the menu lasciano in qualche modo affascinati, soprattutto quando si scopre che qualcuno si è persino impegnato nel creare, all’interno delle catene, delle valide alternative ipocaloriche. Ce n’è davvero per tutti i gusti ed è curioso farsi un giro per le pagine alla ricerca delle combinazioni più improbabili!
Ora, lo so io come lo sapete voi che tante di queste catene forse non le vedremo mai, così come è altamente improbabile che il fenomeno riesca ad esplodere anche in Italia, ma l’idea di hackerare un cibo così “standardizzato” come un Big Mac non può non affascinare anche solo concettualmente. Che poi, a voler essere onesti, nulla vi vieta di prendere spunto e prepararveli in casa! Certo… non avrete mai quella particolare salsa a portata di mano, o quel topping in stile Starbucks così deliziosamente additivo, ma perché non tentare?