Volete davvero sapere cosa si nasconde dietro ai giocattoli della vostra infanzia?

Netflix da tempo è diventata la paladina del revival degli anni ’80 e ’90, con tutta una sua linea di film e serie tv incentrati in quei periodi storici che oggi molti ricordano con nostalgia. All’appello ovviamente non possono mancare i documentari, e tra questi troviamo quello dedicato ai giocattoli della nostra infanzia, tutti quei prodotti sui quali mettevamo le mani da bambini dopo aver assillato i nostri genitori con pianti isterici degni di una chiamata ai servizi sociali.

I giocattoli della nostra infanzia è all’apparenza questo, un viaggio nostalgico per tutti quei bambini troppo cresciuti che oggi guardano tutti quei giochini colorati mentre una lacrima scende sul loro volto. Arrivata alla terza stagione però, possiamo affermare anche un fatto contrario: The Toys That Made Us, questo è il titolo originale, non è un’opera che aiuta la nostalgia.Giocattoli infanzia nostalgia

Avete presente la metafora dell’hamburger che lo mangi finché non sai cosa c’è dentro? Questa allegoria potrebbe benissimo funzionare anche per questa serie, visto che difficilmente vorrete ancora giocare con quei giocattoli dopo aver visto un episodio che li riguarda. Iniziando la visione de I giocattoli della nostra infanzia uno si aspetta di ritrovarsi in quei mondi colorati che sognava da bambino, per rivivere con nostalgia i più allegri episodi della propria gioventù, e invece, come un vero adulto, viene catapultato all’interno di macchinazioni finanziarie, contratti da firmare, intoppi aziendali e tradimenti da far invidia al Trono di Spade. Questo è un difetto? Assolutamente no, ma farà comunque a pezzi la vostra nostalgia.

Tra giocattoli, nostalgia e soldi

Se le prime stagioni dei Giocattoli della nostra infanzia hanno potuto contare su brand molto più grossi, come Star Wars, Barbie, Transformers ed altri, la terza esplora territori più di nicchia (si fa per dire), risultando anche di fatto più varia e interessante rispetto alle altre. E così abbiamo quattro episodi: Teenage Mutant Ninja Turtles, My Little Pony, Mighty Morphin Power Rangers e le figures dei Wrestler. Ogni episodio segue l’ascesa di una delle varie linee di giocattoli, gli ostacoli che i vari creatori hanno affrontato, gli eventuali fallimenti e tutte quelle spiegazioni su leggi di mercato che risulterebbero noiosamente opprimenti se non fosse per il geniale montaggio che trasforma ogni dichiarazione in una gag che riesce a strappare più di un sorriso.Giocattoli infanzia nostalgia

È dopo la risata però che ti accorgi che nascosto da quegli effetti registici in realtà ci sono storie di idee rubate, personaggi che battibeccano su chi ha creato cosa e tematiche sociopolitiche relative al periodo in cui ci si trova a discutere. Un esempio forte di questo per esempio è la creazione dei My Little Pony, che vide una forte opposizione da parte di un’industria formata principalmente da uomini, che ragionavano sul fatto che le bambine, da brave future donne, amassero solo giocare a cucinare, stirare e prendersi cura dei bebè, invece che giocare con dei mini-cavalli.

Go Go Power Rangers (finché fanno soldi)

Scoprire alcune questioni da un documentario su Netflix fa male esattamente come la prima volta in cui qualcuno vi ha confessato che Babbo Natale non esiste, lo sapevate già dentro di voi, ma finché nessuno lo diceva ad alta voce allora era un po’ come il gatto di Schrodinger. Venire quindi a sapere che i propri eroi, come i Power Rangers o i My Little Pony, non sono frutto di una mente creativa, eccentrica e geniale, bensì di studi fatti da un team di ricerca e sviluppo dentro una stanza, che avevano e hanno tutt’oggi come scopo quello di creare un prodotto che vende il più possibile, rompe quell’incantesimo che la nostalgia aveva creato e iniziamo a vedere una triste verità dietro la nostra infanzia: eravamo tutti schiavi del consumismo, e lo siamo ancora.Giocattoli infanzia nostalgia

La realtà comunque resta sempre più noiosa, e poco ci importa che i Power Ranger erano cinque soltanto perché così potevano produrre più figures da vendere per completare le collezioni, la nostalgia vince sempre, e non vi nascondiamo che alla fine è comunque rimasto un certo desiderio di comprare qualche pupazzetto o rivedere un paio di episodi della serie urlando Go! Go! Power Ranger! Dentro di noi però continuiamo a porci il dubbio, vogliamo comprarli perché ci piacciono davvero, o perché, avendo appena scoperto che la serie è solo una lunga pubblicità con lo scopo di vendere pupazzetti, sappiamo che stanno riuscendo ad influenzarci?

Nostalgia canaglia

In fin dei conti, possiamo considerare la serie I giocattoli della nostra infanzia come una sorta di esperienza formativa: da piccoli abbiamo visto il sogno e ora che siamo adulti possiamo invece occuparci della realtà. Una realtà che è fatta di numeri, persone che hanno l’obbiettivo di fare soldi e non preoccuparsi troppo dei bambini e di cosa vogliono vedere, ma piuttosto di cosa gli si può vendere. Eppure, tutto questo in realtà si rivela intrigante, sarà il modo in cui viene raccontato dalla serie o il fatto che siamo troppo cresciuti per collezionare pupazzetti (sto mentendo a me stesso con questa frase), sta di fatto che scoprire le subdole macchinazioni che da piccoli ci hanno scombussolato la mente, invece che farci pentire e sentire a disagio per essere stati ingannati, ci rende comunque fieri e assolutamente orgogliosi di aver fatto parte della storia di uno o più brand di giocattoli.Giocattoli infanzia nostalgia

L’ultima verità comunque, è che molti di noi stiamo collezionando qualcosa, che siano carte collezionabili, action figures, videogiochi o altro, nonostante ormai tutti abbiamo ben chiaro in mente che, per la maggior parte dei casi, dietro quei prodotti si nascondono uomini in giacca e cravatta che ci studiano e analizzano manco fossero alieni, tirando fuori quel prodotto che noi comunque compreremo, negando di essere stati in qualche modo raggirati. Insomma, crescendo, l’unica cosa che è cambiata è che ora possiamo anche collezionare i mobili dell’Ikea su cui stipare tutte le nostre amate conquiste.

 

Mattia Alfani
Nato a Pescara nel'94 e diplomato in sceneggiatura alla Scuola Internazionale di Comics, dice di essere un grande appassionato di fumetti, videogiochi, cinema e serie tv, ma in realtà adora tutto ciò che è in grado di raccontare una storia, anche un semplice sasso. Ancora meglio poi se queste storie sono fantasy, horror o supereroistiche. Attualmente è alla ricerca della sua strada, saltando tra un università e l'altra, e nel frattempo da sfogo alle sue passioni scrivendone e condividendole su internet. Il suo modello di riferimento è il Dottore. Critico di natura ma non di professione, vorrebbe un mondo tutto suo, ma per ora si accontenta di quelli nei fumetti.