Aperto il terzo sigillo, venne un cavallo nero
Siamo a tre quarti della nuova incarnazione seriale del Corvo, Memento Mori, con l’uscita del nuovo episodio firmato sempre da Roberto Recchioni e Werther Dell’Edera. In coda, la consueta breve partecipazione di altri due interpreti, a rotazione: stavolta tocca a Daniel De Filippis e Emanuele Ercolani, autori di A murder of crows.
Dopo l’introduzione del primo numero, a mostrare i muscoli e l’impostazione di reboot libero (la migliore possibile nel caso di concept culto quali quello del Corvo) e l’approfondimento del background nel secondo numero, arriviamo a una terza, penultima puntata di transizione. Non fraintendeteci, Roberto Recchioni è, come di consueto, abilissimo regista e Werther Dell’Edera non manca di trasferire su carta le sue suggestioni in maniera impeccabile. Anche i colori di Giovanna Niro contribuiscono a dipingere una Roma assolutamente deliziosa, per chi la conosce, e indubbiamente immersiva anche per chi non ne ha mai calcato il cemento.
La prova tecnica, quindi, non smentisce lo standard qualitativo della serie. Quello che manca un po’ a questo episodio è il conflitto interno. Abbiamo imparato a conoscere la potenza del nostro protagonista, incapace di morire una seconda volta, quel che non conosciamo sono i suoi limiti e qui non emergono, perlomeno non ancora. Le difficoltà drammaturgiche che nel numero 2 erano fornite intelligentemente dal passato di David Amadio, svaniscono nel presente, persino di fronte a un allettante “tanti contro uno”. Ed è giusto che sia così, beninteso. Ma si ha l’impressione che, fino al cliffhanger finale, tutto scorra troppo facilmente, nonostante tale tutto sia piacevole agli occhi e alla lettura. Stuzzicanti, infatti, tutti gli spunti filosofici e filologici che il nuovo risorto corvino cita senza sosta (non mancano, pedisseque, le note bibliografiche).
Del lato prettamente artistico abbiamo già parlato, ma ci piace ribadire, la fibra liquida del tratto dell’ederiano esaltato ancora una volta dalla palette bipolare, in senso buono, della colorista. Qui, le strade romane di Tor Pignattara trasudano caldo e sudore, altrove gli interni sono freddi come il sangue (morto) del protagonista, impegnato a falcidiare vite su vite immeritevoli di vivere. Interessante notare come alcune onomatopee siano comprese dal disegno stesso, mentre altre, peraltro di stampo diverso a seconda del tipo di rumore, siano state aggiunte in digitale. Pur trattandosi, forse, di una scelta non prevista inizialmente, non disturba minimamente la lettura fino al picco di tensione finale.
Lo stile del one shot in coda è agli antipodi: grottesco, quasi inquietante, come il suo contenuto. Per quanto, graficamente, si percepisca un’identità ancora in divenire, l’intelligente uso narrativo del breve spazio concesso rende A murder of crows comunque presenza gradita.
Verdetto
Appena oltre il giro di boa, Memento Mori si riconferma serie di pregevole qualità artistica di penna, matite e colori dei suoi interpreti. Manca forse un pizzico di conflitto e difficoltà in più, ma non manca il colpo di scena finale di cui, a questo punto, attendiamo con ansia la capitalizzazione nel prossimo numero. È un episodio di transizione, è vero, attraverso cui però è un gran piacere transitare.