L’ultimo confronto tra Laurie Strode e Michael Myers la prende alla larga, ma lo fa con un nobile scopo
o trovato il lavoro di David Gordon Green con i primi due Halloween (che complessivamente mi erano abbastanza piaciuti) rispettoso quanto basta verso lo spirito originario del film di Carpenter, ma in fondo non così coraggioso. L’icona di Michael Myers è sempre molto forte ma il suo operato di macellaio di Haddonfield appare oggi un po’ sbiadito, ridondante e non più così efficace. Temevo che la riproposizione delle stesse dinamiche già riesumate nei due film precedenti, potessero far assumere dei connotati quasi parodistici al suo terzo ritorno all’azione. Fortunatamente Halloween Ends mi ha stupito da questo punto di vista, prendendo una strada diversa; una strada che senza dubbio rende questo Ends il migliore e più interessante film della trilogia. Ormai la natura sovrannaturale di Myers è sdoganata. Non è un serial killer come tutti gli altri, è qualcosa di più, è un’allegoria quasi “Kinghiana”, che mi ricorda il potere virale di IT sulla Derry vessata da un male atavico, che va ben oltre il ghigno malefico di Pennywise. Allo stesso modo, anche se è passato qualche anno dall’ultima invasione di Michael, Haddonfield porta gli strascichi della sua presenza, quasi fosse stata contaminata da questo. Le cose brutte continuano a succedere, con o senza il killer mascherato.
Esemplificativa in tal senso è la sequenza di apertura che setta da subito il tenore del film. Un tenore che tutto sommato risulta stilisticamente in continuità con i film precedenti. Una messa in scena piuttosto sobria e asciutta che porta su schermo la morte in maniera secca con una velatissima, impercettibile -ma pur presente- ironia. Tutto senza Myers. Perché ormai il male è oltre la maschera. E proprio partendo da questo spunto Halloween Ends caccia le palle per fare qualcosa di diverso, dandoci l’impressione di mettere da parte la figura di Michael, ormai stanca, esausta, arcaica, quasi consapevole di non reggere più le aspettative del suo pubblico. Ma sarà veramente così? Perché Michael è una figura stanca ma anche immortale, come è immortale e inestirpabile quello che rappresenta: la paura, la violenza, la negatività che genera se stessa da se stessa in un loop infinito.
Questo è uno dei leitmotiv che alimentano il nuovo film di David Gordon Green, un film che cerca di risolvere questo arcano: come rendere meno prevedibile questo male incarnato che ormai ha reso smaliziati non solo noi spettatori ma anche gli abitanti di Haddonfield, svezzati dal minaccioso alone di mistero che egli rappresenta? Perché dove prospera la prevedibilità, sicuramente latita la paura. E allora se non può cambiare la Michael, la chiave di volta è cambiare il contesto, per la precisione, ricontestualizzare da capo la narrazione di Halloween, cambiando il focus, tornando a una sorta di punto di partenza, ispirato da quella maledetta notte da babysitter di Laurie Strode, depistandoci con la tragica ma super umana storia di Corey, personaggio che ho apprezzato veramente molto e fondamentale per la riuscita di questo obiettivo.
Con questi espedienti Gordon Green porta a schermo un film molto più intimo rispetto ai precedenti, che sicuramente riesce nello scopo di rendere tangibile ai suoi protagonisti di nuovo, per l’ennesima volta, il terrore rappresentato da Michael Myers. Purtroppo ci riesce molto meno con chi guarda il film. Tensione vera e propria Halloween Ends fa molta fatica a crearne. Sicuramente c’è un po’ di freschezza nelle dinamiche slasher, pur essendo abbastanza conservatore e “minimalista” da questo punto di vista.
Il punto è che, per chi vi parla, questo è un elemento fondamentale in questo tipo di film ed il fatto che sia così edulcorato e mostri così poco, intacca abbastanza il suo valore intrattenente. La cosa strana è che c’è una singola sequenza in cui il film si lascia andare in questo, e non capisco come mai debba rappresentare una eccezione rispetto alle altre. Inoltre c’è da dire che va a farsi benedire la classica atmosfera da 31 ottobre, ma anche in questo caso rinfrescare la formula rinunciando a qualche stilema della saga, compresa la classica atmosfera da Halloween, è un prezzo che accettiamo volentieri.
In tutto questo, Jamie Lee Curtis è un punto fermo su cui si può sempre far affidamento: donna emancipata, nonna moderna, vigilante di una Haddonfield ingrata che la vede come una fricchettona che ha fatto più danni alla comunità che bene. La sua Lauren Strode è un personaggio molto ben caratterizzato e ben interpretato, che incespica un po’ solo quando deve mostrare il suo lato più vulnerabile. La conclusione del suo morboso rapporto decennale con Myers, è concettualmente efficace, anche se leggermente frettolosa nella messa in scena. Tuttavia non mi sento deluso da questo punto di vista.
In conclusione, Halloween End è un film discreto, più interessante per il contesto che racconta che nei suoi exploit da slasher movie. Abbraccia la decadenza del personaggio di Michael Myers provando ad ergerlo ad un ruolo ancora più iconico del noto assassino mascherato con il coltello in mano. Michael diventa il simbolo di un male che come dice Lauren, cambia forma ma non muore mai. Un inquietante aforisma che in qualche modo lascia quella nota di pessimismo e disagio sociale che in fondo ogni buon horror cerca di trasmettere. Non è il messaggio più originale né la forma più brillante che il genere abbiano mai abbracciato, ma lo sforzo di dare una degna e non così scontata conclusione alla trilogia c’è stato, e questo è già un risultato encomiabile.