Il volume pubblicato da Odoya analizza l’evoluzione di una sottocultura che sta diventando sempre più mainstream
Nerd è chi il nerd fa
Chi scrive questo articolo non è un nerd. Nemmeno gli autori della guida di cui questo articolo parla si definiscono nerd. E ci sono buone probabilità che tu che stai leggendo adesso queste parole, nonostante il sito sul quale ti trovi, non ti ritenga un nerd. Come gli elettori dei partiti di maggioranza a distanza di qualche mese da qualunque elezione, sembra che i nerd siano ovunque ma quando li cerchi davvero non ne trovi uno. Ma allora, se tutti ne parlano, chi sono, dove sono e da dove vengono, questi nerd?
Per tentare di rispondere a questa e tante altre questioni afferenti all’universo nerd, Odoya ha da poco pubblicato la Guida all’immaginario nerd, un corposo volume illustrato (come tutte le guide Odoya) compilato da cinque autori principali: Fabrizio Venerandi, Jacopo Nacci, Gregorio Magini, Alessandro Lolli e Irene Rubino. Ognuno di loro si occupa di un intero capitolo, che affronta il tema da un punto di vista diverso. A margine del testo principale sono presenti però anche decine di schede di approfondimento, che forniscono nozioni più dettagliate riguardo argomenti specifici (un particolare film, fumetto, personaggio, e così via). Queste schede sono affidate ad altri autori, alcuni elementi di spicco del nerdom italiano, come Alessandro Apreda “Doc Manhattan”, Lorenzo Fantoni, Edoardo Rialti, Vanni Santoni. Questa è la corposa squadra di nerd-non-così-tanto-nerd a cui è affidato il compito di delineare l’immenso immaginario di cui fanno parte.
Naturalmente il primo passo di questo percorso è definire che cosa si intende per “nerd”. Nella Guida l’identità del nerd assume una rilevanza centrale, e viene affrontata infatti a turno dai diversi autori. Le risposte coprono contesti molto vari, arrivando a disegnare una figura di nerd multisfaccettata: si può rientrare in questa categoria per ragioni storiche e anagrafiche, oppure a causa dei propri interessi o hobby, ma anche per il ruolo che si ricopre all’interno della società e il modo con cui ci si rapporta con gli altri. In questo senso alcune delle tesi esposte non sembrano concordare del tutto tra loro, e anche se non si può parlare di vere e proprie contraddizioni, di certo emerge che non esiste una vera unità di intenti e opinioni sull’argomento. Di fatto, non esiste un “manifesto della nerditudine”, e gli autori ne sono consapevoli.
Quello del nerd sembra essere uno status che può essere assegnato, spesso solo dall’esterno, a chi risponde a certe caratteristiche, ma questo non presuppone una precisa collocazione sociale, geografica o politica. La stessa comunità nerd non ha confini ben definiti, e si fatica a considerarla come un movimento unitario, per stessa ammissione di chi afferma di farne parte. Questo apparente paradosso viene trattato in particolare nei capitoli di Nacci, Magini e Lolli. I tre autori offrono ognuno la propria prospettiva del fenomeno, anche mediata attraverso le loro personali esperienze di formazione. Volendo trovare un filo comune, emerge quello del nerd come di un individuo che basa buona parte delle sue attività su mondi, personaggi e storie immaginarie, tanto che Nacci intitola proprio il suo capitolo “La forma di vita fondata sull’immaginario”. Che si tratti di libri, film, serie tv, videogiochi, ciò che accomuna i nerd di tutto il mondo è la loro capacità di investire tempo, denaro e attenzione in tali narrazioni estranee al cosiddetto mondo reale. Questo in passato ha portato i nerd a essere considerati come socialmente inetti, ma forse l’equivoco di fondo della storia è stato scambiare cause e conseguenze: il nerd non si rifugia nell’immaginario in quanto socialmente inetto, piuttosto è socialmente inetto in quanto preso dal suo immaginario. Ma come è iniziato tutto questo processo?
Poco tempo fa, in una galassia vicina vicina…
Il primo capitolo di Fabrizio Venerandi è quello che si occupa maggiormente della ricostruzione delle tappe che hanno portato alla nascita della cultura nerd, partendo da riferimenti oggettivi quali lo sviluppo della tecnologia informatica che, almeno agli inizi, ha costituito la spina dorsale del fenomeno. I computer hanno iniziato a diffondersi nelle case negli anni ’80, e non sarà un caso se è proprio quella l’epoca in cui si oggi si tende a collocare la nascita della cultura nerd. I computer portavano con sé un nuovo linguaggio, nel senso letterale e metaforico del termine: la programmazione, i comandi che era necessario impartire alla macchina per farla funzionare, allora molto più di oggi, quando ancora non c’erano interfacce grafiche e mouse da cliccare. Questo nuovo linguaggio rappresentava di per sé un filtro all’ingresso nel nuovo mondo tecnologico, e ha così portato alla nascita delle prime comunità, che prima di internet ruotavano attorno alle riviste cartacee e alle convention.
Il passo successivo alla programmazione sono i videogiochi. Successivo solo in ordine cronologico, perché come dice Venerandi, per moltissime persone i videogiochi sono l’esca alla quale si abbocca per essere poi slamati nel mondo dell’informatica. Il videogame riveste un ruolo particolare nel mondo nerd, come confermato anche nei capitoli successivi dagli altri autori: si tratta infatti di un prodotto di intrattenimento del tutto nuovo, una forma di comunicazione contemporanea (è ancora aperto il dibattito se si possa intendere come una forma d’arte) di cui probabilmente non siamo ancora in grado di cogliere le reali potenzialità. Gregorio Magini parla approfonditamente dei videogame nel suo capitolo, portando numerosi esempi di come abbiano sviluppato fin dall’inizio un loro sistema di convenzioni, valori e paradigmi. Il punto focale rimane l’interazione del giocatore con un mondo più o meno vasto, e la sua capacità di influenzare e magari anche forzare gli schemi in cui il suo personaggio (cioè lui stesso) è rinchiuso. Un percorso iniziato già con i librigame e sviluppatosi poi con le avventure grafiche dove il giocatore aveva la possibilità (almeno apparente) di scegliere l’andamento della storia, come è stato di recente riportato all’attenzione dall’episodio natalizio di Black Mirror, Bandersnatch. I videogiochi si sono poi evoluti ancora e hanno iniziato a sovvertire anche le meccaniche implicite dello stesso media-gioco, soprattutto con l’affermarsi delle produzioni indie.
La cosa stupefacente è che tutta questa stratificazione si è compiuta in poco più di trent’anni. Se consideriamo gli anni ’80 come l’origine della cultura nerd, e i tardi 2000 come il momento in cui il nerdismo ha iniziato a diventare mainstream, forse sono anche meno. Anche Nacci e Lolli nei loro capitoli riferiscono infatti di come sono entrati nel mondo nerd, e si tratta di racconti di prima mano, risalenti a quando erano ragazzi, in cui molti quarantenni di oggi possono ritrovarsi. Parliamo di un tempo abbastanza breve da poter essere ricordato, e in luoghi abbastanza vicini da poter essere ancora visitati: la sala giochi nel bar del paese, il computer nell’aula informatica della scuola media, la fumetteria nascosta in qualche vicolo o la stanza profonda dove si giocava ai GDR. Possibile che sia bastato così poco perché queste esperienze così vicine e tangibili siano diventate in qualche modo leggendarie, un’epica sulla quale è stata costruita un’intera sottocultura, quasi una religione? O forse l’affermazione del nerdismo ha anche delle ragioni più prossime e pragmatiche?
All your nerds are belong to us
Alessandro Lolli propone un excursus su alcune figure prominenti della cultura nerd, personaggi che sono nati in quei mondi immaginari e che poi sono ascesi a loro volta al ruolo di icona. Il primo da cui parte può sembrare però contraddittorio: Bart Simpson. Volendo pensare a un archetipo del nerd, il primogenito della famiglia gialla non è di certo il primo a venire in mente: si tratta pur sempre di un mezzo teppista, che gira in skateboard, va male a scuola, fa impazzire gli insegnanti. Eppure Bart si dimostra da subito come un appassionato di fumetti, condivide le sue passioni con gli amici, viene raramente preso sul serio dagli adulti ed è oggetto di bullismo da parte degli altri ragazzi più fighi: di fatto si colloca a metà tra i due mondi, quello dei nerd e quello dei “normie” (il termine con cui i nerd si riferiscono ai non-nerd). È al tempo stesso vittima e carnefice in questa scala di prevaricazione sociale, e forse proprio per questo è uno dei personaggi più importanti nella fenomenologia nerd. Bart Simpson è il primo nerd a conquistare la sua rivincita senza diventare l’opposto di quello che era (come i primi eroi dei fumetti, che una volta indossata la maschera pensano subito a vendicarsi dei torti subiti), ma acquisendo consapevolezza di se stesso.
È un passaggio importante e forse è iniziato proprio allora negli anni ’90, per proseguire poi nei decenni successivi ed affermarsi definitivamente nei tardi 2000 e nei 2010, quando qualcuno ha detto per la prima volta che “i nerd hanno vinto”. È un concetto diverso dalla “rivincita dei nerd” mostrata nel film omonimo che replicava il solito schema snob vs slob. Si parla della cultura nerd diventata ormai dominante, si parla delle mega convention (il Comiccon di San Diego, ma anche il Lucca Comics non è da poco), del cosplay diventato una professione e di Black Panther candidato all’Oscar come miglior film. Il modo in cui il nerdismo è passato da controcultura a mainstream è affrontato soprattutto da Jacopo Nacci, che riferisce del momento in cui si è accorto che tutti intorno a lui avevano preso a parlare delle cose che poco prima lui era l’unico a conoscere. L’espansione di questo mondo e di tutti i mondi immaginari di cui è composto non corrisponde però a un aumento dei suoi contenuti: cresce di volume ma la sua massa rimane invariata, pertanto la densità si riduce. Così il nerdismo diventa soprattutto un mostrarsi nerd, principalmente attraverso nozionismo e nostalgismo. Da una parte l’accumulo di nozioni, facts, trivia, dall’altro una rievocazione acritica dei miti dei bei tempi andati, considerati insuperabili non per la loro reale qualità ma perché appunto prodotti di un’epoca che si ritiene migliore e irripetibile. Secondo Nacci quella che appare come un’adorazione totale è invece l’approccio cauto di chi vuole tenere una certa distanza tra sé e l’opera, conservandola nella sua bustina di cellophane sigillata in modo che non prenda polvere: mai e poi mai la si potrà riprendere in esame per cercare di capirla meglio, come forse non si era in grado di fare a undici anni. Il nostalgista, che troppo spesso viene scambiato (o si scambia lui stesso) per il prototipo del nerd, vive un rapporto morboso ma insalubre con l’oggetto delle sue passioni, perché non si rapporta con l’opera ma con i sentimenti che quell’opera ha suscitato in lui la prima volta.
Lolli riprende il discorso nel suo capitolo, quando afferma esplicitamente che è proprio a questo nostalgismo che si è rivolta l’industria dell’intrattenimento. Consapevole di poter facilmente capitalizzare sui sentimenti che la sola citazione del franchise può suscitare in quella parte di pubblico, e forte dei primi passi azzeccati in quella direzione (dai film del Signore degli Anelli ai primi cinecomic), un intero settore ha basato la sua strategia su questo target. Dapprima il cinema, poi le serie tv, i videogiochi, fino a ogni livello di merchandising. Tutti contano sul fatto che il nerd è disposto a spendere i suoi soldi e soprattutto la sua fedeltà incondizionata per rivivere ancora quella stessa emozione di trent’anni prima, e allora ecco che gli viene servita, ancora e ancora, la stessa pietanza dall’antipasto al dessert, da consumare bulimicamente senza nemmeno chiedere quanto sarà il conto. E in questo processo l’etichetta di nerd è stata stiracchiata fino a comprendere un po’ di tutto, al punto che oggi c’è quasi una sovrapposizione tra cultura nerd e cultura pop. Forse questo aspetto avrebbe meritato una trattazione più profonda nella Guida, poiché sembra indicare la strada verso la quale il nerdismo ormai sdoganato si sta avviando, ma gli autori si limitano a constatare i primi passi in questa direzione senza però speculare sulla possibile evoluzione del fenomeno. D’altra parte ci sono già indizi abbastanza concreti che il mondo in mano ai nerd sarebbe tutt’altro che un’utopia…
Nerdocracy
Nonostante gli eroi degli immaginari nerd siano in linea di massima personaggi positivi e portatori di buoni valori, non sempre questa attitudine si trova nella comunità dei loro fan. Soprattutto in seguito alla nascita delle prime community su internet, quando i vari fandom specifici si sono via via strutturati, sono iniziati a emergere anche i primi episodi di esclusione. Da un lato questo atteggiamento si spiega con il gatekeeping tipico di un gruppo chiuso che vede il proprio oggetto di interesse diffondersi nel resto della popolazione (cioè tra i normie), e che quindi si difende negando ogni nuova aggiunta al gruppo e all’immaginario di riferimento: ecco allora l’opposizione ad adattamenti, remake, scelte di casting e così via. Ma in altri casi questa tendenza arriva a sfociare anche in sessismo e razzismo.
All’inizio del suo capitolo Alessandro Lolli sottolinea come il nerd sia condizionato anche dal suo rapporto con l’altro sesso, e trattandosi principalmente di individui (adolescenti) maschi, la stessa etimologia del termine “sfigato” con cui ci si riferisce al nerd sta a significare “privo di figa” (cioè di ragazze) piuttosto che “sfortunato”. Questo è un aspetto che non può essere trascurato nell’analisi del panorama nerd, ed è infatti ripreso anche da Irene Rubino nell’ultimo capitolo, in cui viene esaminata la relazione tra nerdom e donne. Dopo aver passato in rassegna alcune figure femminili di riferimento dell’immaginario nerd, a partire dalle eroine di Matt Groening (Lisa Simpson, Turanga Leela e la recente Tiabeanie) fino alle protagoniste di alcuni videogiochi (Samus Aran, Chell), Rubino passa a evidenziare il ruolo delle donne che hanno plasmato questi mondi, con riferimenti tanto alla letteratura, quanto ai fumetti e le serie animate.
Questa presenza importante e costante delle donne all’interno e alla base del nerdom non ha comunque impedito l’emergere di alcune storture. Uno degli esempi più eclatanti di come un’estremizzazione degli elementi costitutivi della cultura nerd possa portare a derive tossiche è il caso Gamergate del 2014, in cui una parte della scena gamer maschile ha preso come capro espiatorio una giornalista per scagliarsi contro la presenza femminile nella scena videoludica. Da queste prime avvisaglie di intolleranza si arriva fino al fenomeno incel, che ha dimostrato di poter diventare seriamente pericoloso con gli attentati terroristici condotti da membri dichiarati di questa comunità, proprio in virtù dei loro ideali condivisi. La correlazione tra nerd e incel forse non è automatica, ma certo ci sono elementi in comune nel modo in cui questi due ambienti chiusi si relazionano col resto del mondo.
Forse è proprio qui che la Guida sembra muovere un passo falso. Proprio nel momento in cui si intende rimarcare la presenza e importanza delle donne per il mondo nerd, si lascia all’unica autrice uno spazio inferiore alla metà di quello riservato agli altri autori, e dedicato interamente a descrivere la questione dal punto di vista femminile, giusto per far notare che anche le donne scrivono, giocano, e fanno cosplay. Sarebbe anche bastato non relegare questo contributo così ridotto alla fine del volume, come fosse un’aggiunta dell’ultimo momento, quando ci si è accorti che mancava una presenza femminile e si è corso ai ripari. Sicuramente non è davvero andata così, purtroppo però già scorrendo l’indice del libro questa è la prima impressione che se ne trae.
Escluso questo aspetto che si può considerare una svista in buona fede, la Guida all’immaginario nerd costituisce un ottimo punto di riferimento per studiare questa sottocultura che sta entrando nella sua fase adulta, e forse tra un’altra decina d’anni sarà a tutti gli effetti materia di carattere sociologico. Il volume assolve bene la sua dichiarata funzione di guida, poiché fornisce tanto un contesto storico del fenomeno trattato nel suo insieme, quanto approfondimenti su alcuni elementi costitutivi dell’immaginario stesso (da Star Wars a Dungeon & Dragons, da Doctor Who a Dragon Ball, dai Masters of the Universe a Myst). Questo la rende adatta non solo a chi conosce già questo mondo e tutti i mondi immaginari che lo costituiscono, ma anche a chi non è assolutamente un nerd e da questa definizione ci tiene a tenere le distanze. Come chi ha scritto questo articolo, e tutti quelli che, entrati su questo sito, lo leggeranno.