La carriera di uno dei più grandi maestri del manga
Non sono molti gli autori capaci di essere così vari e allo stesso tempo competenti in tutti i generi toccati e ancora meno quelli che pur staccandosi dal corso principale di quel fiume amazzonico che è la produzione giapponese di fumetti, riescono ad essere così universalmente apprezzati e riconosciuti, anche in occidente. Questo è sicuramente il caso, eclatante, del maestro Jiro Taniguchi, artista che nella sua vita è riuscito a dare un’interpretazione personale del modo di fare fumetti, lasciando in tutti i generi che ha trattato il suo segno inconfondibile.
Fumettista prolifico che, deceduto l’11 febbraio 2017, ci lascia un’eredità immensa e preziosissima, ricca di opere d’arte che sono e saranno punto di riferimento e fonte di ispirazione per tutti quei mangaka che, come lui, vogliono creare qualcosa di unico e controcorrente. Opere come Quartieri Lontani, L’uomo che cammina, Blanca e La Vetta Degli Dei sono degli esempi piuttosto conosciuti, ma non rappresentano che una frazione della sua immensa produzione che ripercorreremo insieme, dagli esordi, per conoscere più a fondo uno degli autori più importanti di questo medium.
Il nostro Taniguchi nasce a Tottori, nel sud del Giappone, nel 14 agosto del 1947. Grande amante di fumetti fin da bambino, finito il liceo, dopo una anno di lavoro in fabbrica, si trasferisce a Tokyo per coltivare la sua passione e renderla anche un lavoro. Qui dopo non molto tempo viene notato e quindi assunto come assistente dal maestro Kyota Yoshikawa, esponente del mondo nascente del gekiga (letteralmente “immagini drammatiche”), genere di manga molto crudo, cupo e maturo, che spesso affrontava tematiche sociali legate ai livelli più poveri della popolazione. Un tipo di manga che voleva essere rivoluzionario, controcorrente, un modo per dimostrare che il fumetto poteva anche trattare temi maturi e che trovava in Kom e Garo le sue due riviste di riferimento, delle quali la prima era il luogo di pubblicazione proprio di Yoshikawa. Da questo maestro del gekiga, Taniguchi erediterà l’amore per il lato più selvaggio della natura ed in particolare per gli animali che la abitano, temi molto cari a Yoshikawa e che Taniguchi riuscirà a fare suoi del tutto.
Nel 1970 scrive la sua prima opera autoriale, “Cloroformio” e nello stesso anno riesce a pubblicare la sua prima storia, “La stanza arida”, incentrata su una stanza in cui ha realmente vissuto per un periodo, sulla rivista Shogakukan. L’anno successivo vince il premio Big Comic della stessa rivista con “Voci lontane”. Un esordio di successo che fa già presagire una brillante carriera e che evidenzia da subito l’attenzione dell’autore per la quotidianità e per le cose più semplici e umili, elementi che anche più avanti saranno spesso veri e propri protagonisti delle sue storie.
Nel 1975 sviluppa la sua passione per la natura e gli animali nella serie “Animali senza nome”, dove questi ultimi sono gli assoluti protagonisti delle vicende. Nel 1976 l’inizio della collaborazione con lo scrittore Natsuo Sekikawa segna l’inizio del periodo hard boiled, un genere poliziesco/noir tipicamente americano caratterizzato da una grande enfasi alla violenza, al sesso e ai vizi dei protagonisti, sempre personaggi poco raccomandabili o perseguitati dai ricordi un passato oscuro che appesantiscono il presente. Da ricordare sicuramente è “Trouble is my business”, che racconta le vicende di un detective privato solito soffocare nell’alcol i dispiaceri della vita, primo tra tutti il divorzio con la moglie e “Tokyo Killers”, raccolta fatta da Planet Manga di alcune delle storie più significative o sperimentali del periodo in questione, davvero molto interessanti dal punto di vista della gestione della regia, delle tavole e dei colori persino, anche se usati solo per una storia.
Seguono anni particolarmente floridi per Taniguchi. Nel primo periodo degli anni ottanta scrive diverse storie riguardanti il mondo della boxe in collaborazione con lo scrittore Caribu Marley, come “Live! Odissey”, “Knuckle wars” e “Blue Fighter”. Nel 1985 inizia a lavorare a quella che è una delle sue opere più importanti per la sua carriera, cioè “Ai tempi di Bocchan”. Ancora una volta con la collaborazione di Sekikawa, l’opera tratta la vita di uno dei più importanti romanzieri giapponesi, Natsuke Soseki, vissuto nel periodo Meiji (1868-1912) e propone sia un accurato dipinto di questo periodo storico che ha gettato le basi del Giappone moderno attraverso gli occhi dello scrittore, sia un racconto delle relazioni umane di Natsuke. Verrà completato più di una decina di anni dopo e nel 1998 gli varrà l’Osamu Tezuka Award. Tra il 1984 e il 1986 lavora a “Blanca”, opera che mostra l’evoluzione del tema della natura selvaggia, col racconto della fuga di un cane geneticamente modificato, Blanca appunto, dall’esercito intenzionato a farne un’arma, ma che non sarà in grado di fermare la forza della natura. Rapporto con la natura, in particolare con la montagna, affrontato anche nel ’86 con “K”, una raccolta di storie riguardanti un alpinista divenuto quasi leggenda tra i locali, ambientate sull’Himalaya. Nel 1988, infine, scrive la sua prima opera di fantascienza vera e propria con “Cronache del dissolvimento della Terra”.
Nel 1990 inizia una fase caratterizzata da molte storie brevi, tutte molto importanti in quanto particolarmente efficaci nel racchiudere la poetica “dolce” maturata da Taniguchi nei suoi anni di carriera. Proprio in questo anno, infatti, viene pubblicato “L’uomo che cammina”, apoteosi della poetica della quotidianità, di tutto ciò che è semplice, di tutto ciò che significa cogliere la bellezza nei momenti di tutti i giorni. Nel ’93 esce “L’olmo ed altri racconti”, una raccolta di storie trattanti perlopiù rapporti familiari deleteri o falsi, accomunate tutte dalla presenza di quest’albero, storie in cui emerge come il rapporto con la natura possa essere più sincero di un rapporto umano. Tra il ’91 ed il ’93 scrive “Allevare un cane ed altri racconti” toccante opera che parla in maniera realistica e diretta, ma non senza una profonda sensibilità, l’ultimo periodo di vita di un cane, analizzando il rapporto che si era venuto a creare con i padroni e il ruolo dell’animale nella vita di questi ultimi, sottolineando anche qui come spesso i rapporti con gli animali possano essere più sinceri e più puri di quelli con i nostri simili.
Tra il ’94 e il ’96 esce “Gourmet”, ancora una volta sul tema del quotidiano, stavolta si parla delle avventure culinarie di un impiegato le cui considerazioni dettagliate fino ai minimi particolari di ogni pietanza e bevanda gustata saranno ciò a cui ruota attorno l’opera. Nel frattempo usciva nel 1992 “Il libro del vento”, ritorno al tema storico con il Giappone feudale dell’epoca Edo (XVII secolo) raccontato attraverso le vicende del samurai Jubei Mitsuyoshi. Nel 1995 torna ai veri e propri graphic novel con “Ai tempi di papà”, nella quale vediamo il protagonista tornare a Tottori, sua città natale, dopo la morte prematura del padre. L’ispirazione autobiografica è forte e infatti tratta l’infanzia ed in particolare i rapporti col padre con una forte aria nostalgica e piena di rimorso. “Quartieri Lontani”, del 1998, è un’altra opera ispirata dalla vita dell’autore, nella quale ritroviamo Hiroshi, un uomo in piena crisi di mezza età, tornare nella cittadina dov’è nato e cresciuto per errore e in qualche modo ritrovarsi indietro nel tempo, quando aveva 14 anni, nel suo corpo di allora. L’atmosfera nostalgica e agrodolce qui è ancora più spinta, andando a affrontare il rapporto che si ha col passato, ancora una volta col padre in particolare, e quel desiderio che abbiamo tutti di tornare ad essere ragazzini con la mentalità che abbiamo adesso. Opera per la quale, tra l’altro, vince il premio Alph’Art al Festival di Angouleme per la miglior sceneggiatura.
Una caratteristica di Taniguchi, piuttosto atipica per un fumettista giapponese, è l’interesse e lo studio per il fumetto occidentale, in particolare di quello francese, che lo ha portato ad adottarne alcuni canoni artistici nei propri lavori, facilitandone da un lato il successo all’estero, ma al tempo stesso incontrando lo scetticismo di molti dei connazionali, spesso chiusi rispetto ad influenze esterne. Questo interesse verso l’occidente lo porta a conoscere diversi autori europei, tra i quali Jean Giraud, in arte Moebius, con il quale collabora nei primi del 2000 per la creazione di “Icaro”, Moebius alla sceneggiatura, Taniguchi alla matita. Ritornato sul genere fantascientifico, il fumetto è ambientato in un futuro distopico dove il governo usa la popolazione per la sperimentazione genetica, sperimentazione di cui il nostro protagonista è vittima e dalla quale cercherà di fuggire.
Purtroppo per lo scarso successo, in parte forse dovuto dalla diffidenza dei giapponesi nei confronti dell’opera, questa viene interrotta e quindi mai conclusa. Sempre in questo periodo, però, pubblica invece uno dei suoi capolavori: “La vetta degli Dei”, compimento dell’analisi del rapporto tra l’uomo e la montagna, iniziato in “K”, e soprattutto indagine di come un uomo possa dedicare tutto il proprio essere ad un’ossessione. Tratto da un romanzo di Baku Yumemakura e realizzato con i suoi dialoghi, “La vetta degli dei” parla delle storie, che si andranno poi ad intrecciare, di Habu Joji, alpinista giapponese, giunto sull’Himalaya ed ossessionato dalla ricerca della scalata sempre più estrema, sempre più al limite per il raggiungimento dell’agognata vetta e di Fukamachi, giornalista giapponese dedito alle indagini su George Mallory e sulla prima ascesa del monte Everest.
Nel 2002, invece, troviamo un ennesimo cambio di genere con “Skyhawk” fumetto western che vede due giapponesi trovatisi nel Vecchio West nel bel mezzo del conflitto tra indiani e americani, conflitto sul quale Taniguchi riesce a dare uno sguardo imparziale, senza dare giudizi morali di parte per l’una o l’altra fazione. Torna poi però ai suoi temi più classici con “L’uomo della tundra” (2004) e con “Un cielo radioso” (2005). La prima tratta ancora una volta del lato selvaggio della natura, della sua doppia natura, al tempo stesso spietata, ma talvolta generosa e soprattutto del suo lato maestoso. Il secondo, con il pretesto della trasmigrazione dell’anima di un uomo deceduto in un incidente nel corpo di un ragazzo in coma per lo stesso motivo, torna ad offrire uno sguardo suoi rapporti familiari.
Qualche anno più tardi, nel 2008, troviamo Taniguchi alle prese con un’atipica love story tra un vecchio professore ed una sua ex alunna in “Gli anni dolci”, opera tra le più colme di malinconia del maestro, che ha reso questa sensazione regina in molte sue opere. Nello stesso anno esce anche la sua opera in assoluto più autobiografica, ovvero “Uno zoo d’inverno” in cui condivide, attraverso il personaggio principale, la storia dei suoi esordi nel mondo del fumetto, delle sue difficoltà e delle sue esperienze in generale in quel mondo e che per questo risulta molto prezioso.
Nel 2010 vince il titolo di Maestro del fumetto del Lucca Comics and Games e nel 2011 riceve addirittura la medaglia di Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere dello Stato francese, a coronare la sua eccezionale carriera che stava volgendo al termine.
Nel febbraio del 2017, infatti, il maestro Jiro Taniguchi si spegne, lasciando indietro la sua ultima opera: “La foresta millenaria”. La trama parla di una misteriosa foresta, emersa dopo un terremoto nella regione di Tottori, della quale un giovane ragazzino, capace di capire la voce degli animali e delle piante che lo circondano, dovrà prendersi cura. Realizzata completamente in acquerello, è forse l’opera esteticamente più grandiosa ed affascinante del maestro, un testamento spirituale artistico che purtroppo è rimasto incompiuto, ma che comunque chiude degnamente la carriera artistica di questo genio del fumetto.