Per Mondadori è uscito il breve romanzo Il gatto che voleva salvare i libri, dedicato al potere della lettura
Personalmente, ho imparato a leggere ancora prima di iniziare le scuole elementari. Non di mia sponte, sia chiaro, fu mia madre a decidere piuttosto arbitrariamente di insegnarmi precocemente come riconoscere lettere e numeri scritti. Dalle targhe delle automobili e le insegne dei negozi, passai velocemente alla lettura dei libricini con le fiabe Disney semplificate, da seguire con le audiocassette (chissà che fine hanno fatto), e ai miei primi Topolino, fino agli enormi libroni illustrati con le fiabe più classiche o versioni più brevi e meno poetiche dell’Iliade e dell’Odissea.
Leggere Il gatto che voleva salvare i libri, un breve romanzo di Sosuke Natsukawa pubblicato da Mondadori, mi ha fatto ritornare alla mente come è iniziato il mio interesse per la lettura che, seppur venga diluita oggi in tempi più lunghi, rimane uno dei miei passatempi preferiti.
L’uomo legge da quando è stata inventata la scrittura, sono incalcolabili le opere che abbiamo modo di sfogliare oggi (e chissà quante non ce l’hanno fatta a superare la prova del tempo che passa) e, nonostante l’avvento dei social e una presenza sempre più forte della tecnologia nella nostra quotidianità, per fortuna continuano a esserci amanti dei libri e della lettura. Tuttavia, non significa che tutto ciò che pensiamo dei libri sia corretto, né che le persone, perfino chi dice di amarli, ne colgano davvero l’importanza per la società, il futuro e, in primis, il loro animo.
I libri, oggetti gravemente in pericolo
L’avventura che si dipana tra le pagine de Il gatto che voleva salvare i libri in realtà è quella di un ragazzo del liceo, Rintaro Natsuki. Lo conosciamo all’interno della vecchia libreria appartenuta a suo nonno, purtroppo appena deceduto. Inizia proprio così il racconto, con la tragica prospettiva per Rintaro di esser rimasto solo al mondo e di non aver altro rifugio se non proprio quella libreria, nella quale sono conservati libri di ogni tipo con i quali passare le sue noiose giornate. Rintaro stesso si autodefinisce un hikikomori (nonostante non raggiunga livelli di isolamento come in altri casi più gravi) e, sapendo di doversi trasferire da una zia sconosciuta a breve, ha smesso di andare a scuola. Gli unici che sembrano curarsi di lui sono il senpai Akiba, un po’ facilone ma gentile, e la rappresentante di classe Yuzuki.
Quasi subito, però, questa bolla in cui il ragazzo si è rinchiuso scoppia con la comparsa di un misterioso gatto parlante: il felino appare dal nulla e chiede a Rintaro di aiutarlo a salvare dei libri, poiché è l’unico capace di amarli incondizionatamente. La differenza sostanziale, infatti, sta proprio qui, nell’indole del protagonista, tranquilla e introversa ma appassionata e quindi in grado di fronteggiare i capi dei “labirinti” in cui finirà assieme al micio.
I mondi nei quali si avventureranno sono appunto governati da personaggi bizzarri, per non dire arroganti e supponenti, convinti di sapere cosa sia necessario per la loro attività legata ai libri: il primo, ad esempio, è una sorta di collezionista, convinto sia più che giusto tenere i tomi sotto chiave, senza mai riprenderli in mano anche dopo una prima lettura; il secondo invece conduce uno studio sulla “ottimizzazione della lettura”. Ci saranno ulteriori incontri in vista per Rintaro ma tutti con un preciso scopo: salvare i libri, facendo riflettere coloro che credono di averne capito il loro valore.
Il gatto che voleva salvare i libri ci apre gli occhi sull’oggetto “libro” e sulla lettura come passione
Tutti noi, lettori più o meno accaniti, se optiamo per i cartacei, desideriamo far sì che nella nostra libreria ci siano solo volumi che ci piacciono, che possano accompagnarci per sempre. Ha senso, quindi, “farsi vanto” del numero di libri che possediamo? O di quanti siamo riusciti a leggerne in un determinato lasso di tempo? Ne Il gatto che voleva salvare i libri troviamo questo e altri spunti di riflessione che non si dovrebbero dare per scontati.
Se è vero che la lettura non va vissuta come una gara, allora non serve nemmeno accelerare la lettura stessa, come vorrebbe fare il signore del secondo labirinto. È interessante come il personaggio giustifichi i propri studi affermando che la gente non legge perché è troppo impegnata e non perché non vuole. Se la lettura fosse più veloce, insomma, tutti vi dedicherebbero del tempo e così la sua soluzione per accorciare i tempi e i libri sarebbe la giusta risposta alle esigenze di una società che, effettivamente, ormai viaggia alla velocità dei mega di download, senza badare al mondo che ci circonda. È emblematica in questo senso una frase del nonno di Rintaro:“Chi cammina distrattamente ma con le proprie gambe riuscirà comunque a notare i fiori che si nascondono ai lati della strada o gli uccellini in cima agli alberi”.
Altrettanto vera è un’altra sua citazione (di cui il libro è ricco, quasi come fosse stato scritto appositamente per un profilo bookstagram):“Leggere un libro è come risalire una montagna”. Nello sforzo della lettura, cercando di comprendere anche passaggi difficili, apriamo la mente, così come si apre il panorama di fronte a noi dopo aver concluso una scalata. Il libro dunque non è solo un compagno di viaggio, come quando ne portiamo uno con noi durante gli spostamenti, diviene un vero e proprio luogo da raggiungere ed esplorare, che saprà accoglierci solo se siamo ben disposti.
Col terzo labirinto affrontato da Rintaro, infatti, si può notare una non tanto velata critica al mondo dell’editoria, una frecciata verso quella più becera e interessata al puro profitto e non alla cura dei lettori e della lettura in sé, in un atteggiamento incurante per lo stesso prodotto che cerca di vendere senza conoscerne le qualità intrinseche. C’è chi se ne frega dei messaggi che un libro può veicolare, in virtù semmai del suo valore di vendita, in quanto la società, secondo chi fa questo discorso ne Il gatto che voleva salvare i libri, desidera precisi contenuti, argomenti con i quali le persone possano far sfoggio di sé stesse. Si crea dunque un paradosso, secondo cui la lettura appare ancora come un passatempo elitario per il quale però nessuno vuole sprecare troppo tempo, sfruttandone solo la componente estetica data dal mettere in mostra i libri stessi. Una critica a suo tempo mossa, peraltro, proprio ai profili bookstagram di cui sopra, a volte troppo improntati sull’immagine e poco interessati a condividere il libro nel suo essere.
Il potere dei libri
La riflessione finale, dunque, è: quali libri hanno valore? Chi lo stabilisce? In effetti, si potrebbe dire che sia la società a farlo, permettendo ad alcuni testi di travalicare il tempo e lo spazio per arrivare a chiunque e ovunque nel mondo. Eppure quella stessa società ha cambiato spesso idea su autori e opere, dimostrando come la letteratura in fondo sia sempre stata al suo servizio. E proprio per questa caratteristica mutevolezza i libri acquisiscono allora il potere dell’empatia e hanno, di conseguenza, l’effetto terapeutico da tutti così ricercato.
Anche per Rintaro i libri e le loro pagine saranno la cura per il suo dolore e l’avventura col gatto che voleva salvarli farà in modo che venga salvata anche una fetta importante della sua vita, a cui potranno aggiungersi amicizie e nuove esperienze, così come in fondo aveva predetto il nonno: “Nelle vecchie opere che hanno valicato i confini del tempo è già insita una grande forza. Se leggerai molte di queste storie, ti procurerai un sacco di amici su cui poter contare”.
Tutti possiamo dunque ricavare insegnamento e conforto dalla lettura, anche quella de Il gatto che voleva salvare i libri, un piccolo ma significativo romanzo di sole 180 pagine, che saprà darvi tantissimi spunti per riconsiderare il vostro rapporto coi libri, la lettura e perfino le persone con cui condividere questa passione dalla forza straordinaria.