Il villain di Batman ci insegna il decorso del male: da evento straordinario a infezione sistemica
ualunque sia il suo look, qualunque ispirazione abbia il suo armamentario, il Pinguino è uno dei nemici di Batman più riconoscibili e inquietanti. Nonostante si potrebbe dire meno iconico di Joker, o meno sfuggente di un Enigmista, Oswald Cobblepot in realtà è portatore di un messaggio pesantissimo. La sua è una violenza che si muove tra individuale e sistemico, tra l’evento eccezionale del freak, dell’emarginato, del mostro – per così dire – all’essere parte integrante di un sistema. Abbiamo visto in The Batman l’interpretazione di Colin Farrell, coperto da strati di trucco fino a sembrare una rappresentazione grottesca di uno sgherro della Mafia. In effetti, il suo atteggiamento sfrontato e spaccone, il suo senso innato del saper stare al mondo è una prerogativa del personaggio. Geniale, nella sua perversa normalizzazione del crimine. Arrabbiato, come solo un emarginato riesce a essere, ma non per questo fuori controllo. Quasi mai, perlomeno.
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Quella faccia un po’ così che abbiamo noi prima di andare a Gotham
Quella del Pinguino è una storia molto triste. Parla di un bambino emarginato dai suoi coetanei, per via del suo aspetto e dell’iperprotettività della madre. Le sue origini si sono definite durante la Silver Age, come è successo a molti personaggi dei comics. Dopo la morte del padre per via di una polmonite contratta durante un forte temporale, la madre di Oswald obbliga il figlio ad andare in giro sempre con un ombrello, che diverrà poi uno degli attributi distintivi del villain. Inoltre per via del suo aspetto, del suo modo di camminare e di un’innata passione ornitologica (derivata dal fatto che i genitori possedevano un negozio di uccelli), presto sarà soprannominato Il Pinguino. Un soprannome che all’inizio sopporta a stento, essendo legato a lunghi e perpetrati abusi e atti di bullismo, ma che poi inizierà a rivendicare.
Nella versione di Tim Burton, in Batman – Il ritorno (1992), le sue origini sono leggermente stravolte, unendo la sua bio a quella di un altro magnifico villain di Gotham, Killer Croc. Secondo Burton – che, si sa, è sempre stato affascinato all’estetica dei freaks alla Browning – il piccolo Oswald ha vissuto nelle fogne, in cui è allevato da un gruppo di pinguini (nelle fogne di Gotham c’è una fauna molto variegata). Dopo un periodo di soprusi come fenomeno da baraccone in un circo, riemerge nella città più arrabbiato che mai. Anche il modo in cui Burton presenta il personaggio, il suo look, riprende un film degli anni Venti, ovvero il famosissimo Gabinetto del Dottor Caligari. Questa lettura del Pinguino è stata talmente efficace da aver condizionato fortemente le sue rappresentazioni successive, sia nei fumetti sia nell’animazione. Riusciranno Matt Reeves e Colin Farrell a rendere il loro Cobblepot altrettanto incisivo?
L’apparenza inganna. E anche il Pinguino
Nonostante sia associato a un animale così rassicurante e piacevole, quello del Pinguino è un personaggio imprevedibile e pericoloso. Dopo aver raccontato le sue origini nella Silver Age, la DC ha approfondito la carriera da criminale del Pinguino collocandolo nel famoso Iceberg Lounge. Quello che vediamo nel film di Reeves, dunque, fondamentalmente si basa sui fumetti ed è altrettanto vero che Cobblepot svolge il suo cursus honorum nei ranghi della malavita. In diverse versioni, infatti, la sua scalata verso il controllo di Gotham è associata alla caduta di Carmine Falcone: come succede anche nella realtà, la morte di un boss porta a sanguinose guerre interne, dove a emergere è il più spietato, ricco e forte criminale dei paraggi.
Ciò che rende il Pinguino l’astuto e pericoloso nemico di Batman che conosciamo, infatti, è la sua intelligenza e la sua straordinaria capacità di elaborare piani. A differenza del Principe del Crimine di Gotham, Joker, il Re controlla il lato dionisiaco per abbracciare una razionalità lucida e spietata. Entrambi i personaggi rappresentano i due grandi poli della violenza del mondo civilizzato. I crimini brutali e insensati dettati dalla disperazione, che possono colpire chiunque, in un qualunque momento, che sono perennemente sul punto di esplodere e la violenza sistemica della corruzione, dell’estorsione, della truffa, dell’inganno della criminalità organizzata.
Un passaggio esemplare per raccontare l’attitudine del pinguino lo troviamo nel racconto breve Joker’s Asylum – Penguin: Who Laughs Last…!, scritto da Jason Aaron e disegnato da Jason Pearson (settembre 2008). A tavola con Violet, una donna con cui ha una brevissima relazione, sente un cuoco che ride con fare canzonatorio. Anche se non è rivolto a lui e a quanto sta dicendo (sta per dichiarare il proprio amore verso la compagna), scatena nel Pinguino un trigger violento. Cobblepot afferra un coltello, pronto ad assaltare l’uomo, ma si ferma. Successivamente, con calcolo e freddezza, troverà il modo per rovinare la vita al cuoco e ai suoi affetti più cari. Ecco, esattamente questo.
L’infinita solitudine del ragazzo Pinguino
Partiamo da un presupposto: raccontare la complessità di un villain non significa giustificarlo. Anzi, la sottile magia dei comics maturi sta proprio nel rendere “i cattivi” qualcuno con cui, in parte, si può condividere un vissuto. Talvolta – e il caso di Batman è particolarmente azzeccato – lo stesso eroe condivide una parte del percorso con chi combatte. Ne parlo un po’ ne Il fascino indiscreto del giovane Uomo Pipistrello – ma il film di Reeves si basa principalmente su questo concetto.
Tornando al Pinguino, questa figura ha una narrazione struggente, quando si parla della sua infanzia. Sempre nel già citato Who Laughs Last…! riecco il tema dell’emarginazione di Cobblepot, e in particolare la distanza tra lui e le donne. Attenzione, siamo al confine dell’assoluzione Incel, ovvero che il ragazzo rifiutato sulla base di criteri superficiali (in questo caso l’aspetto fisico) è spinto a diventare poi un pazzo violento. Prese le dovute distanze dalla giustezza del ragionamento portato nella vita reale, riconosciamo al personaggio uno spessore che lo rende ancora più drammatico nella sua “cattiveria”.
A differenza di molti suoi colleghi e sottoposti della malavita di Gotham, Cobblepot riflette nell’aspetto esteriore il tormento e la corruzione interiore. Guarda sempre di sbieco la bellezza che lo circonda, che si tratti di donne, uomini e Pipistrelli. Allo stesso tempo, però, nutre diffidenza anche verso gli altri “freaks”, da Joker a Maschera Nera, con cui le alleanze sono sempre tumultuose e provvisorie: non condivide con loro neanche quella follia, quella “voglia di veder bruciare il mondo”. Piuttosto, è più incline al pragmatico accumulo di ricchezza e potere.
Per questo il Pinguino è destinato a un’infinita solitudine, che lo porta a inasprire il proprio comportamento, a perdere ogni alito di compassione e a utilizzare i propri talenti esclusivamente per il proprio tornaconto. Alla lunga, la sua diverrà una figura ambigua, di cui Batman non potrà mai fidarsi, ma a cui – allo stesso tempo – di tanto in tanto dovrà rivolgersi. Il vero trionfo di Cobblepot, infatti, avviene quando inizia a riciclare denaro e a diventare un “membro rispettabile della società”. Quante volte l’abbiamo vista, questa parabola ingiusta: ecco perché il Pinguino, forse, dovrebbe farci molta più paura.