La storia del grande Hideki Kamiya, dagli albori ai giorni nostri
Cosa hanno in comune giochi come Resident Evil 2, Devil May Cry, Bayonetta e tanti altri entrati nella storia dell’intrattenimento elettronico? Semplice, la stessa grande mente dietro la loro realizzazione, Hideki Kamiya. Uno sviluppatore dal talento innegabile ma anche un personaggio piuttosto controverso famoso per non avere particolari peli sulla lingua quando si tratta di esprimere la propria opinione sui social. Abbiamo pensato di ripercorrere la sua storia in occasione dell’uscita della nuova edizione di The Wonderful 101, per capire quale è stato il percorso di uno dei più grandi creativi legati al medium videoludico di tutti i tempi.
Il primo gioco su cui mise le mani concretamente è forse il più sconosciuto in assoluto tra le sue opere, Arthur to Astaroth no Nazomakaimura: Incredible Toons, un progetto di Capcom del 1996 in cui Kamiya è approdato come planner dopo una breve parentesi lavorativa in qualità di artista prima in SEGA e poi Bandai. Si trattava di uno spin-off appartenente all’universo di Ghost & Goblins abbastanza curioso, una specie di puzzle game con elementi platform, ma non di una produzione particolarmente memorabile. Nello stesso periodo e con un ruolo molto simile (Game’s system planner) entra nelle grazie di Shinji Mikami e lo accompagna nello sviluppo del primo Resident Evil, una esperienza che sarà fondamentale per il suo futuro.
Nella produzione di Resident Evil il giovane Kamiya si distinse al punto da venirgli affidata la realizzazione del seguito, un progetto importantissimo per la compagnia che lo mise però in seria difficoltà. Kamiya infatti, non era un grandissimo amante del genere horror, apprezzava piuttosto contesti hollywoodiani più action. Fu così che il primo embrione del suo lavoro, ribattezzato in seguito Resident Evil 1.5, si discostò troppo dalle atmosfere originali. Asettico, caciarone, con personaggi e nemici un po’ troppo sopra le righe, non si trattava sicuramente del Resident Evil che voleva Capcom. Ciò nonostante Kamiya non perse la fiducia di Mikami che aveva in mano la produzione del titolo, e lo aiuto in tempi brevi a riconsiderare totalmente il gioco. Quello che né uscì fu il capolavoro che tutti conosciamo. Il primo titolo che dimostrò il talento poliedrico di Kamiya, capace di focalizzarsi con successo anche in progetti fuori dalle sue corde e in condizioni di lavoro critiche.
La serie Resident Evil proseguì senza intoppi ma quando si trattò di realizzare il quarto capitolo, qualcosa andò un po’ troppo “oltre”. Il progetto uscì decisamente dai canoni della serie e si trasformò in qualcos’altro. Qualcosa che rappresentava finalmente la visione del videogioco a briglie sciolte di Kamiya: Devil May Cry. La prima avventura di Dante fu un titolo assolutamente seminale per un genere che fino a quel momento non esisteva, l’action stilish. Ma possiamo dire più in generale che grazie a Kamiya e DMC per la prima volta gli action game frenetici di stampo arcade entrarono con successo nelle tre dimensioni. Di Resident Evil rimasero solo pochi vaghi elementi. Un contesto semi horror e qualche piccolo elemento strutturale. Il resto era Kamiya al 100%: fuoco, fiamme, tamarrate, ironia e stile da vendere. Con questo gioco il buon Hideki si legò anche ad una cifra stilistica e ad una determinata tipologia di giochi da cui sostanzialmente non si separerà mai più.
Nel 2002 presta la sua esperienza pregressa nella serie per la creazione di Resident Evil Zero. Qui aiuterà in qualità di game designer a finalizzare molti elementi del gameplay, tra cui quello che riguardava l’interazione tra i due personaggi utilizzabili, dinamica che è sempre stata piuttosto rilevante per Kamiya anche in Resident Evil 2 (seppur con modalità molto diverse). Ma nel 2003, gli viene concesso di esprimere ancora di più la sua personalità, unendo alla sua inclinazione verso il genere action, quella che è un’altra sua grande passione, il mondo dei tokusatsu, ovvero i super eroi giapponesi molto in voga in Giappone, di cui Kamen Rider è uno dei maggiori esponenti.
Questo titolo doveva far parte del progetto Cacom Five, cinque giochi della compagnia giapponese realizzati per supportare come piattaforma il Game Cube, in seguito ad accordi tra loro e la casa di Kyoto: Dead Phoenix, che non è mai stato realizzato, Resident Evil 4, P.N.03, Killer 7 e Viewtiful Joe, diretto proprio dal nostro Kamiya. Il gioco era un action bidimensionale eccentrico che univa tutto il suo talento nello studio di gameplay profondi ma allo stesso tempo immediati e appaganti con un immaginario a cui era particolarmente legato, quello cinematografico e quello delle serie televisive giapponesi un po’ vintage legate proprio agli stereotipi dei superheroes e villains che caratterizzavano queste produzioni negli anni 80 e 90.
Ogni gioco di Kamiya permette di mettere un tassello in più per comprendere la sua figura artistica e professionale. Viewtiful Joe mostrava quanto l’autore giapponese fosse legato ad una vecchia scuola prettamente nipponica di sviluppo molto legata alla visione creativa del prodotto e poco interessata alle dinamiche commerciali. Più infatti Kamiya era libero di esprimersi come sviluppatore, più la sua natura di autore di genere veniva allo scoperto.
Come molti autori di questo tipo, la cui indole non permette loro di ripetersi (caratteristica in comune con Mikami) Kamiya cerca progetti nuovi in cui possa riversare altri aspetti ancora della sua cultura e sensibilità artistica. L’ambiente di Clover Studio, piccolo team finanziato da Capcom proprio per incentivare lo sviluppo di giochi dalla forte impronta “indipendente”, sarà quello ideale per dar vita a Okami. Kamiya dirige un gioco incredibilmente diverso da tutto quello che aveva fatto fino ad ora, un gioco pacato, solenne, non più legato all’azione (nonostante non mancasse e fosse comunque di buona fattura) ma ad un contesto estremante “zen”, con uno stile grafico ispirato allo stile pittorico sumi-e e una narrazione tutta incentrata intorno al folklore antico nipponico e alla figura della dea del sole shintoista Amaterasu.
Kamiya dirige una avventura “alla Zelda” piena di personalità e grazia, affascinante e bellissima, mostrando un amore a tutto tondo per la cultura della sua patria ma anche una sensibilità che va ben oltre le sue precedenti opere decisamente più pirotecniche e sopra le righe.
Smembrati i componenti di Clover Studio di Capcom e riuniti sotto la nuova etichetta indipendente di Platinum Games, Kamiya decide che è il momento di ripetere il miracolo DMC e regalare al suo pubblico un altro grande action game vecchia maniera. Ma lo abbiamo detto, Kamiya non è uno a cui piace ripetersi. Non si sarebbe mai accontentato di realizzare una copia di Devil May Cry e nemmeno un titolo vagamente simile. Nossignore, Kamiya ha in testa di evolvere letteralmente il genere cambiando totalmente immaginario, e lo fa sfornando uno degli action stilish più brillanti di tutti i tempi: Bayonetta.
Le fondamenta di DMC divengono solo lo scheletro formale su cui viene disegnato un sistema di combattimento infinitamente più versatile e complesso, che -come era facile aspettarsi- sarà il punto di riferimento per tutte le produzioni simili che sarebbero venute in seguito. Nel 2013 realizza The Wonderful 101 in cui recupera l’immaginario tokusatsu questa volta per esplorare il contesto dei team di super eroi (altro archetipo di matrice cinematografica/televisiva) che al solito, andrà ad inserire in un gioco nuovamente unico, originale, eccentrico e sempre riuscitissimo sul piano ludico. Un incrocio tra un action e Lemmings che solo Kamiya poteva concepire e che fortunatamente ora potranno scoprire anche tutti quei giocatori che non hanno mai posseduto la sfortunata console Nintendo Wii U.
E adesso? Dopo aver supervisionato due titoli eccezionali di Platinum Games, come Bayonetta 2 e Astral Chain (non abbiamo dubbi che il suo tocco magico abbia contribuito al loro successo), siamo in attesa del prossimo progetto interamente diretto dal più grande Maestro degli action contemporanei. Mentre non è ancora chiarissimo se sarà ufficialmente lui al timone di Bayonetta 3 oppure no, è certo che l’ultimo progetto annunciato da Platinum Games è senza dubbio di Kamiya ed è filologicamente legato a Viewtiful Joe e The Wonderful 101.
Project G.G., di cui si è visto solo un brevissimo teaser e non si ha alcun dettaglio sulla data di uscita, concluderà la fantomatica “trilogia dei super eroi”. Dopo l’eroe mascherato alla Hurricane Polimar, la squadra alla Gatchaman (si, mi vengono solo riferimenti Tatsunoko in questo istante, abbiate pazienza), è venuto il momento di esplorare l’immaginario dei super eroi che diventano giganti e battono Kaiju stile Megaloman e Ultraman? Così pare dal primo trailer, ma l’unica certezza è che con Kamiya, avremo sicuramente a che fare con una deriva del genere action ancora una volta spiazzante e innovativa. Personalmente non vedo l’ora di saperne di più, ma nel frattempo ci scappa volentieri una nuova partita a The Wonderful 101 o una rispolveratina a Bayonetta. D’altronde i giochi buoni non invecchiano mai e il nostri Hideki, innegabilmente, sforna solo evergreen immortali. Henshin a go go baby!