Amazon Prime Video distribuisce in Italia I Care a Lot, una commedia nera su uno degli aspetti più drammatici del sistema americano
Ho scoperto il tema di cui parla I Care a Lot l’anno scorso, guardando su Netflix la docu-serie Dirty Money. Una delle puntate della seconda stagione (non più disponibile in streaming, probabilmente per una causa legale in corso) è infatti incentrata sul controverso tema dei tutori legali. Negli Stati Uniti esiste da decenni una pratica deplorevole che ha distrutto, e continua a distruggere, migliaia di famiglie. Le vittime sono le persone più anziane che danno anche solo il minimo accenno alla perdita dell’autosufficienza, che sia confusione, incontinenza o memoria offuscata. Queste persone si recano da un medico, il quale stila un referto dove indica che la persona in questione non è più in grado di badare a sé stessa. Questa dichiarazione è falsa nel 99% dei casi, ma viene comunque spacciata per vera dagli operatori sanitari che ne “pompano” i sintomi. Il caso viene presentato a un giudice senza la presenza dell’imputato, poiché ritenuto non in grado (sempre falsamente) di sostenere l’udienza. La corte delega quindi all’imputato (a sua insaputa) un tutore legale, ovvero una persona che da quel momento in poi gestirà la totalità dei suoi soldi, delle sue proprietà e della sua vita.
Come sottolineato nel film di J Blakeson, i tutori legali sono dei veri e propri predatori, ma non sono gli unici a far parte di questo sistema. I medici che individuano le potenziali vittime, i giudici che approvano le mozioni, i gestori delle case di riposo e le stesse case farmaceutiche, fanno tutti parte di questo grosso inganno verso le persone più indifese. Non per forza anziane, per esempio anche Britney Spears è vittima da anni di questo sistema, sotto il controllo totalitario del padre che è diventato suo tutore legale. Avere un tutore nominato dallo stato significa, nella quasi totalità dei casi, perdere il controllo della propria libertà personale. Significa morire in una casa di riposo senza la propria famiglia e i propri averi. Significa essere privati dallo stato di tutto quello che si è custodito con affetto nel corso della propria esistenza. E la puntata sopracitata di Dirty Money è la perfetta fotografia di questa pratica disumana e degradante.
Ma torniamo a I Care a Lot (disponibile su Prime Video dal 19 febbraio 2021). Il film ci presenta subito il personaggio di Marla, interpretato da una favolosa Rosamund Pike. La nostra protagonista non è solo una tutrice legale, ma è una delle migliori sul campo nel suo ramo. Si definisce una leonessa, una persona che non perde mai una causa e che fa di tutto per spillare più soldi possibili alle sue vittime. Marla cattura quella che nel business viene chiamata una “ciliegia”, ovvero un’anziana signora ricca e senza parenti vivi. I parenti infatti sono l’unico grande ostacolo dei tutori legali, perché sono ovviamente quelli che si battono maggiormente per la salvezza dei propri famigliari. Quello che Marla non sa però è che questa signora, all’apparenza innocente, è in realtà la madre di un boss della mafia russa, interpretato da uno strabiliante Peter Dinklage (a tal proposito è triste vedere come Hollywood utilizzi ancora le persone con nanismo come elemento comico).
Ma leviamoci il sassolino dalla scarpa: I Care a Lot fa un pessimo lavoro nel rappresentare la situazione descritta poc’anzi. Tutto il racconto nasce dal fatto che l’antagonista, essendo nella mafia russa, è in grado di combattere con forza e violenza per la libertà della propria madre, opportunità che una persona normale ovviamente non ha. La maggior parte delle vittime dei tutori legali non vede più i propri famigliari e muore in solitudine. Quindi la domanda vien da sé: chi è il vero “cattivo” del film?
I Care a Lot fa attenzione a dipingere entrambe le parti in causa come due facce della stessa medaglia, ovvero quella del sogno americano, in prospettiva sia legale che illecita. Però è impossibile non patteggiare sin da subito per il personaggio di Peter Dinklage e per sua madre. È impossibile non sperare che la povera donna sia liberata al più presto dalle grinfie di Marla e che quest’ultima paghi per il male sistemico che ha contribuito a costruire. Ma il film di J Blakeson fa invece di tutto, anche forzatamente, per farci entrare in connessione con il personaggio di Rosamund Pike. Come si fa però a empatizzare con una persona del genere?
Ritrarre l’immorale: desiderio vs necessità
Probabilmente conoscere già il tema di discussione, e le sue ripercussioni reali nelle vite delle persone, mi ha reso un po’ di parte nella visione dell’opera. Il marcio sistema predatorio delle parti coinvolte è diverso, ad esempio, dal crimine organizzato de Il Padrino o Prova a prendermi per diversi motivi. In primis nella caratterizzazione del personaggio: Marla inizia il film con l’obiettivo di fare soldi e sfruttare le persone anziane, e finisce il film… con l’obiettivo di fare soldi e sfruttare le persone anziane. Non c’è un’evoluzione del personaggio e non viene dato spessore ai motivi predatori di Marla: l’unica cosa che le interessano sono i soldi. E va bene, sono oggetto d’interesse di molti, ma avere un carattere che si basa solamente su questo aspetto rende il personaggio piatto, oltre che profondamente antipatico.
Il protagonista del Prova a prendermi di Spielberg, solo per fare un esempio tra tanti, sfrutta il sistema e agisce in modo immorale per trovare un qualche senso di appartenenza in un profondo discorso sull’identità nella società americana. Ovviamente non ci si aspetta da I Care a Lot la profondità di Spielberg, ma almeno un motivo portante che ci faccia riflettere sul personaggio, anche se agisce in modo palesemente immorale.
Negli studi sulla narrazione si fa spesso riferimento al concetto di desiderio vs necessità. Ovvero un personaggio all’inizio del racconto desidera una cosa X ma in realtà necessita di una cosa Y per poter crescere. Ovviamente questa non è una regola fissa per quanto riguarda la costruzione di un personaggio, come non è neanche necessario costruire un arco evolutivo che segua una vera e propria parabola di trasformazione, ma queste sono certamente delle caratteristiche in grado di far provare empatia allo spettatore e di facilitare il processo di caratterizzazione dei personaggi. Quello di Marla è un personaggio non caratterizzato nel momento in cui le viene legato un desiderio (i soldi) ma nessuna necessità. E, senza fare spoiler, il finale non giustifica questa mancanza nella psicologia interna del personaggio soprattutto dato quello che accade.
La vera criticità del film non è quindi tanto dal punto di vista formale: gli attori sono in splendida forma, a livello di messinscena tutto quadra e la regia è perfettamente funzionale. I problemi riguardano soprattutto la rappresentazione della situazione. È tutto posto su un piano leggero, ironico, da crime comedy tarantiniana, quando in realtà l’insieme dovrebbe essere preso più seriamente. Non facendo necessariamente un dramma strappalacrime, ma un profondo lavoro di caratterizzazione dei personaggi e costruendo un arco evolutivo significativo. Lo stesso Tarantino fa un grandioso lavoro a riguardo con Django Unchained e il tema della schiavitù, anche se in quel caso l’eroe della situazione non era certamente lo schiavista. Vedere I Care a Lot è come vedere una commedia nera su uno schiavista o un predatore sessuale: è ovvio che si spera che vinca il “cattivo” della situazione (cattivo rispetto alla prospettiva della protagonista, non in senso assoluto).
Non sono stato totalmente sincero però, perché il personaggio di Marla in realtà è caratterizzato, e confida allo spettatore la sua visione del mondo più volte. Purtroppo dimostra di avere lo stesso spessore psicologico che potevano avere i banchieri che hanno causato la crisi finanziaria del 2007: la grandezza del sogno americano, il libero mercato e altre retoriche liberali. Il film di J Blakeson è critico del sistema dei tutori ma non accusatorio. Vive di un’anima liberale che non mette i personaggi al centro di una spirale discendente, ma anzi ne glorifica l’ascesa al potere. Non riesce ad essere, pur rimanendo nel genere della commedia nera, un film di denuncia. E se l’obiettivo dell’opera non è questo quando si trattano temi così importanti, il risultato è un prodotto vuoto e superficiale.
Fare un film come I Care a Lot significa non avere rispetto per le vittime del sistema che si rappresenta, relegate a semplici comparse sullo sfondo, e dimostrare di avere una presa di posizione sull’argomento che è bizzarramente imparziale. Quello dei tutori legali è un tema molto caldo che dovrebbe essere sviluppato in maniera più intelligente e coscienziosa, soprattutto dopo che grazie alla recente uscita negli USA del documentario sulla situazione di Britney Spears si è ricominciato a parlare dell’argomento.