Le piante: mezzo, antagoniste e protagoniste. Dagli erbari medievali, alla letteratura di Hortus Mirabilis
La scelta di Moscabianca Edizioni di dedicare un’intera antologia di racconti alle piante potrebbe apparire strana a qualcuno di noi: eppure Hortus Mirabilis getta le proprie radici in una delle tradizioni più antiche della letteratura. Da quando esiste la storia, ovvero da quando esiste la scrittura, le piante hanno sempre avuto un fascino particolare nei racconti che gli umani hanno voluto tramandare. Dai cedri di Gilgamesh, fino alle presenze delle piante in compendi di scienza e racconti di fantascienza, passando per gli erbari medievali e le ricette alchemiche dell’età moderna.
Potremmo provare a indagare a lungo quello che è il ruolo delle piante all’interno dello scibile umano e della sua letteratura. Un compito che, forse, richiederebbe uno sforzo superiore alle nostre capacità, costringendoci a una lunga serie di articoli. Volendo semplificare, stabiliremo un punto di arrivo proprio nell’antologia Hortus Mirabilis, per indagare quindi il ruolo svolto dalle piante all’interno della letteratura.
Ma, per farlo, dovremo partire da prima ancora della letteratura. Vedere come le piante, nel mito e nelle leggende, abbiamo occupato un posto speciale, diventando parte di una mitologia. Se volessimo azzardare un tema più vasto è proprio di mitologia che parlerà questo articolo. Di quella antica e di quella attuale del fantastico. Quella rielaborata del fantasy e quella rigenerata nella fantascienza.
Prima di Hortus Mirabilis, prima della letteratura: il mito e le piante
Che la vegetazione abbia da sempre affascinato e, sotto qualche punto di vista, sconcertato gli esseri umani, è facilmente intuibile. Una presenza costante, una forza misteriosa che compie un ciclo vitale che, agli occhi dei nostri progenitori, deve essere sembrato eterno. Le piante, prima che divenissero parte della letteratura, erano oggetto di leggende, di miti. Di venerazione.
Erano l’oggetto di desiderio di avventurieri e motori del mondo, come l’Yggdrasill del mito norreno, l’albero da cui si ramificavano i nove regni del cosmo. Le piante, in diverse culture e in diverse realtà, sono sempre presenti nella mitologia. Già nel mito di Gilgamesh, una delle più antiche epopee umane, l’eroe di Uruk e il suo sodale Enkidu uccidono un drago pur di ottenere i preziosi cedri del Libano, e proprio una pianta misteriosa sembra nascondere il segreto dell’immortalità.
Sin da allora al mondo vegetale vennero attribuiti poteri e caratteristiche aliene all’uomo e alla sua comprensione, un’origine che per alcuni è divina, come nel caso di molte piante del mito greco. Agli amori infelici di Apollo si devono l’alloro, il girasole e il giacinto, a quelli di Afrodite le rose rosse. Per aver rispettato le leggi sacre della xenia Zeus premiò gli anziani Filemone e Bauci trasformando i loro corpi in una quercia e un tiglio prima della loro morte.
Con la diffusione del cristianesimo e della sua cultura le piante non scomparvero dall’immaginario degli esseri umani. Rimasero parte integrante della cultura, portatrici simboliche di concetti ed eventi. Una pianta, l’Albero della Conoscenza, segnò la caduta dalla grazia dell’umanità, redenta dall’avvento del Messia cristiano; e sempre una pianta divenne simbolo della gloria imperitura dei Martiri, la palma.
Scienza e letteratura: due mondi paralleli?
Nel bene e nel male, questa presenza nel mito impresse il mondo vegetale anche all’interno dell’immaginario condiviso della letteratura. Sin dall’antichità le piante occuparono posti di primo piano nell’epica. Abbiamo già citato Gilgamesh, ma senza andare così indietro potremmo pensare all’Odissea, quando Ulisse trova una pianta in grado di difenderlo dai sortilegi di Circe. Qualche secolo dopo Virgilio realizzerà una scena straziante con il ritrovamento del corpo di Polidoro, trasformato in un arbusto di mirto. E proprio al poeta mantovano si ispirerà Dante nel mutare i propri suicidi in alberi, dando a sua volta lo spunto al Tasso per gli orrori della selva di Gerusalemme generati dal mago Ismeno.
Ma, accanto a questo fascino letterario, è sempre esistito quello scientifico. Certo, anche qui c’è una sorta di fascinazione mitologica, considerato che la scienza sembra sempre avere un’origine divina. Pensiamo ad Asclepio, prole di Apollo e primo medico, la cui figlia era quella Panacea che, proprio dalle piante, era stata in grado di trovare una pozione capace di sanare ogni male. Ma il mito non è che un principio di qualcosa di più importante: una vasta raccolta di sapere medico e farmacologico che proprio nelle piante vede la propria origine.
L’antichità abbonda di testi sull’uso della flora e su come utilizzarla per creare rimedi per i malati. Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, dedica ben tredici libri alle piante, parlando di argomenti che vanno dalla botanica alla medicina (passando, ovviamente, per la magia… parliamo pur sempre di Plinio!). Questo rapporto tra scienza e piante ha quindi radici antichissime, che si sviluppano parallelamente a quelle della letteratura. Due mondi che si dedicano, da un lato, a esaltare quella componente di mistero presente nel mondo vegetale, dall’altro a indagarla, domarla per farne qualcosa di utile alla razza umana.
Esiste anche un terzo filone: quello magico. Quello che vede le piante come un mezzo per sondare l’ignoto e spezzare le regole della natura, invece di comprenderle. Gli erbari del Medioevo abbondano di ricette che di scientifico hanno ben poco e, nelle antiche collezioni, è facile trovare accanto alle ricette della Scuola Medica Salernitana qualche raccolta alchemica.
Dalla magia al fantasy, dalla scienza alla fantascienza
Se ci fermiamo a riflettere sulla presenza delle piante nella letteratura dobbiamo riscontrare quindi che esse, in qualche modo, sono sempre state presenti. Eppure il loro ruolo appare come quello di semplici mezzi, utili a guarire, a contrastare incantesimi o a crearne. In maniera molto simile troviamo questo concetto nel fantasy, basti pensare all’Athelas di J.R.R. Tolkien. Certo, nel Professore è già presente l’idea di un mondo vegetale parte attiva della trama, ne sono dimostrazione gli Ent e i gli alberi di Valinor.
Proprio questo concetto di piante come parte integrante della storia sembra affiorare con maggiore decisione in un altro filone del fantastico, quello parallelo della fantascienza. Può apparire strano, quasi controverso, ma è proprio quando si consumano le invasioni aliene che le piante iniziano a giocare un ruolo fondamentale. Uno degli esempi migliori è quello che troviamo ne La Guerra dei Mondi, il più classico dei racconti sulle invasioni aliene. I marziani, dopo aver assestato i primi colpi alla razza umana e ormai convinti di essere vincitori, iniziano a “terraformare” il nostro pianeta. Il primo passo, per rendere la Terra un nuovo Marte, è la crescita di una flora aliena per cambiare il clima del nostro pianeta.
La natura, per H.G. Wells, è quindi letteralmente e metaforicamente una forza aliena. Un concetto non molto diverso da quello espresso da Jack Finney nel suo L’invasione degli Ultracorpi, dove dei semi di origine extraterrestre creano baccelli in grado di replicare e sostituire gli esseri umani. Anche per Finney la natura, insomma, nasconde un lato selvaggio e inquietante, che ha nelle piante un suo simbolo, perfetto nemico per della buona letteratura.
Il motivo per cui la fantascienza classica sembri trovare proprio nelle piante le proprie nemiche è difficile da spiegare. Forse è la sensazione di trovarsi di fronte a una natura come un’entità non maligna, ma indifferente. E, per questo, pericolosa. Questa indifferenza è vista come portatrice di morte e va combattuta. Un sentimento che sembra animare ancora grandi porzioni della razza umana.
Un cambio di paradigma: da antagoniste a protagoniste
Il Secolo XX ha visto l’umanità dare il peggio e il meglio di sé. Accanto alle tragedie che hanno sconvolto la prima metà del Novecento, si sono anche attestati nuovi valori, nuove filosofie e movimenti culturali dotati di maggiore sensibilità verso argomenti che stentavano a trovare dignità in principio. Tra questi l’ambientalismo che, con il desiderio di preservare la natura e i disastri causati dalla sua incuria, si impose anche nelle politiche degli stati.
Questo nuovo sentimento si affianca a diverse correnti, andando a influenzare anche una letteratura dove le piante assumono un nuovo ruolo. Non più ambasciatrici di una matrigna indifferente, ma protagoniste e portatrici di benessere e prosperità. Ma, soprattutto, è l’assenza della natura a essere indagata, ovvero gli effetti nefasti che la sua scomparsa avrebbe sull’essere umano. Ne è uno splendido esempio Fauna di Christiane Vadnais, che racconta proprio degli effetti di una natura devastata dal genere umano. Un’assenza di vegetazione che si ripercuote sulle specie animali, umani inclusi.
Proprio a questo concetto sembra arrivare (e ripartire) l’antologia di Moscabianca. In Hortus Mirabilis e nei suoi racconti gli esseri umani e le piante sono due facce della stessa medaglia. L’essere umano deve comprendere una natura che ha troppo a lungo combattuto. Solo così potrà vivere in prosperità. Perché una guerra contro la Natura non può che portare a un annientamento reciproco. “Non uno di noi moscerini vivo se la natura si decidesse a muoverci guerra” scriveva Giorgio Bocca, all’indomani del disastro del Vajont. Un disastro nato proprio dall’hybris umana di sfidare le montagne, che ha ripagato la nostra razza con oltre duemila vittime accertate.
Le piante mostrano quindi un volto nuovo. Quelle di ambasciatrici di una forza potente, che potrebbe essere benigna e amorevole se preservata e trattata con cura. Ma, come troppo spesso accade, le ambascerie tendono a non essere ascoltate. Aspetti che sembrano caratterizzare anche alcuni dei racconti di Hortus Mirabilis. La pianta era e resta una forza potente, difficile da comprendere. Ma non per questo squisitamente nemica. Certo, l’apparenza sembra ancora quella di un pianeta dove la pianta vuole infestarci, dominarci per trasformare il mondo come lo conosciamo. Ma questo è per forza di cose un male? Davvero un globo dove le piante sono la specie dominante equivarrebbe alla fine del genere umano?